sabato 31 dicembre 2016

L'ultimo giorno della Morte

In tempi sospetti, ovvero il 31 dicembre dell'anno scorso, avevo pronosticato che il 2016 sarebbe stato un anno difficile, paragonandolo all'ascolto di un cd di Eros Ramazzotti.
In realtà è stato più simile allo stato d'animo che mi accompagna quando, per sbaglio, m'imbatto in un'intervista a Nek: curiosa morbosità unita a disgusto borghese.

Così oggi faccio un bilancio mortuario per voi che in tutti questi mesi mi avete guardato con occhi supplicanti ogni qualvolta Facebook v'informava del decesso del vip di turno.

"E' morto BOWIE! OSSANTODIO Fede, che dici?"
"Hai letto di Alan Rickman? Mamma mia, ho pianto per ORE, cioè Severus Piton? Bestiale cazzo!Fede, scrivici un pezzo dai"
"Oh, ma hai sentito di Rispoli?Guarda, è da ieri che son qui che consolo mia nonna, un dolore... oh ma, scrivici un pezzo"

La verità è che se non ho scritto molto a riguardo è perché "Ars Moriendi" non segue i rigidi diktat del mercato ma solo le paturnie del momento, il filo rosso dei ricordi, quello che si conosce.
Ma via, siccome considero il 2016 come l'anno del "adesso ti do un segnale forte di quello su cui dovresti concentrarti nella vita", vi do quello che volete. E mi costa. Scoprirete che per certi versi sono un vero proprio inganno.

DAVID BOWIE: non ho mai avuto o ascoltato un intero disco di Bowie. Potrei ascoltare un intero disco dei Carcass o l'intera discografia de 5ive, ma non ho mai dato una chance a Bowie. Questione di tempi: quando a 15 anni i miei amici ascoltavano i Nirvana io ascoltavo Bryan Adams che consideravo il TOP, quando poi a 21 ascoltai i Nirvana, esaltandomi come una scolaretta, i miei coetanei avevano già superato il Nu Metal e andavano verso la deriva Hip Hop. Quindi non avrei mai saputo cosa scrivere su Bowie per farvi felici, per me rimane  colui che duetta con Freddie Mercury in "Under Pressure". Vale?



ALAN RICKMAN: non scrivo nulla su Alan Rickman perché prima di essere il vostro amato Severus Piton è stato lo stracazzutissimo sceriffo di Nottingham in "Robin Hood - Principe dei ladri". E io ho ancora gli incubi sullo sceriffo di Nottingham. 

UMBERTO ECO e HARPER LEE: di per sé è già abbastanza significativo che siano morti lo stesso giorno.

NANCY REAGAN: le mogli vivono più dei loro mariti. E meglio.

PRINCE: vedi sopra "Bowie". Penso di conoscere solo "Kiss" meramente perché, mentre guardavo il video, mio padre laconicamente commentava: "Pensa a Prince quanta figa che ha a mano...".

RICCARDO GARRONE: e anche questo se lo semo levato dalle palle. (semicit.)

MUHAMMAD ALI: pensavo fosse già morto.

BUD SPENCER: dunque, quel che mi ricollega a Bud Spencer è un ricordo olfattivo non tanto piacevole: mia nonna che m'invita a partecipare ad una gara di peti mentre guardiamo "Lo chiamavano Trinità". Lei iniziava sempre per prima.

DARIO FO: "Federì, è morto Fo!" la collega mi guarda con gli occhi della disperazione.
La mia risposta: "Succede".

LEONARD COHEN: vedi sopra "Bowie". Sarei curiosa di fare un sondaggio: quanti di voi possiedono un cd di Leonard Cohen? Non vale la registrazione su cassetta di "Hallelujah". No, nemmeno quella di Jeff Buckley o la colonna sonora di "Shrek".

Ecco. Ora sapete che anche Ars Moriendi è affetto da una sorta di snobismo alla Lavinia Borromeo, anche se il più delle volte affronta il tema con la serena lucidità di Lapo Elkann.

Mi piacerebbe cullarvi nei ricordi piacevoli legati ad Anna Marchesini, di me sdraiata da bambina malata nel lettone della nonna mentre guardo "I Promessi Sposi" del Trio e rido in una penombra fredda e nuova, vorrei riportarvi in riva al mare con Karina Huff che si strugge per amore e io che mi struggo perché non sono bella quanto Karina Huff, vi sorbireste milioni di puntate di "Law and Order" insieme a me mentre Steven Hill sta seduto, solo e piccolo su un' enorme poltrona di pelle insieme a Jack Mcoy,  pensereste che sono pazza mentre osanno il genio di George Michael e del video di "Outside" o mentre lo guardo indossare quella giacca color salmone mentre canta "Somebody to love" in onore di chi la cantava poco meglio di lui.
Quella giacca color salmone che fu la piaga degli anni '90, che fu tratto distintivo di pochi altri come Alex Baroni che qualche settimana fa avrebbe compiuto 50 anni. Alex Baroni che è negli occhi e nelle canzoni di Giorgia da più o meno sempre, che quando sento un nuovo singolo di Giorgia piango di default perché tanto so che sarà solo un collage di ricordi strazianti uniti da un ritornello. Quel dolore fatto di lacrime giornaliere che non se ne vanno, che ti accompagnano sempre e chi logorano il cuore un pezzettino alla volta, fino a spezzartelo.



Perché il cuore e la mente si spezzano davanti ad un dolore così irreversibile. Lo sanno la principessa Leia Organa e sua madre Debbie Reynolds, ad esempio.

Perché la morte ti può anche lasciare indifferente. Come nel caso di qualche politico sopra le righe.


Ecco, questa è la morte nel 2016. 
O perlomeno, questo è quello che ci ha colpito della morte nel 2016: milioni di facce conosciute che all'improvviso se ne vanno, qualcosa d'immortale nelle nostre vite che si spegne e si rivela per quello che è, la facilità con cui proliferano battute come "è stato davvero il suo "Last Christmas"!", i nostri idoli che non sono altro che noi in versione "ce l'ho fatta".


La morte nel 2016 però dovrebbe avere gli occhi di Jo Cox e dell'odio, dovrebbe avere le gambe di chi non è riuscito a camminare fuori da Aleppo o a scappare dalla traiettoria di camion assassini, dovrebbe avere i polmoni pieni di acqua di chi ha provato a nuotare più forte senza essere alle Olimpiadi, dovrebbe avere la faccia piena di polvere di tutte le macerie delle case che crollano per le bombe o per i terremoti.


Intanto l'orologio corre verso il 2017, non vorrei chiudere questo post acida quanto una recensione della Murgia, quindi vi auguro un anno pieno di vita, gioia e soddisfazioni personali.

Per Ars Moriendi è stato un anno molto bello e per il 2017 vi prometto novità ancora più grandi. 
Non so se sperare che si ripeta la prolificità di quest'anno o meno. Facciamo un po' di meno, grazie.

Dedicato alla garbata presenza sulla terra di Luciano Rispoli.






mercoledì 16 novembre 2016

Un caffè pieno di morte

(Questa volta è un fallimento.
La Discover Weekly di Spotify ha toppato.
Come faccio a scrivere un pezzo con il mood alla "Love will tear us apart" dei Joy Division se poi mi parte "Non abbiamo bisogno di parole" di Ron?
Passi Jimmy Fontana, ma Francesco Renga? Ma chi ha mai ascoltato FRANCESCO RENGA?

Comunque, the show must go on, diceva quello.)

Oggi ho un po' l'umore à la Ned Stark, del tipo "l'inverno sta arrivando", non tanto per il freddo, ma per tutto questo gelo politico che riveste il nostro quotidiano. Tutto questo antitrumpismo, protrumpismo, prohillarismo, antihillarismo mi sta lentamente uccidendo. Nelle vetrine niente balocchi e ghirlande, solo poster per il NO e simpatiche faccine che dicono "basta un sì". Renzi è il Grinch che mi sta rubando il Natale. (nel frattempo mi sdraio a terra rotolando su me stessa, tappandomi le orecchie: FAUSTO LEALI  e MINA che cantano A CHI MI DICE dei BLUE nella MIA playlist. Comincio a pensare che ci sia qualcuno in casa mia che di nascosto ascolti roba di merda solo per poter confondere Spotify sui miei gusti.)

Io sono un animale politico, sono una pasionaria pigra ma infuocata, sono la sindacalista di me stessa, ma tutta questa aria pesante da dibattito politico tra sordi mi sta lentamente facendo scivolare nella classica apatia invernale condita da serie TV e totale isolamento dal genere umano. Così mi viene in mente il mio primo Death Cafe.

Il Death Cafe è un'occasione in cui perfetti sconosciuti, o quasi, s'incontrano per parlare di morte. 
Puro, semplice e con tanto di pasticcini.
Nessun tabù. Solo la voglia di confrontarsi su qualcosa che non siano le sorelle Kardashian, Trump e Killary o le nuove puntate di "Westworld".




Trovarsi in un circolo di persone che non la pensano come te su un argomento così vivo e reale ti fa sentire spesso fuori luogo. Prendiamo solo una delle domande di quella sera: vorreste essere immortali?

Ecco.

"Io mi sono sempre sentita immortale" dice l'infermiera con crocefisso al collo. "Mai stata incerta su questo aspetto, io SONO immortale. Attraverso la mia fede".

Ecco. La mia mente disegna istantaneamente Duncan McLeod che va a messa. Per l'eternità. 

"Io vorrei essere immortale, ma poi i miei cari morirebbero e io mi sentirei così male!"dice Morticia Cupiello, una signora napoletana che EVIDENTEMENTE ama i suoi cari, protagonisti indiscussi di tutti i suoi interventi serali.

"Beh, ma non è detto che sia immortale solo tu! Potresti vivere in una società d'immortali" interviene il moderatore, il professor Francesco Campione, psicologo, tanatologo e padrone di casa.
Silenzio.

Io provo ad immaginare un mondo del genere.

Infiniti post su Facebook delle stesse persone con cadenza regolare, ogni 10 minuti la bacheca piena di selfie con hashtag tipo #ByeByemorte!, pipponi politici di società che collassano scritti da cantanti disoccupati e hipster annoiati, quarantenni immortali.
QUARANTENNI IMMORTALI.
Tutto immobile, tutto in continuo cambiamento e disfacimento, psicosi dilagante, le stesse facce che si guardano per secoli. Ligabue che continua a fare concerti. Grillo che arringa folle sempre più immobili, "The Walking Dead" che passa le 200 stagioni consecutive. Tutti zombie che camminano.
Capodanni sempre più tristi, Carlo Conti che cambia mille vestiti da gran sera, trenini sempre più lenti.
Tutti affollati, uno spalla a spalla con l'altro, il divieto di fare figli (il che comunque ci risparmierebbe tutti i meme delle madri del tipo "Trovo così divertente ripensare a quando dicevo di essere stanca prima di avere figli". Sul serio, la fine di tutte le foto di bambini con appiccicato sulla faccia un emoticon sorridente per proteggere la loro baby privacy, la fine dei gruppi whatsapp sui gruppi preparto di cui le tue amiche non ne possono più, la fine dei battesimi. Che pace), un popolo di adulti annoiati da guerre che non fanno morti.
La vita eterna è sulla terra, e allora facciamola saltare in aria!
Milioni di testate nucleari cariche per farci esalare l'ultimo respiro radioattivo, il mondo che esplode e noi che galleggiamo nello spazio, condannati all'immortalità. 
Inseme a noi Biagio Antonacci.

Sudo, sudo tantissimo quando la domanda fa il giro e arriva a me.

"E tu? Tu vorresti essere immortale?"la domanda arriva liscia e tutti sorridono.
"No. Ma no. Da quando sono bambina so che c'è un inizio e una fine. Fin da quando guardavo gli alberi genealogici che tracciava mio padre, tutte le famiglie hanno un inizio e una fine. Alcune finiscono in un punto e continuano in altro. Alcuni rami si seccano, altri continuano ad intrecciarsi per secoli, ma tutto ha una fine. Non ho sorprese, tutti gli uomini e le donne del passato che ho studiato sono morti in una pagina o nell'altra. E va bene così, devo avere un inizio e devo avere una fine, nel mezzo farò quel che posso, lascerò un segno se avrò tempo altrimenti pazienza, arriverà la fine, e sarà bellissimo così. Io sono mortale, è l'unica certezza su cui baso la vita".

Sguardi di comprensioni, sorrisi, si va avanti a parlare.
Io sorseggio il mio bicchiere pieno di cola e ascolto.
Mangio un biscotto.
Scuoto la testa.
Vedo un ragazzo che prende appunti.
Non vorrei che finisse. 
Vorrei altri Death Cafe.

Intanto qui a casa mi avvolgo nel piumone e scrivo. 
Intanto su Spotify è arrivato Jimmy Fontana che canta "il Mondo". 
Vale la pena essere mortale e potersela godere solo un numero preciso di volte.

mercoledì 19 ottobre 2016

Pillole di morte: L'assaggio di quello che verrà

Questa sera parteciperò al mio primo Death Cafe.
Devo dire la verità, sono un po' emozionata.
Chissà cosa salterà fuori tra un pasticcino e un caffè, tra un singhiozzare di ricordi ed esperienze, chissà che ne sarà di me, come direbbe Muccino.

Beh, ovviamente preparerò un pezzo degno dell'esperienza, non come questo che vi propino oggi giusto per fidelizzarvi.

In tema di assaggi, cafè e quant'altro oggi vorrei parlarvi di quanto ancora mi stia drogando di serie TV di bassa qualità e quanto mi sia affezionata a "I Borgia", produzione di qualche anno fa con Jeremy Irons nella parte di papa Alessandro VI Borgia.
La cosa più presente oltre a tette, donne nude, tette, uomini nudi, gente che fa sesso, gente che spera di fare sesso, threesome con il papa e ancora una valanga di tette, è il veleno.
Tutti o quasi muoiono avvelenati e ancora Lucrezia Borgia non ha iniziato la sua tanto chiacchierata carriera da avvelenatrice: tutti bevono, mangiano, cominciano a tossire e cadono. Alcuni squirtano sangue dalle orbite. Una completa orgia di bava alla bocca, sudore e morte.

Quelli erano anni  croccanti dal punto di vista velenoso. Lasciate che vi racconti la storia del re Ladislao I di Napoli e del suo presunto avvelenamento.
Questo personaggio spettacolare, detto "il magnanimo" fu un vero e proprio condottiero destinato alla gloria. Ma ovviamente qualcuno non voleva proprio che Lady riuscisse nelle numerose imprese che lo vedevano affaccendato (rincorreva il sogno di unificare l'Italia sotto la sua corona, roba da nulla per un tipetto vissuto nel 1400) si decise quindi di avvelenarlo, una roba pulita secondo gli usi di quei tempi.
Siccome però parliamo di un re, parliamo di uno con uno stuolo di assaggiatori, guardie del corpo, cibi e bevande controllate, insomma, mica facile.
Ma per fortuna dei suoi nemici Ladislao amava una cosa che non divideva con nessuno: la figa.
Quindi voi cosa avreste fatto? Avreste per caso spalmato l'organo genitale di una ragazza con del veleno per poi buttarla tra le braccia del re? Eh? Vi sembra un'idea idiota? Beh, secondo le leggende andò proprio così.
Lady banchettò con il fiorellino della ragazza fino a stare male e a morirne, letteralmente.
Al ritorno a Napoli il giovane re morì. 
Ma noi storici lo sappiamo, mica morì avvelenato, probabilmente morì di una malattia infettiva alla prostata. Comunque se l'era beccata allo stesso modo, è che a noi aridi topi di biblioteca piace fantasticarci un po' sopra.




La pillola di oggi è: diventati abbastanza ricchi da noleggiare un assaggiatore e abbastanza timorati di Dio da non rischiare. Io sono povera e atea, vivrò di rischi.

mercoledì 21 settembre 2016

Il lutto del protagonista

Guardo un sacco di tv.
Tv.
Non solo telefilm (che adesso bisogna chiamare "serie tv" se no la gente pensa che tu stia guardando roba tipo "Walker Texas Ranger" o "Melrose Place"), guardo un casino di docureality, soprattutto sui grandi omicidi americani.
Funziona così, si parte con un paio d'inquadrature ad cazzum di casette e alberi/cespugli/fontane e poi bang! il bel cartello della classica cittadina americana tranquilla tipo "MACON - Georgia - Casa della gente perbene che va in chiesa e non va in giro ad ammazzare altra gente".
SEMPRE.
In sottofondo una voce bassa comincia a descrivere l'idilliaco posto che state vedendo.
"La cittadina di Macon, Georgia, è un luogo tranquillo, la gente perbene va in chiesa e nessuno si aspetta che il male si nasconda dietro una di quelle case".
SEMPRE. NESSUNO SI ASPETTA MAI UN CAZZO DI NIENTE. VABBE'.
Dicevamo, nessuno si aspetta che il vicino ad esempio sia un pedofilo assassino, nessuno si aspetta che "il tranquillo adolescente silenzioso" della casa in fondo alla via sia in realtà uno spietato torturatore di marmotte. Nessuno.
Poi però ci scatta il morto, di solito una ragazzina in bici.
Tra una ricostruzione e l'altra ci sono i vari testimoni, sbirri e familiari che parlano della vittima. Una cosa molto triste, soprattutto perché, a detta loro, NESSUNO SI ASPETTAVA CHE IL MALE BLA BLA BLA.
E io li guardo.
Sono stravolti dal dolore. Li vedi. Guardi il loro groppo in gola e ascolti bene le loro pause. Sono lì, anni di unghie conficcate nei palmi delle mani, pugni serrati nascosti nelle tasche dei cappotti, mascelle tirate e occhi assenti. il dolore e la rabbia di chi ha amato e perduto.
Ma sul momento?
Cosa succede quando il dolore è lì? Cosa prova il padre della bambina in bici quando gli dicono che la figlia è stata ritrovata in un cestino dell'immondizia?

Gli attori dei docureality sono di solito solo fantocci che recitano 4 frasi in croce, le bionde di solito fanno facce stranite tipo questa:



Gli uomini si limitano ad avere una birra in mano e allargare le braccia. Stop.
E quando la ferale notizia raggiunge i fantocci, loro scimmiottano facce al limite della decenza, i più scafati si coprono la faccia con le mani. Perché il dolore non è mica roba da tutti. Rendere vero il dolore è come riuscire a far ridere: non basta una cipolla per piangere o una battuta su Jennifer Aniston che esulta sulla fine dei Brangelina per far ridere.

Così, una volta abbandonata Macon in Georgia e i suoi fantocci che si dannano di dolore per la morte della bambina in bici, guardo cosa mi consiglia YouTube.

Ed eccola lì, un'altra roba strana, Julia Louis-Dreyfus che riceve un Emmy.
Non per l'Emmy, figuriamoci, io le darei le mie cornee se solo Julia me lo chiedesse.
E' per il discorso.

Parte in modo splendidamente irriverente, paragonando l'attuale stagione di "Veep", il telefilm in cui interpreta una totale imbecille che combinazione, è anche il vicepresidente degli USA, alla realtà, con chiaro riferimento a Donald Trump e al suo essere un cretino totale.
Poi le mani tremano, la voce si rompe, i singhiozzi partono. Il premio è dedicato al padre, scomparso venerdì.
Cioè, quel venerdì.
La reazione del pubblico è un "OHHHHHHHHH", a metà tra "povera cara..." e "MA CHE CAZZO CI FAI QUI AGLI EMMY CAZZO? IO STAREI ROTOLANDO SUL PAVIMENTO DI CASA BAGNATA DALLE MIE LACRIME!".

Ancora adesso, riguardandolo, non capisco se piango:

A) Per i miei ormoni
B) Per il dolore immenso che guida quelle mani, quegli occhi bassi e quella voce.
C) Per il totale smarrimento, per il mio guardarmi intorno e non capire come si faccia a vivere con quel dolore così grande e riuscire comunque ad essere lucidi e superiori al resto del genere umano (Julia, ti amerò sempre, forse anche di più dopo tutto questo)

Il dolore per la dipartita di un proprio caro forse varia a seconda del modo in cui il caro se ne va.
La mamma del piccolo Tommy (ve lo ricordate? Quel bambino di 18 mesi rapito nel 2006 a Parma e trovato morto dopo qualche mese?) dice in un altro di questi stramaledetti docureality, che non appena qualcuno che non ricordo le disse che avevano trovato suo figlio morto lei aveva perso i sensi, stramazzata al suolo e incapace di ricordare qualsiasi cosa nei giorni seguenti.
Se invece il proprio caro muore dopo una lunga battaglia con un male terribile, allora il dolore si trasforma in agonia del ricordo, per cui due giorni dopo la sua morte fa male il pensiero che ormai sia tutto un ricordo, che il dolore, fisico o mentale, sia volato via, che a far male sia rimasto solo il dover ricordare e non poterlo più vivere.

A scrivere tutto ciò mi sento come Carrie Bradshaw mentre si faceva tutte quelle domande cretine sui single tipo: "Quando le cose sono troppo facili siamo portati a sospettare. Devono diventare complicate prima che possiamo crederle reali? Ci serve il dramma per far funzionare una relazione?o merda del genere.

Una roba tipo "Death and the city".

La lezione del giorno è che gli attori fingono bene, ma la tremarella alle mani ti tradirà sempre, sia nel dolore più profondo sia mentre leggi un discorso al matrimonio del tuo miglior amico. L'emozione fa parlare le mani.
Che è una delle scuse più usate da quelli accusati di aggressione, per dire.

mercoledì 7 settembre 2016

La cassetta di Bon Jovi

Accendo Spotify.
Scopro cosa mi offre la "Discover Weekly".
Mi metto una felpa. Guardo fuori dalla finestra.
Inizio.
Un altro Ars Moriendi sta per vedere la luce.

Mentre parte "Eyes without a face" di Billy Idol mi rendo conto di essere pronta per darvi una grande lezione. L'ennesima sulla vita adulta. L'ennesima sul passaggio da coglioni ventenni a condannati trentenni. 

A otto anni circa la mia preoccupazione maggiore durante l'estate era non fare amicizia con i bambini in spiaggia. Era così, non che avessi problemi nel socializzare o roba del genere, no, semplicemente volevo farmi i cazzi miei. Il mercoledì c'era Topolino in edicola, ogni giorno alle 16 passava il gelataio, un pover'uomo di 90 milioni di anni con un enorme frigo bianco che ciondolava da una bretella blu saldamente ancorata alla sua spalla artritica che procedeva tutto curvo e pendente per chilometri di spiagge bollenti, i vu' cumprà che vendevano musicassette improbabili, occhiali da sole che avranno bucato negli anni milioni di retine, braccialetti portafortuna di ogni tipo di colore che urlavano ESTATE da ogni loro filo per poi portare una sfiga talmente raggelante che avresti preferito tagliarti i polsi piuttosto che averli pieni di quella merda.
Le mie estati erano tutte così, una la fotocopia dell'altra. E io le amavo moltissimo.
Ma un anno vinsi un premio, il ché rese quell'estate la migliore di tutte.

Era l'estate del 1990, quella per intenderci, di "Notti magiche", della Nannini e Bennato che risuonavano in ogni bagno, in ogni bar, sotto ogni ombrellone. Specialmente sotto quello dei miei vicini di ombrellone.
Avevano solo quella cassetta.
Finiva il lato A, subito s'infilava il lato B.
Sempre la stessa fottutissima "Notti magiche". 

Ormai leggere Topolino era difficile, in ogni vignetta s'insinuava un "inseguendo un goooooal" e Basettoni ormai viveva perennemente "sotto un cielo di un'estate italiana". Un vero incubo "non è una favola ma dagli spogliatoio escono i ragazzi e siamo noi", per capirci.

Così una sera, come vi dicevo, vinco un premio.
Mentre sono in cabina telefonica con in mano pochi spiccioli per urlare a mio padre l'ennesima bugia "SIIIII STO FACENDO LA BRAVA", noto un luccichio. Il luccichio tipico dei premi e dei tesori.
Sopra al telefono qualcuno aveva dimenticato un walkman. UN WALKMAN.
E dentro al walkman una cassetta di Bon Jovi. Capisco la delusione, ma finalmente avevo un'arma contro Bennato e la Nannini. A colpi di "Livin' on a prayer"mi godetti il silenzio, il mio silenzio almeno.
Il mio isolamento estivo accelerava, il walkman era stato il mio upgrade definitivo.

Nessuno mi guardava, nessuno mi degnava di uno sguardo attento, nessun bambino veniva a chiedermi di giocare. Io dal canto mio non sentivo, avevo un paio di cuffie e un italo-americano biondo che mi urlava nelle orecchie.



Nel 1989 uscì "See no Evil, Hear no Evil", un bel film con Richard Pryor e Gene Wilder. Nel 1991 il sequel "Another You". Sarebbe stato l'ultimo film di Wilder. Forse fu l'ultimo film figo in cui recitò Richard Pryor.
Erano quelli gli anni croccanti, gli anni in cui il tuo attore preferito era Gene Wilder che sembrava sempre spelacchiato come tuo nonno, in cui Richard Pryor si sposava sette volte e abusava di cocaina, Totò Schillaci era un idolo nazionale e la vita sembrava lontana dalla morte. Le ultime estati leggere.

Poi leggi che Gene Wilder è morto. E pensi "cazzo, sono vecchio, sono vecchio, SONO VECCHIO"
L'estate è la montagna, le ferie in cui devi sempre avere il cellulare acceso, non puoi dormire in macchina ma fare da navigatrice. Tua madre ti chiama solo per sapere se hai fatto le lavatrici.
Nessun ombrellone, nessun vecchio sciancato che ti porta un Cucciolone tre strati, nessun vicino di ombrellone. Infinite foto di un millenario che avevi lasciato quasi sessantenne nel 1990 scorrono sul tuo smartphone, tutto è un furore di hashtag, hashtag per salutare qualcuno per sempre. Non mi ci abituerò mai. 
#AddioGene. Che cazzo è? Uno muore e tac, la lapide grafica è un cancelletto? #RIP. Agghiacciante.
In quell'estate del 1990 il cancelletto non so nemmeno se esistesse già nei telefoni della Sip.

E' arrivato settembre. L'estate 2016 è già stata archiviata. E con lei quella del 1990.

Ora che Gene se n'è andato non rimane che aspettare che il tristo mietitore colga qualche altro simbolo di quegli anni.
Uan.
Mauro Serio.
Luciano Onder.
Totò Schillaci.

E allora sì che potremo salutare con la manina i nostri ricordi infantili, infilarli in un baule insieme ai corpi dei miei vicini di ombrellone di "Estate '90", metterli in soffitta e continuare a camminare inesorabilmente verso gli 'anta, ovvero "quando porteremo i nostri figli fatti grazie al #fertilityday al mare dai nonni e noi dovremmo sorbirci le loro chiamate che alla fine ci spunterà pure la lacrimuccia mordendoci le labbra pensando che sono lontani, ma sono nella loro estate migliore".

#AddioGene
#ilcancellettoveroèquelloSip