lunedì 23 novembre 2015

Il freddo rintocco dell'autunno parigino.

Sono mattinate, queste di metà novembre, molto fredde.
Ho freddo.
Mi metto la sciarpa, infilo i guanti di lana che mi ha regalato mia madre, mi calo la cuffia calda sulle orecchie.
Eppure ho freddo. 
Un freddo che non passa, quello che di solito ti s'infila nelle ossa e ti passa solo dopo ore passate sotto il caldo abbraccio di una coperta mentre ozi sereno.
Ho talmente freddo che alito sulle dita mentre aspetto il bus.
Mi si gela il moccio nel naso.
Ho la temperatura corporea di Peter Falk.

Tutto ciò mi porta a credere che in realtà il mio freddo venga da dentro.
Quella scomoda sensazione di vuoto mischiata al dolore del sentirsi troppo vecchi per qualcosa, troppo stupidi per certi compiti, troppo in gamba rispetto ai cretini e troppo fregati dalla vita in generale.
Come guardare una puntata qualsiasi di "Everwood" dove il dottor Brown deve dare o ricevere una brutta notizia. 
O guardare una puntata di "Everwood" in generale.

Non c'è un modo semplice di parlare di un morto. Nemmeno di uno morto e stramorto. 
Non è facile parlare del faraone Tutankhamon, ad esempio, anche se è talmente morto che la sua memoria è già stata distrutta da una serie tv mediocre (per l'amor di Dio non guardate mai "Tut - il destino di un faraone", piuttosto esalate l'ultimo respiro sulle repliche di "Everwood"). Non è facile spiegarvi nemmeno cosa si prova di fronte alla morte: io, ad esempio, non ho retto l'impatto con la crudele sorte di Oberyn Martell e mi sono rifiutata di vedere "Game of Thrones" per quasi 12 ore.
Se non è facile scrivere di un morto o parlare delle nostre emozioni di fronte alla nera signora, figuratevi prendere l'enorme fagotto di sangue, morte e devastazione con cui abbiamo avuto a che fare dopo venerdì 13 novembre. In tutto questo polverone di emozioni mal gestite e soluzioni politiche alla MacGyver, abbiamo provato a capire e parlare, a confrontarci, soprattutto ad essere solidali con i nostri simili. Con esiti, prevedibilmente, disastrosi.
Abbiamo scelto di affidarci alle bandiere.
Poi, subito dopo, a lamentarci con chi non sceglieva la bandiera di quel paese o di quell'altro.
Abbiamo classificato i morti in "morti di Seria A" e "morti di Serie B".
Abbiamo cominciato ad aver talmente tanta paura da voler fare corsi di primo soccorso per imparare la manovra di Heimlich (pare che in un attacco terroristico la manovra di Heimlich, come difesa, sia inutile. A meno che non si elabori un attacco a base di strangolamento tramite Kebab)
Abbiamo cancellato viaggi di piacere. Anche se la meta fosse San Giorgio di Piano, è comunque pericoloso muoversi.
Abbiamo cancellato concerti. Ballare è pericoloso. Cantare pure. Farlo insieme è da pazzi.
Abbiamo litigato, abbiamo chiesto le bombe, abbiamo preteso scuse dalle persone sbagliate.
Abbiamo postato articoli pro, contro, a favore, in ricordo, di denuncia, anacronistici, con le mappe interattive, con i comici tedeschi.
Abbiamo capito che conosciamo persone che sono state a Parigi.
Abbiamo capito che a Giovanardi non piacciono gli Eagles of Death Metal. Possibilissimo che agli Eagles of Death Metal non piaccia Giovanardi.



Di alcuni di quei 129 morti parigini conosciamo il vuoto che hanno lasciato. Percepiamo il freddo di quel vuoto. Le lacrime del vedovo, del fidanzato, della madre le abbiamo sui nostri schermi insieme ai corpi accatastati e alle virgole di sangue che segnano il Bataclan. Di tutti gli altri ci preoccupiamo delle bandiere senza sapere che per molti paesi è solo un brandello di stoffa che sventola sopra macerie e morti che non ricordiamo perché siamo già stanchi di doverci incazzare per i nostri amici francesi che non possiamo poi farlo per tutti tutti. 

E insomma io non trovo nulla di meglio da scrivervi se non questo triste elenco di reazioni.
Perché è questa la mia reazione a caldo, sentire il freddo del vuoto, cerebrale altrui e di un lutto troppo grande e vicino per essere metabolizzato.
Allora, vi chiedo un favore. Vista la nuova ondata di gelo che ci aspetta all'approssimarsi del funerale della nostra connazionale, dove ogni politico parlerà e criticherà l'avversario di strumentalizzare i morti, dove ognuno di voi esprimerà per forza la propria opinione, dove non saremo immuni dal classico "R.I.P" scritto vicino al classico articolo condiviso, ecco cosa dovreste fare in caso io muoia per mano di un manipolo di disperati (che siano quelli dell'ISIS o i fan di "Everwood"):

- Vi prego scegliete una mia foto decente. Nel caso potrete sceglierne una tra quelle del mio viaggio in Provenza del 2010. Mi raccomando. Se mai finissi come tragedia del giorno da Del Debbio mi piacerebbe avere un bel faccino.
- Al mio funerale mettete in loop i seguenti pezzi: "Non, je ne regrette rien" della Piaf, "Feeling oblivion" dei Turin Brakes e "Brown eyed girl" di Van Morrison.
- Non fate intervistare mia madre.
- Nella risposta alla domanda "Com'era Federica?" evitate i seguenti termini: "lagnosa", "dolce", "simpatica". Piuttosto sostituiteli con "ragionevolmente incazzata", "sensibilona", "piacevole". E aggiungete "cacacazzi".
- Non fate intervistare mia nonna. Anzi, nessuna delle due.
- Non lascio nessun testamento d'intenzioni: odio tutti e lo farò per sempre.
- Dovrete tassativamente piangere. E parlare di "un talento che ci è stato portato via troppo presto" o qualcosa di simile.
- Visto che mi avete sfrantumato i maroni per venire ai vostri matrimoni in cappello o abito lungo ora dovrete ricambiare: cappello con veletta nera per le donne e completo nero per gli uomini.
- Ricordatemi sempre, ricordatemi tutti.
- Portatemi i fiori sulla tomba. E non finti, non fate i tirchi santo cielo.
- Divertitevi e bevete anche per me. Fate un funerale gipsy.
- Nessuna preghiera e nessuna opera di bene.

Vorrei silenzio e musica. Lacrime e risate. Il perfetto funerale di un bipolare.
Io, per l'appunto, che continuo a sentire il freddo di 129 vuoti nonostante sia sotto al caldo vento di un condizionatore e di una vita facile in un mondo che non è fatto per me.

La lezione di oggi è che non siete nessuno per dare lezioni agli altri. 
Se ci proverete sentirete molto, molto freddo.










lunedì 9 novembre 2015

La fregatura dell'aspettativa di vita: benvenuti nell'età adulta.

Partiamo dal fatto che io, in questo momento, potrei benissimo essere morta.
Se fossi vissuta (o meglio, sopravvissuta) nella mia amata Inghilterra medievale, a quest'ora, sarei già bella che defunta.
Una splendida aspettativa di vita di 33 anni.
Appena il tempo di compierli, soffiare sulle candeline, fare una visita oculistica e mettersi ad ascoltare cd esistenziali di Morgan e tac, la luce si spegne.

Ma soprattutto, la mia vita da 33enne, per ora, mi sembra inevitabilmente costellata di responsabilità da persona matura.
E, altrettanto prevedibilmente, non sono pronta ad affrontare nessuna di queste stramaledette incombenze.
Figurati, sono ancora qui che m'inquieto per il mio primo amore ascoltando i Marlene Kuntz.

La prima, schiacciante, responsabilità è quella di procacciarmi il cibo. Che visto che parliamo di aspettativa di vita nei secoli, la mia si avvicina a quella dei nostri avi cavernicoli. Soprattutto quando l'arrivo del mio stipendio non coincide con il periodo fortunoso del volantino Carrefour, quello con gli sconti migliori e i prodotti giusti.
La sintesi è che mi sto nutrendo di scatolette di tonno da sei giorni.
Roba che inizio a bramare le bustine del mio gatto.

La seconda problematica dell'essere adulti è la socialità.
Già mi è difficile rapportarmi con gli altri esseri umani, figurarsi a questa maledetta età. Devi sapere cosa si fa durante un rogito, conoscere gli usi e i costumi della tassa sui rifiuti, perfino essere scafata su tutte le voci della tua busta paga. E' tutto un cerimoniale di regole e cenni segreti che permea ogni aspetto della mia vita adulta.

Parole che entrano nella routine:
- contributi
- gomme da neve (sebbene io non guidi)
- compromesso
- ecografia senologica
- muco cervicale
- permesso
- rata

Parole che escono, trascinandosi via un pezzo di storia personale:
- bongo/bonghi
- cumpaz (compagnia, balotta, regaz. Quella roba lì insomma.)
- limonella
- terza birra media doppio malto
- vodka tonic
- 4 del mattino (Non esistono. Né per tornare a casa né per svegliarsi. Al massimo tornerà nella colonna superiore se avrò figli)
- festa di compleanno
- fuga

Adesso al massimo fai una "cena di compleanno", niente festa, tutti seri come ad un funerale. Pure i miei genitori si scordano del mio compleanno.
Anche per loro è meglio ignorare il tempo passa.




Terzo ostacolo pre-morte: sei troppo vecchio per avere altre chances.
Su tutto. Pure di procrastinare il pagamento dell'abbonamento del bus dal tuo edicolante che conosci da qualcosa come 15 anni.
Stop. Ormai sei adulto.
Il che comprende: smettere di dire parolacce altrimenti sembri una ragazzina volgare, smetterla di andare ai cortei per manifestare contro chi è più vecchio di te e sventola bandiere secessioniste e alza braccia al cielo per salutare vecchie cattive abitudini, smetterla di bere che poi ingrassi e i chili non li perdi più, smetterla di avere disordine e caos nella tua vita e nella tua casa, smetterla di pensare che avrai un lavoro migliore.
L'unica cosa che per ora ho smesso è di crescere di statura. Dal 1998 almeno.

Viviamo fino a 100 anni e a 33 siamo già morti, sepolti da scartoffie, responsabilità che molto spesso non chiediamo, ingiustizie che non possiamo combattere e precarietà.
Adesso e sempre, come a 20 anni.


Il periodo dei 33 anni è facilmente riassumibile con un'immagine.
Tu che sei lì, a fare il morto in acqua, mentre ti godi il sole, la brezza.
Galleggi, vieni sballottolato di qua e di là.
Pensi sempre che prima o poi ti metterai a nuotare ma in realtà, da lì a poco, l'acqua ti arriverà alle narici, poi ti entrerà nelle orecchie e ti sfiorerà le labbra.
In quel momento l'acqua comincia ad invaderti, lembo di pelle su lembo di pelle, fino a farti scomparire sotto, nel buio.
Ecco, l'acqua mi è entrata nelle orecchie.

Per favore, o torno nell'Inghilterra medievale armata di assi di pino e chiodi oppure piantatela di parlarmi di rogiti.