martedì 4 luglio 2017

Lo scemo del Villaggio

Sono una persona con la testa perennemente tra le nuvole. A volte guardo la mia vita con un tale distacco da sentirmi qualcun'altro. M'immagino spesso in luoghi leziosi, rosa, geometrici e spumosi.
Io m'immagino di vivere in un film di Wes Anderson, di essere uno dei suoi personaggi, penso di essere uscita da un libro di favole norvegesi, per dire.
Ma no. Non è proprio così. Prima sento un rumore stridulo di freni, poi apro gli occhi. 
E quando lo faccio mi trovo crocefissa in sala mensa.
Io vivo dentro una costante replica di Fantozzi.
Da sempre.


Non sono solo Fantozzi, io, no, sono anche Paolo Villaggio, a volte. 
Sono Paolo Villaggio che scrive il testo di "Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers" e che dopo deve recitare 100 volte la scena in cui Fantozzi si proclama "Azzurro di sci". 
Sono Paolo Villaggio iscritto al partito comunista e un novello Folagra che si batte a suon di bestemmie smozzicate per il benessere dei colleghi in una ditta dove i Balabam e i Cobram sono insagomati in jeans e camicie strette, sono sempre inattaccabili, inaccessibili, intoccabili, ma adesso hanno il puzzo di un profumo da quatto soldi e vogliono che tu consideri la tua ditta come la tua casa o la tua famiglia, ti vogliono sorridente e sempre, sempre di più, scattante e sportivo.

Sono il Filini che prova ad organizzare feste, ritrovi improbabili districandomi tra obblighi e piaceri; dopo un paio di Brunella Pallor scompaio in un vortice di stanchezza e ombre di bagordi. Ho la sindrome da scema del villaggio: sempre connessa, sempre proattiva, finta ingenua ma che casca prontamente nelle trappole di chi mi vuole disponibile a tutto, sempre.

Appena ho saputo della morte di Paolo Villaggio ho esclamato un "era ora!", probabilmente lo esclamerei ancora mille volte, lì, avviluppata tra le lenzuola, con la testa sprofondata nel cuscino, con il cuore in gola nel sentire "E' morto..."aspettandomi il peggio, aspettandomi di dover indossare un brutto vestito e chiedere un cambio al lavoro.
Invece era tutto lì, è solo morto Paolo Villaggio, uno che sapeva bene che alla fine sarebbe morto, uno che aveva perfino invitato Napolitano al suo funerale.




Soprattutto è morto uno che capiva bene quanto vicina potesse essere la morte.  
Si scherza su tutto, anche sulla morte, soprattutto da ragazzi, soprattutto con gli amici. Ma non  si scherza con la morte, non si scherza con i tuoi amici se con lei ci vivono.
Con Faber non ci poteva più scherzare come facevano da giovani guasconi più simili a Carlo Martello che a Fantozzi e Filini, sempre in piedi, sempre in giro a far cazzate e a vivere.

No, si chiude tutto, ci si saluta in silenzio.

"Era ora!". 
Liberatorio come quel "per me, la Corazzata Potëmkin è una cagata pazzesca".
Negli ultimi anni Paolo Villaggio era finito a fare la caricatura di Fantozzi in mezzo alle lande umbre, tra Manuela Arcuri e Andrea Roncato che interpretavano le peggiori barzellette sui Carabinieri mai viste o sentite. Lì il caro Paolo era letteralmente lo scemo del villaggio, un po' naif un po' Fantocci, con la sua voce e i suoi modi imbarazzati e vergognosi. Un po' come me ogni giorno da quando lavoro con i Balabam e i Cobram, aspirando sempre ad essere una contessina Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare.

Adesso possiamo smetterla di essere Fantozzi.
Inauguriamo l'era dei Calboni, per cortesia.