lunedì 26 novembre 2018

Di gatti, lutti e momenti bui

Novembre quasi agli sgoccioli.
L'ultimo Ars è di gennaio ed è buio come gli ultimi momenti di Dolores O'Riordan.
Spotify mi sta sparando nelle orecchie "Everybody Hurts". 
E' una domenica di merda come le altre mille già passate, in TV la maratona de "La Signora in giallo", il bucato è steso e puzza d'umidità e Lenor alla vaniglia, il te nella tazza è finito.

Ars Moriendi si è preso numerosi mesi di pausa per altrettanti numerosi motivi che ora vi spiego.

Il primo di questi motivi riguarda la mia anca.

Siccome non sono una persona particolarmente veloce per quanto riguarda l'adattarsi agli eventi naturali della vita come le gravidanze, l'organizzazione dei matrimoni o le inumazioni dei parenti, quando il chirurgo a fine gennaio mi ha informato del fatto che dovesse impiantarmi una protesi nell'anca mi sono immobilizzata come quelle capre che si fingono morte e si irrigidiscono e si buttano a terra. Una fottutissima capra immobile, nel corpo e nella mente.

A questo momento caprino si uniscono i motivi due e tre: le visite organizzate con So.Crem e la continua lotta per la sopravvivenza nei Centri Medici MioMiniPony dove lavoro.

Qualcosa e qualcuno doveva per forza essere messo da parte per permettere al mio essere capra di arrivare al giorno della mia operazione e superarlo senza traumi eccessivi.
E se per voi queste sono normali attività, priorità nella vita, per me aver messo in stand by amici e altro è stato complicato: parlando del blog, mi sono sentita come una di quelle madri che affidano il proprio figlio a qualche parente perché sanno che la loro vita va a pezzi e qualcuno devono pure salvare e mentre lo salutano, forse per l'ultima volta, gli dicono "Non preoccuparti, andrà tutto bene". 
Ecco, questa sono io mentre apro e chiudo il laptop con le lacrime perché so cosa scrivere ma non mi viene, non ora che sono così occupata a sopravvivere, che per me una protesi all'anca è invasiva come un triplo bypass coronarico (ho sempre saputo di essere una diva consumata, una Drama Queen con tanto di piume e lustrini).

Il quarto motivo è banale: mi sono comprata casa e per un mese Vodafone e la sua connessione sono state più irreperibili di Ylenia Carrisi. 

Il quinto motivo per cui non mi decidevo a riprendermi il mio bambino, la mia voce, è che il mio rapporto con la morte sta cambiando, io sto cambiando.
E la parola "cambiamento" non è sempre una parola facile da digerire (usiamola in una frase da brivido: "Quanto è bello questo governo del cambiamento!" notate quanto risulti sinistra come parola?) bisogna capire che strada si sta prendendo e puttanate new age varie fino a quando non scatta la voglia di riprenderti quello che hai abbandonato e vederlo crescere, magari diversamente da com'era nato, da quello che avevi pensato, dal suo originario scopo di sollazzo nella disoccupazione nera.

Così, dopo che Ars Moriendi si è sparato un letargo di dieci mesi, eccoci qui pronti a sgranchirci le zampe e tornare a ragionare, ridere e soprattutto piangere come se steste guardando una puntata qualsiasi di "Un medico in famiglia".

Il primo Ars Moriendi di questa nuova, complicatissima, estenuante fase della mia vita è dedicato ad un gatto.

Proprio una settimana fa Gino, gatto elevato a monarca di San Giovanni in Persiceto, meraviglioso paesino della bassa emiliana che amo molto, veniva investito nel buio e nel freddo delle strade novembrine. 
Ora dovete sapere che la pagina Facebook dedicata a Gino e alle sue regali gesta raccoglie quasi 10.000 persone. 
Tra quelle 10.000 persone ci sono anche io, e sabato scorso, mentre stavo rannicchiata sul mio lato del divano, quello vicino al termosifone, vengo fulminata dalla notizia dell'incidente di Gino.
Ho pianto e scritto messaggi a tutti quelli che lo conoscevano, ho messo like ad ogni foto, ad ogni testimonianza d'affetto per quell'adorabile felino. Ho avuto un crollo emotivo incontrollabile su ogni autobus pensando a cosa mai avrei potuto fare senza il mio gatto Vincent, quello a cui, nei momenti di incertezza e solitudine profonda dico "Sei il mio migliore amicooooo", quasi sempre reggendo un bicchiere di vino in mano, con gli occhi pieni di lacrime, mentre lui se ne sta lì a leccarsi le parti intime. Ho tentato anche di stringerlo, ma le sue unghie conficcate nel mio collo mi hanno fatto capire che forse non era il momento adatto per le smancerie.

Gino era uno di quei gatti liberi di vivere la propria città proprio come un re a cui si spalancano luoghi talvolta inaccessibili ai comuni mortali. La città si stringeva attorno al pelo color cipria di un gatto che incantava i bambini e rendeva gli adulti più vivi e compassionevoli. Ormai è passata una settimana e il dolore della gente di San Giovani ancora non si è esaurito.

Anche se speravo di non sentirla o leggerla da nessuna parte, qualcuno ha sussurrato la frase "ma è solo un gatto". 
Gino era un gatto, ma non era solo quello. Era un collante, una storia, una risata sulla faccia di qualcuno che non ride mai. Gino era un gatto che faceva quello che volevamo fare noi: vivere libero e gironzolare per la città amato da tutti, salutato come un vero re (io personalmente gli invidiavo i pisolini nella vetrina della farmacia). Gino era un gatto, era il gatto di qualcuno che lo amava ed era il gatto di tutti, era il paladino dei meno fortunati e il simbolo di una città. 
Gino era solo un gatto ma non un gatto solo.

Bisogna che Ars Moriendi ricominci a vivere e solo un gatto con le sue sette vite può aiutarlo donandogliene una.

La lezione di oggi è che non dovete giudicare la morte dal colore o dal pelo di chi muore, ma da quello che lascia dietro di se.



venerdì 19 gennaio 2018

Sii te stesso lungo la strada - Dolores O'Riordan (1971-2018)

Anno nuovo vita nuova, mi ripeto da lunedì.
Come al solito continuo a ripetermi sempre la stessa bugia.

Lunedì me ne stavo raggomitolata nel mio privatissimo angolo di divano quando, senza nessun tipo di preavviso, un enorme macigno emotivo mi squarcia l'anima . Quel macigno ha le sembianze di Repubblica.it: "Morta Dolores O'Riordan dei Cranberries".
Deglutisco.
Corro su Spotify e cerco "Ordinary Day", non so perché proprio "Ordinary Day", ma so che voglio QUELLA canzone in quel momento preciso della mia vita. Prevedibilmente inizio a piangere come se avessi perso ogni speranza nel mondo. 




E io le speranze le avevo perse tutte nel maggio del 1999.
Il Parma calcio aveva appena vinto Coppa Italia e Coppa Uefa, io avevo festeggiato con i miei compagni di classe a suon di cioccolatini e spumante. Non avevo nemmeno compiuto 17 anni ma ero già in un vortice di solitudine e depressione, ansia e tachicardia. Ma nessuno, nessuno al mondo, avrebbe mai potuto dirlo, nessuno avrebbe mai pensato "Dio santo Federica com'è depressa", mai nessuno avrebbe potuto, io per prima gli avrei vietato di pensarlo.

Sì, prima di qualsiasi fidanzatino eroinomane e violento, prima di qualsiasi relazione contorta e malata, prima di ogni litigio furibondo con amici e presunti tali, prima di ogni disturbo alimentare e compatimento vario, prima c'è stato il mostro nero. Forse c'è ancora, qualche notte.
Tutto iniziò allora, nel 1999, quando mi trovai sola davanti ad un'estate desolata.

Mi ritrovai tra le mani "Bury the Hatchet" quasi per caso. A ripensarci non ricordo nemmeno il perché mi venne mai in mente di comprarmi quello stramaledetto cd, so solo che lo ascoltai talmente tanto da consumarlo, da staccargli la copertina e da buttarlo nel posto più nascosto della mia camera pur di non riascoltare più la mia depressione, il mio mostro nero.

Così lunedì ho pensato a Dolores che mi aveva accompagnato, mano nella mano, in mezzo a quel momento nascosto della mia adolescenza, quando non potevo e non volevo dire a nessuno che dentro mi sentivo divorare da un mostro. 
E mi sono sentita una merda, una vera amica di merda, a non aver mai saputo che anche lei viveva con quell'enorme mostro dentro. Pensavo seriamente che l'unica sfiga seria fosse stato il duetto con Giuliano Sangiorgi dei Negramaro.
Così ho imparato, troppo tardi, della sua depressione, del suo disturbo bipolare che le aveva fatto urlare in un aeroporto irlandese "IO SONO LA FOTTUTA REGINA DI LIMERICK!"e che forse, in un momento diverso, mi avrebbe fatto ridere mentre bevevo una pinta di  Harp alla sua salute.


La verità è che quando convivi con la depressione, ogni cosa che scrivi, che pensi, che canti, anche solo una canzone che pensi per tua figlia, ti esce come se dovessi scongiurare l'abisso e i toni si tingono di blu scuro. 
Prendete "Ordinary Day", la canzone da cui sono partita e che nemmeno era inclusa nello stramaledetto "Bury th Hatchet": la canzone è dedicata alla figlia ma le strofe, anche se semplici e dolci, sono avvolte da una nebbia di paura e angoscia: "i can see that the darkness will erode"ovvero "riesco a vedere che l'oscurità ti divorerà" non è proprio una frase che lascerei a mia figlia.




Mentre le persone si arrovellano a pensare come Dolores sia passata dall'altra parte, io voglio solo citare qualche parola del bell'articolo di Giulio Cavalli sul mostro nero chiamato depressione, apparso su Left (leggetevi l'articolo intero: https://left.it/2018/01/18/come-ci-deprime-scrivere-di-depressione/):

"Il divo fragile da appena morto, come il collega o il famigliare o il vicino di casa, è una storia da negare perché portatrice di sventura e foriera di ingrigiti sentimenti e così la negazione della malattia (che è il primo e più grande errore di chi depresso lo è davvero) viene alimentata ancor di più dalla postura generale [...]
Farebbe bene a tutti, in fondo. Farebbe bene anche a me, che lì in fondo ci sono stato, e ogni volta mi ricordo di chi mi ammonì di non dirlo, di non scriverlo, perché “non porta bene”. E invece sarebbe bellissimo raccontare che poi tornano i colori."

Io non so se poi i colori tornano sul serio, magari torneranno sbiaditi come dopo un lavaggio sbagliato o forse brilleranno molto più di prima. La verità è che molte volte il mostro ci impedisce di vederli bene quei colori, confusi come sono dalle nostre lacrime perennemente appese nell'angolo dei nostri occhi.

"I can see that the sunshine will explode
Far across the desert in the sky
[...]
Life is more intricate that it seems
Always be yourself along the way
Living through the spirit of your dreams
[...]
I'll never let you down, won't let you down"

"Riesco a vedere che lo splendore esploderà 
Lontano attraverso il deserto nel cielo
[...]
La vita è più intricata di quanto sembri
Sii sempre te stessa lungo la strada
Vivendo attraverso lo spirito dei tuoi sogni
[...]
Non ti deluderò mai, non ti deluderò"

Ordinary Day - Dolores O'Riordan