lunedì 30 dicembre 2013

Bisogna credere nei segni, non nei sogni. Morte del 2013.

Un bel post catartico.
Uno di quelli che parla di fiducia, amore, speranza e magari di fortuna.
Ecco. Leggete un altro blog.

Qui si celebra il funerale di un altro anno da dimenticare che però, a differenza del 2012, è passato rapido e veloce come Schumacher sugli sci.

Ricorderò questo 2013 per la selva di voci e di grida, di contestazioni e discussioni feroci su quasi qualsiasi questione, dai test sugli animali al matrimonio di Belen fino ad arrivare ai milioni di commenti sulla tragica morte di Romboni. 
Sì Romboni. 
Dai, valà, Romboni. 
No, non l'inquilino del terzo piano, Calogero Romboni, quello con due nipotine, no nemmeno Marcone Romboni il salumaio di Via Nazionale. 
Dai, tutti sanno chi è Romboni  a giudicare dal fatto che tutti avessero un commento tecnico-tattico sulla dinamica della sua tragica dipartita. Io no, mi spiace. E nemmeno mi ricordo i film di Paul Walker, ma pare che la tragedia vi abbia consumato di lacrime.
E a parte tutto sto casino, il 2013, come dicevo, è scappato via in fretta, come un ladro che ci sfila il portafoglio in Via Indipendenza portandoci via ben più di qualche banconota 10 euro e una tessera dell' Esselunga. Maledetto 2013, mi hai tolto un altro anno di vita rimpiazzandomelo con un anno d'insuccessi, frustrazioni e Matteo Renzi, mi hai estirpato tutte le lacrime che avevo, quasi ogni giorno di ogni tuo inutile mese io ho pianto. Ti sei preso via i miei sogni, anche quello dove raggiante e magra in un abito a pois di Stella McCartney ballavo felice insieme a Daniel Craig mentre annunciavamo il nostro matrimonio ai nostri migliori amici - George Clooney, Christoph Waltz, Katy Perry e Jello Biafra. 
Un bel sogno in mezzo a tanta frustrazione, non solo mia, ma di quasi tutti i volti che ho visto di recente. Un'insoddisfazione che ci ha lasciato atterriti e desiderosi di una svolta.
E nel 2014, la svolta, ci sarà.
E non solo perchè lo dice Paolo Fox in completo nero e giacca rossa (e qui, signori, c'è della serietà: quando Paolo Fox mette nell'armadio il frac bianco, allora è guerra dichiarata a Saturno o qualsiasi altro pianeta che di solito porta scompiglio nei cicli mestruali femminili), ma perchè se i sogni son morti allora rinascono i segni, non solo quelli zodiacali. Almeno, come al solito, non il mio.



I segni sono importanti.
Per esempio, non ho mai sbattuto così tanto spesso nelle cose come in questi ultimi giorni. Non solo perchè il mio volume corporeo aumenta sempre di più causa cenoni e pranzoni natalizi, ma anche perchè non sono attenta. Ho la testa altrove. Sento il cambiamento. 
Oppure il fatto che la mia nuova cotta Jean Dujardin abbia appena divorziato e io lo sia venuta a sapere oggi.

Anche se il segno che questa volta non c'è solo la morte all'orizzonte me lo da l'incrollabile fiducia nel fallimento collettivo. Posso continuare a fallire, ma questa volta so di non essere sola, ho sentito e visto abbastanza per capire che non avrò l'amore fiabesco e idilliaco di Jean Dujardin ma almeno posso contare sull'affetto di un uomo buono per cui ho combattuto come Signorini contro la neve a Cortina d'Ampezzo, fallirò nella ricerca di un nuovo mestiere, ma almeno saprò cosa volere e che condizioni dettare, perchè a volte l'orgoglio costringe a ripensamenti e negoziazioni. Se avessimo orgoglio collettivo e rispetto per noi stessi allora forse non lavoreremmo come schiavi guadagnando meno dei nostri nonni e rimanendo senza possibiltà di figliare al contrario dei nostri stoici genitori. Continuerò a sbagliare tono, battaglia, attività fisica, abbinamento dei colori, ma almeno so che non sarò la sola a fregarmene e a guardare oltre. 

Uno sguardo oltre. Più vicino all'aldilà forse, ma con gli occhi aperti, lucidi e furbi.
Muori 2013.
E porta con te chi vuoi.

lunedì 16 dicembre 2013

Come mi frega Peter O'Toole

Una delle dieci domande preferite dell'alzheimer di mio padre è "Ma Peter O'Toole è vivo o è già morto?"
Fino ad oggi brancolavo nel buio, rammentavo sparute apparizioni in qualche serie tv, nessun necrologio con la voce impostata e impomatata di Anna Praderio e soprattutto nessuna replica di "Lawrence d'Arabia". Ciò mi portava fieramente a collocarlo tra i prossimi al decesso in un fantamorto tutto mio che tra gli altri prevede Kirk Douglas, Michael Douglas, Davide Mengacci e Gegia (lo so, punto in alto con l'ultimo nome).

Finalmente, diciamolo, il vecchio è crepato. 
E con lui le angosce cinematografiche di mio padre. Per ora.

Poi, in tutto questo bailamme di morti celebri (da Paul Walker "insegna agli angeli a fare le sgumme e di che colore precisamente è Vin Diesel" passando per Lou Reed e arrivando fino a Mandela, per i giornalisti de Il Giornale "padre dell'Apartheid) decido di dedicare l'ars moriendi di oggi a lui per un motivo preciso. 



Peter O'Toole era uno spaccaballe. 
Uno, per capirci, che per vent'anni ansiolizza e tiranneggia la moglie con la sua ubriachezza molesta. Uno che si vanta di sapere tutti i sonetti di Shakespeare a memoria. Uno che rifiuta il titolo di Sir per convinzioni politiche a noi sconosciute (forse anche allo stesso cervello di O'Toole).
Uno che riceve 8 nomination all'Oscar senza mai vincerlo e poi s'incazza quando glielo danno alla carriera, che voglio dire, è lecito, ma Leonardo di Caprio la prende con molto più savoir faire.
Ecco.
Ma quel Peter O'Toole, cresciuto in un collegio di suore, tra i pub di Leeds e le scommesse, un carattere strafottente e burbero ed un animo da poeta (comunque molto affascinante, un ragazzaccio che veniva menato dalle suore. Come non invaghirsene?), era il mio calendario. Sapevo che ad ogni "Ma Peter O'Toole è vivo o è già morto?" avrei trovato un raccordo d'intima intesa familiare con mio padre, una cadenza affettiva che scandiva gli anni, una certezza che mi dava sempre più autorità, mi consacrava come la "memoria di casa Dodi". Ora so che il mio compito sarà ricordare l'anno della dipartita. Ma non sarà più la stessa cosa, la stessa scena seduti davanti al tavolo e ad un piatto di spaghetti al tonno cercando di arginare le derive assistenzial-cattoliche di mia madre.

Attendo fiduciosa un nuovo dialogo padre/figlia basato sulla prossima, nebulosa dipartita di qualcuno. Magari tra qualche giorno sentirò mio padre chiedermi "Ma Kirk Douglas è vivo o è già morto?". E lì, fiera e col sorriso di chi sa, gli darò la risposta che aspetta.

Sempre che Gegia non gnicchi prima.


lunedì 11 novembre 2013

Il disturbatore e il suo contrario.

Mi sembra ieri quando, non so sul serio spiegare come, finii sul sito internet di Gabriele Paolini. In realtà abitavo in un'altra casa, con un pessimo computer e una connessione che risaliva all'incoronazione di Carlo Magno, anno più anno meno.
Il sito grondava pupù.
Letteralmente.
Elogio delle deiezioni umane. Wla pipì, w la pupù.
E non scherzo, giuro. Avrei voluto il blocco per i minorenni.
Se andate ora su http://www.gabrielepaolini.com/html/index.htm troverete toni più miti, ma anche una dura e severa reprimenda verso i comportamenti sessuali di Silvio Berlusconi.
Quindi quando oggi mi è giunta all'orecchio la notizia dell'ingabbio di Paolini, subito il pensiero è volato al caro, vecchio, amico Frajese.



Lontano negli orizzonti del passato, si palesa di fronte a me quel momento speciale, respiro quell'aria frizzante e giocosa. Siamo in Francia, siamo nel 1998 e ci sono i mondiali di calcio. In radio Ricky Martin imperversava con "La Copa De La Vida", da cui ricaverà altri 754 pezzi simili, in tv c'è il nuovo, immancabile, spot della Nike con il solito mucchio di calciatori che si sollazzano tirando calci ad un pallone qua e là nel globo e tutto, serpeggiando nella calura e nell'afa tipicamente italiana, urla e gronda CALCIO. I mondiali sono lì, nell'odiatissima Francia, che per l'occasione brulica di italiani assetati di vino, gnocca e pallone. Tra di loro, Gabriele Paolini, "il disturbatore", sbarcato oltralpe per non chiare ragioni. 

L'occasione si sa, fa l'uomo ladro. E Paolini vede un nugolo di persone attorno ad una telecamera, si avvicina, pensa di fare il suo solito, impunito, show. Sbircia, si appoggia ad uno quegli "irriducibili tifosi", scivola e lo travolge. Il tifoso si rialza e prende inavvertitamente contro al conduttore del servizio, spinto sempre dall'incontenibile ego sovversivo del Paolini.

Ecco che scatta, improvvisa e rapida, la risposta del serio e compito giornalista. 
Una scarica di calcioni nel culo scagliati senza ritegno, ma con classe: per tutta l'aggressione l'inviato del TG1 tiene la mano sull'auricolare non tradendo l'aplomb da gentiluomo di altri tempi dato anche dalla sua cravatta regimental.
E alla fine riprende la diretta con un deciso "Chiedo scusa". A terra, fuori dall'inquadratura, un Paolini neutralizzato come mai, purtroppo, si rivedrà.



Caro buon Frajese, ora tu forse saresti il primo a dare la notizia dell'arresto di Paolini, ma purtroppo non sei più tra noi. La tua calma annoiata, il tuo giornalismo non urlato, i tuoi commenti pacati mentre ci raccontavi il palio di Siena ci mancano molto( Il palio è una metafora, è lo specchio della vita e della morte). Ci piace, ora che finalmente il disturbatore ci risparmierà per un po', ricordare che una volta, fuori da denunce e ridicolo giornalismo sensazionalistico, un paio di sberloni ben assestati male non facevano.


La lezione del giorno è che a volte un paio di calci nel deretano riassestano equilibri che nessun armistizio, tavola rotonda, salotto della D'urso, buona parola di Signorini o tregua possano mai rimettere al loro posto.
Agite di conseguenza. Ma indossate sempre ottime cravatte.

P.S. : oh, visto che Paolini di recente si è buttato nel porno, spero in un film che veda protagonisti lui e la prima moglie del buon Frajese: Marina Hedman Bellis alias Marina Lotar, una delle prime pornostar del cinema italiano. Quanto je roderebbe al buon Paolo!


mercoledì 16 ottobre 2013

La ruota gira per tutti. E a volte esce il Cento.

Ve la ricordate Iva Zanicchi a "Ok il prezzo è giusto"?
In particolare, vi ricordate il fatidico momento in cui i concorrenti si accingevano, madidi di sudore e speranza, a girare la gigantesca ruota colorata piena di numeri mentre il pubblico urlava "CENTO,CENTO,CENTO,CENTO" ?
Ecco, alcuni di loro vedevano sgretolarsi le loro illusioni quando la ruota si ferma sul 20, altri, giulivi bastardi, godono con un 85. E poi ci sono gli eletti, quelli del 100. 



Ma non sempre fare 100 è un gran colpo. 
Magari per Erich Priebke fare 100, e qui parlo dei suoi anni,  è stato il coronamento di una vita che lui considerava immacolata e giusta. Più o meno come se io considerassi la mia alimentazione salutare e variegata.
Per un uomo i cui numeri sono stati fondamentali nella vita (ricorderei per primi quei 5 rastrellati in più nell'eccidio delle Fosse Ardeatine) almeno quanti gli anni, arrivare alla geriatria più estrema, dev'essere stato un puro godimento.
Ma adesso che se n'è andato e vorrei sentire il silenzio della decenza, assaporare la giusta ed indignata indifferenza che si deve ai vili ecco che sono infastidita dal solito trambusto all'italiana. Un enorme carrozzone guidato da lefebvriani ringalluzziti, trainato da neofascisti ubriachi e animato dalle nostre sacre istituzioni deliranti che non sanno dove nascondere il corpo di un nazista centenario. Roba che Riina te lo murava in un pilone di cemento in meno di due minuti, ma se così fosse stato allora ecco che avremmo assistito all'eco di polemiche sterili sulla fattura del cemento, la posizione poco strategica del pilone (va bene il pilone, ma non a Roma, ma il pilone Henningdorf non lo vuole, si può bruciare il pilone?) le manifestazioni neofasciste attorno al pilone, e così via. 

L'unica vicenda della vita di Priebke, ed in generale della società italiana, che non mi convince è la sua partecipazione come giudice della giuria del concorso di bellezza "Star of the Year" nel 2008. Fu il presidente della giuria, ma solo in via telematica (pazzesco), della finale del prestigioso concorso tenutosi a Gallinaro, Frosinone. Manco a dirlo, l'edizione del 2008 non ha filmati disponibili su YouTube. 
Pare che il giudice Priebke non abbia potuto sollevare la paletta per dare un voto alle ragazze, un 5 di disapprovazione o un gustoso 9, ma almeno ha mandato un videomessaggio in cui bacia e abbraccia tutte le giovani donne del concorso.
La degna conclusione dell'evento fu una pioggia torrenziale stile scena iniziale di "C'era un cinese in coma".



Lasciamo che Priebke marcisca velocemente. Lasciamocelo alle spalle. D'altronde gli abbiamo concesso 100 anni per parlare, non esprimersi a favore o contro qualcosa, essere accigliato e scontroso, andare a lavoricchiare dal suo giudice. 
Non ricordiamo lui, ricordiamo quei 335 che non sono potuti arrivare a spegnere la centesima candelina. Quelli che, per intenderci, non hanno girato la ruota.

La lezione di oggi è: la vita, come dice sempre quell'illuminata di mia madre, è una ruota che gira. Ma per qualcuno, se esce il 100, la ruota si ferma e il male ristagna.


domenica 22 settembre 2013

Una pagina scritta.

Vi avevo lasciato con una pagina bianca. Giuro, non era un'uscita da diva. Era solo un momento di sconforto.
E tanti mi hanno confortato. E sconfortato.
Mi son sentita dire che il vero dolore, io, non so nemmeno cosa sia.
Vero.
Se devo essere sincera, la morte non ha mai sfiorato la mia famiglia in modo palpabile. I miei sono ammaccati ma ancora in piedi, gli mancano alcuni organi, alcune funzioni allegoriche, ma tutto sommato se ne stanno lì granitici e non c'è giorno in cui io non ringrazi una divinità a scelta per averli ancora qui, vicino a me. Anche se l'amore è rarefatto e l'affetto è accennato, vederli mi fa sentire semplicemente viva.
Le mie nonne poi son talmente vive che mi sento più vecchia di loro. 
Mi hanno dato della depressa.
Vero.
Ma evito la solita tiritera "Sfido a passare un anno come il mio bla bla bla". Sapete, ognuno passa i propri guai. E alcuni di noi sono riservati, nascondono i loro dolori tra le pieghe delle loro giornate. Io le pieghe le spiano, scuoto i lenzuoli che avvolgono i miei giorni, li stendo e li faccio vedere a tutti, logori e strappati o bianchi e splendenti. Non ne faccio un vanto. Anzi. Mi sento peggio di un tronista di "Uomini e Donne". Colpevolmente vi parlo della mia vita. Nel bene e nel male, nel sorriso sincero dei miei amici e nei silenzi pieni di angoscia del mio lavoro. Negli occhi unici e strabici dell'unica persona che mi sopporta. E che sopporto, quasi come la Pina sopporta Fantozzi o Dudù il cane  il suo padrone Silvio B.
Mi è stato detto che la colpa è mia. O forse me lo son detta da sola. 
Falso.
La colpa di questo dolore che mi attanaglia e mi fa respirare dentro ad un polmone d'acciaio non è SOLO mia. E' colpa della natura che fa fermentare le cisti dentro al mio rene destro. E' colpa del mondo del lavoro e del mercato della cultura che mi ha relegato a rispondere al telefono a malati terminali che non sanno o non vogliono sapere di esserlo. E' colpa delle persone e delle loro insicurezze che non gli permettono di notare la splendida creatura che sono. E' colpa di questo buco dell'ozono.



Christopher Reeve era Superman. Poi, come un Zorro qualsiasi, cadde da cavallo e rimase tetraplegico per oltre nove anni prima di andarsene per sempre. Quello che Reeve c'entra con questo post è che la vita va avanti anche senza il nostro corpo, ma a che pro? 
A volte anche senza il nostro pensiero. Pensate a Eluana Englaro. Pensate alla trappola, rimanere imprigionati nel proprio corpo e nel proprio respiro. Pensate di avere polmoni così rattrappiti da non poter muoversi o un cuore che si ferma perchè ormai è vuoto.

Provocatoriamente il senso di questo post è: Respirate solo se potete essere vivi e coscienti per farlo, camminate e correte verso il futuro, non tornate indietro se non per studiare il passato. 
E soprattutto, non giudicate la gente. Aspettate che sia morta per farlo.



domenica 25 agosto 2013

Una pagina bianca

Domani torno al lavoro.
Le ferie son finite. In effetti 5 giorni di vacanza logorerebbero chiunque. Ma le mie sono cominciate con un funerale e oggi tiro le somme.

Da quando a febbraio dell'anno scorso ho aperto questo piccolo spazio mortifero, la mia vita si è in fretta abituata al grigiore del trapasso e al dolore della perdita, nemmeno avessi aperto una pompe funebri self service. E' come se questo blog fosse ammantato e avvolto da una maledizione sottile che negli ultimi 12 mesi mi ha tolto una vicina di casa, due professori straordinari ai quali ero legata, Amy Winehouse e un Grande Amore.
Ogni volta che le mie dita tozze e stanche battono sui tasti nell'incessante tentativo di rendere digeribile la pietanza indigesta della morte, mi sento leggera. Scrivo per me, scrivo per te, scrivo soprattutto per non scordarmi come si fa (la prova dell'esercizio è una costante da non sottovalutare. La frase "E' come andare in bicicletta" è una frase del menga: io, sebbene passassi le mie giornate fanciullesche sulla preziosissima Graziella di mia nonna, ora son peggio di un reduce del Vietnam, manco so salirci su un trabiccolo a due ruote.) e l'argomento è sul serio l'unico di cui possa vantare conoscenza illimitata, fin da bimba so come si svolge il processo crematorio grazie alle riviste della So. Crem a cui era abbonato per oscuri motivi mio nonno e che da ragazzina divoravo quanto un buon Topolino; mia madre trovava sfizioso raccontare e sviscerare la tematica "funerale" all'ora di pranzo, ancora adesso esprime il suo desiderio di essere cremata e soprattutto che la cerimonia e il tutto, anche i minimi particolari, siano curati dalla sua pompe funebri preferita.

Ma continuare a scrivere diventa un esercizio troppo doloroso dopo l'ennesima perdita, l'ennesimo shock. Tutto mi sembra diventare fin troppo reale, il dolore, la sopraffazione, il tornare ad una vita normale. Io mi arrampico da più di 400 giorni e da 400 giorni cado e mi rialzo. E i miei glutei purtroppo non ne traggono giovamento. 
Son qui per gettare la spugna.
Non riesco ad essere più una buona compagna se mai qualcuno volesse che lo fossi.
Non riesco a lavorare in modo eccellente. Tutt'al più in modo approssimativo e decente. 
Non riesco a non essere piagnucolosa e lamentosa. Provate voi a cadere tutti i giorni per terra e poi guardatevi la faccia allo specchio.
Forse non riesco nemmeno più a scrivere. Ma questa dev'essere la maledizione di questo Ars Moriendi.

Questa volta la lezione vorrei me la deste voi. 
Cosa si fa quando non si riesce più a rimettersi in piedi dopo una caduta?

Per ora, io qui lascio una pagina bianca.

giovedì 22 agosto 2013

Qualcosa che non puoi rimpiazzare.

Ognuno di noi ha la propria storia. La nostra vita scorre veloce, le nostre giornate sono come pagine di un libro, che tipo di libro lo decidiamo noi. Il mio ad esempio sarebbe un album da disegno Disney intervallato da romanzetti rosa anni '50 e picchi di tensione alla Daphne du Maurier.

C'è una persona che ha scritto le pagine del suo libro in un linguaggio antico e ha speso la sua vita a spiegare agli altri come decifrarlo. 
Questa persona mi ha accolto nel primo giorno della mia vita nuova almeno 10 anni fa.



Nella vita si sbaglia, e io che sono campionessa mondiale di magagne, tanti anni fa mi ritrovai in una nuova università con l'imperativo morale di farcela, di dimostrare a me stessa che nonostante la fallimentare condotta scolastica delle scuole superiori una volta arrivata a varcare la soglia universitaria la storia sarebbe cambiata. Non successe così la prima volta: una città inospitale, un corso non adatto a me, pochi compagni con cui condividere appunti, risate e frustrazioni.
Decisi di riprovarci, di tornare alla vera passione. Di seguire il cuore, e quello, manco a dirlo, correva all'indietro verso cavalieri, dame, castelli e maghi.
Così eccomi lì, in un nuova università, circondata da volti nuovi e giovani, di fronte a quell'aula ancora semivuota con un groppo in gola e la paura di sbagliare ancora, ma sul mio personalissimo diario quel giorno di ottobre era segnato come l'inizio di qualcosa di nuovo, in rosso con un pennarello sottile avevo scritto : "Domani prima lezione di STORIA MEDIEVALE! Si comincia con paleografia!!!", abusando di punti esclamativi come avrebbe fatto qualsiasi adolescente innamorata.
Fu davvero l'inizio di qualcosa. In quell'aula trovai Eldorado. Un emozione più grande che ritrovare il Sacro Graal in cantina, il cuore che si risana dai buchi degli sbagli, il sorriso che si allarga come un arco teso e il cervello riempito di nuova, incredibile materia su cui costruire la propria futura identità culturale.
Fu lui, quello scrittore sconosciuto dal linguaggio misterioso, ad accogliermi, ad accogliere molti di noi. Insegnò la sua materia come un direttore d'orchestra al concerto di Capodanno: deciso ma giusto, simpatico e sornione, gentile e puntuale, giovane ma competente e preparato.
Ci guidò nelle prove più complicate senza mai farci sentire inadeguati o sciocchi. 
Bastava guardarlo dritto negli occhi per sentirsi sicuri. Era divertente seguirlo nei suoi borbottii contro questo o quel ciarlatano. 

Uno scrittore che ha finito di scrivere il suo libro sul più bello lasciandoci senza strumenti e a bocca aperta. 

Sui tanti visi bagnati dalle lacrime ieri, al suo saluto, si leggeva l'incredulità e lo smarrimento. Ci ha lasciati con il suo passato, ha rotto il presente e ora il nostro futuro ricomincia a coprirsi di buchi, la trama delle nostre pagine comincerà a essere meno comprensibile, più frastagliata e difficile da comprendere, almeno per un po'.

Ma sono sicura che ritroveremo il coraggio di riprendere in mano quello che ci ha insegnato e come giovani amanuensi saneremo le ferite e riempiremo di nuovo quei buchi con le nostre gioie e le nostre vittorie, con la leggerezza di un sorriso o la caparbietà che riverseremo in un nuovo progetto. 

Perché in fondo avevi ragione, la paleografia, da ieri, è diventata leggenda.
Ciao Giovanni.

(E siccome youtube o Blogger.com han deciso di non farmi condividere la sua canzone preferita allora vi passo il link:  http://youtu.be/S9lem-HuTrY )





mercoledì 14 agosto 2013

Pillole di morte: Casi umani del Club 27.

Il Club 27 è quel club esclusivo a cui appartengono giganti della musica morti prematuramente a 27 anni, nell'apice della loro carriera  e vita, i cui "membri fondatori" furono Brian Jones dei Rolling Stones, Jimi Hendrix, quella matta di Janis Joplin e il tenebroso Jim Morrison, che in comune avevano anche la lettera "J" nel nome o nel cognome.
Poi arrivarono gli altri.
Tipo Kurt Cobain e Amy Winehouse.
Ma c'è un sottobosco di casi umani che popola il Club 27.
Ad esempio il caro Jon Erik Hexum, modello e cantante, che nel 1984 non trovò di meglio da fare che puntarsi alla tempia una pistola caricata a salve e fare bang! ignorando che, sebbene fosse a salve, l'impatto col cranio gli provocasse lesioni tali da ucciderlo dopo una lenta agonia di ben 4 giorni. Una sorta di Roulette Russa soft-core per modelli imbecilli, altro che Christopher Walken ne "Il Cacciatore"al massimo un Renato Pozzetto in "Un povero ricco".
O il dannato Robert Johnson, morto nel 1938 a forza di scolarsi whisky ripieni di stricnina, gentile omaggio del barman particolarmente offeso dal fatto che il giovane bluesman s'inzaborrasse ripetutamente la signora barman. Di lui esistono 3 tombe, molte leggende su come vendette l'anima al diavolo per suonare divinamente la chitarra e qualche buona incisione.
Ma quello che più ha segnato la mia vita è (momento di suspance derivato dal fatto che pronunziare o scrivere il suo nome mi procurerà immani sciagure) Richard James Edwards, dei Manic Street Preachers.
Quello che mi sconvolse fu sapere che Rich uscì dal suo albergo di Londra in una fredda mattina di febbraio del 1995 per scomparire nel nulla più spietato. Trovarono la sua macchina su un ponte noto ai suicidi, tipo il balcone di Giulietta per gl'innamorati o un negozio Prada qualsiasi per i giapponesi. Fu dichiarato morto nel novembre del 2008.
Da allora infesta i miei momenti neri.
Il solo nominarlo o vedere un video dei Manic Street Preachers mi ha fatto rompere piatti, buttare all'aria relazioni sentimentali, ha mandato in crash intere partite dei Sims durate anni, lacrime e sangue.




La lezione è che benchè tu faccia parte di un Club, anche il più esclusivo, ciò non significa che tu sia per forza un figo.
Buon ferragosto a tutti, state lontani da droga, ponti, barman o pistole a salve. Al massimo fate come il PD: puntate ai vostri coglioni e fate fuoco.

mercoledì 7 agosto 2013

E poi non mi accorgo che alcuni muoiono.

Non so nemmeno come ci sono arrivata a guardare su youtube i video "In Memoriam" delle varie edizioni degli Oscar. Anzi sì, mi è venuto in mente. Cercavo qualche chicca su Law and Order, uno dei miei caposaldi in fatto di serie tv, e mi sono imbattuta in Jerry Orbach.
Dai, Jerry Orbach, il papà di Baby.
Dai, Baby, quella di "Nessuno può mettere Baby in un angolo".
Ecco, il papà di Baby era Jerry Orbach. Ma io voglio ricordarmelo come, il poliziotto, l'ex alcolista, l'irlandese, il pluridivorziato, tutto in un unico personaggio: Lennie Briscoe.
 
 
 
Sapevo della sua dipartita. Ma mi sono accorta, guardando i vari video, che mi sono persa un sacco di altre, croccanti, dipartite.
Tipo.
Ma voi lo sapevate che era morto Michael Chricton, lo scrittore di Jurassic Park, Congo e E.R.?
E Dennis Hopper? Cristo, Dennis Hopper. E' morto e io me lo sono perso.
E il Maestro Miyagi.
Così mi son guardata tutti i video, tutti i volti, tutte quelle persone che ballavano, piangevano, ridevano.
E mi sono intristita.
Naturale, se guardi immagini di gente morta prima o poi dovrai intristirti. Non è mica come guardare Max Pezzali afono piangere, quello rallegra i cuori e i timpani.
Sarà la musica classica o Celin Dion che canta col suo naso adunco e quegli occhi da cucciola bastonata, sarà Bologna d'agosto che mi tiene prigioniera, sarà il mio futuro che mi sembra quello di un'altra, ma tutte quei personaggi le cui vite son state spalmate in 3 minuti di video mi han reso triste
Gli applausi che impennano su un Marlon Brando o una Liz Taylor e si smorzano su visi sconosciuti poi, beh quelli mi stringono il cuore.
 
 
 
E' vero, non possiamo ricordarci di tutti, ci ricordiamo i migliori.
E a volte, come è capitato a me, ti scordi anche di loro.
 
Mi aggiro nei corridoi del reparto di oncologia dove lavoro come uno zombie sorridente. Uno zombie sorridente di 70 chili, rallentata nei movimenti e in pieno stato catatonico.
Guardo i volti di quelle persone e mi sembrano tutti uguali: le parrucche sono sempre le stesse biondo cenere con meches scure (un vero trend a quanto pare), le cicatrici scavate nel cranio, i cappelli e gli occhiali scuri che nascondono teste pelate e occhi pieni di sconforto.
Sono quasi indifferente al loro dolore. Non voglio conoscerne i nomi e le storie.
So che non potrò ricordarmi di tutti nel momento in cui la luce se ne andrà.
Forse è per questo che ho rimosso Dennis Hopper.
Forse è per questo che continuo a pensare che mia zia Olga sia ancora viva o che Lady Diana e Madre Teresa siano zompettanti tra un campo minato e uno slum indiano.
Non ho più spazio nel mio cervello, ma soprattutto nel mio cuore.

Concludo solo dicendo che forse dovrei lavorare come fioraia in un angolo solitario del mondo, che dovrei vedere più vita, vivere meglio e morire meno.

La lezione di oggi è che il mio cervello è chiuso per ferie mentre il mio corpo è costretto a lavorare: non sarò divertente, ma la morte non può essere sempre divertente.
Almeno non quanto i video "In memoriam".

sabato 13 luglio 2013

La Posta del Cuore: Abelardo ed Eloisa

Capita che nella vita, sventuratamente, ci s'innamori.
O perlomeno che ci si arrivi vicino, tanto da sfiorare quel momento d'inesplicabile gioia che dipende da altro rispetto a noi stessi. Fosse anche un dannatissimo Magnum al cioccolato bianco.
Capita dunque che si perda la testa, la cognizione anche minima dei classici doveri giornalieri. Ci si perde in un mondo di nebbia rosa e cuoricini svolazzanti. Salvo poi sbattere il muso a terra alle prime avvisaglie di quelli che sono i pericoli e le insidie dell'amore.
Oggi mi dedicavo all'edificante lettura di un settimanale femminile consigliatomi dal mio edicolante del venerdì sera (quello a cui di solito chiedo L'Espresso e che di solito mi suggerisce Gioia o Grazia o Rakam - Speciale punto croce) e rabbrividivo.
Leggevo la lettera sconsolata di una giovane 22enne che si lamentava che il suo ragazzo 23 anni non le dicesse mai "Ti amo", a lui bastava dirle "se son qua vuol dire che ci tengo, no?". Abbastanza agghiacciata dalla dimostrazione d'affetto maschile, dolce come la classica Kleenex di carta vetrata sui genitali, leggo la risposta dell'esperta (la qualifica di esperta mi basisce sempre un po': esperta de che? De limoni in macchina? Di amore coniugale over 50? Fanno dei corsi da "Esperta di posta del cuore"? Fosse per me risponderei a tutte, sempre, con raffiche di link di Pornhub)
L'esperta consiglia di "educare" il fidanzato al romanticismo a suon di film, libri, letterine d'amore.
Allora, manco un Dobermann potrebbe patire tale "educazione", andrebbe soppresso per i latrati da sofferenza dopo il primo film con Julia Roberts. Ma poi, perchè "educare" qualcuno a qualcosa per cui non si è portati? Sarebbe come provare ad educare Paris Hilton all'uso delle mutande.



La verità è che le letterine d'amore funzionano quando si è separati, lontani.
Come facevano quei due gagliardi di Abelardo ed Eloisa.
Lui, giovane figo chierico dalla carriera illustre di teologo, lei giovane pischella intelligente e colta quanto basta per essere donna nel 1116.
La storia comincia con lui che fa da precettore a lei, da cosa nasce cosa, baci di qui, baci di lì, una mano su una tetta e tac! Eloisa e Abelardo si amano illecitamente, scappano, si sposano in gran segreto, ma per evitare scandali, derivati soprattutto dal fatto che Abelardo nella sua condizione di chierico non potesse contrarre matrimonio, quest'ultimo decide di allontanare Eloisa mandandola in convento.
I parenti di lei non gradiscono questa sorta di "ripudio" e pensano bene di evirare Abelardo.
 
Così, i due sventurati amanti, passano il resto delle loro vite lontani l'uno dal corpo dell'altro.
Ma Eloisa, sempre perduta nell'amore per Abelardo, gli scriverà struggenti lettere d'amore ricordando i tempi della loro grande passione.
A lei mancava quel "momento d'inesplicabile gioia che dipende da altro rispetto a noi stessi".
A lui mancava soprattutto il pene.
Abelardo la riporta ai suoi doveri di badessa, le ricorda di pregare e studiare, di smettere di rivangare quei momenti (tutti quei turbamenti sessuali dovevano agitare il moncherino del povero chierico stile coda mozzata di un boxer felice di vedere il padrone).
Lei allora, mordendosi le labbra dal pianto e dal desiderio, gli scriverà le righe più forti che una donna possa scrivere ad un uomo:
«Perché la sublimazione si dovrebbe raggiungere soltanto annichilendo i sensi e il sentimento d'amore che si prova verso un'altra persona?»
Da quel momento smetterà di scrivere al suo amato. Per orgoglio, per rabbia o forse solo per rassegnazione.
 
Abelardo dopo la sua morte verrà sepolto nel monastero di Eloisa, che a sua volta esprimerà il desiderio di essere sepolta col suo amato al momento della sua morte. Leggenda vuole che al momento dell'inumazione di Eloisa, le braccia del cadavere di Abelardo si schiudessero in dolce abbraccio accogliente.
 
Quindi, mia cara sventurata innamorata 22enne lascia perdere le letterine.
Fosse per me, ripeto, comincerei ad esplorare qualche sezione di Pornhub col tuo fidanzato. Magari non avrai un "Ti amo", ma fidati di me, avrai rilassatezza, fedeltà e una roccia solida e dura su cui appoggiarti.
 
La lezione di oggi è che a volte bisogna sapere quando frenarsi. Altre volte bisogna usare tutto il cuore che si ha. Prima che diventi anche quello un moncherino.

«Non ho voluto soddisfare la mia volontà e il mio piacere, ma te e il tuo piacere, lo sai bene».
Eloisa

domenica 7 luglio 2013

L'erba voglio non cresce nemmeno nel giardino di Mark Hughes.

Un tranquillo venerdì leggendo Quit the Doner su Vice (se non sapete di chi io stia parlando allora urge un corso fai-da-te che compirete in totale autonomia: http://www.quitthedoner.com/ )scatta l'illuminazione. Un Ars moriendi già confezionato. Un uomo talmente ridicolo, la cui morte sembra un brutto copione di un film di serie B interpretato da Giuliano Gemma che mi ripeto che no, non posso sfruttare tutto questo ben di Dio solo riportando la sua biografia da Wikipedia.
Intanto, per cultura vostra, vi linko il pezzo che ho letto su Vice. Così avrete una base ed entrerete anche voi nel fantastico mondo di Herbalife e soprattutto nel magico mondo della suburbana Vignola-Bologna: http://www.vice.com/it/read/herbalife-italian-summit-2012 .
 
Il resto, conoscendovi potrei citare nomi e cognomi di ognuno di voi, resterà col culo peso e la mano morta ad aspettare che io compia il mio solito dovere e vi racconti la storia del morto del giorno.
E visto che non posso sottrarmi al mio dovere nemmeno durante il riposo domenicale, allora comincio.
 
Parlo a nome di tutti i grassi del globo. Parlo a nome di coloro che prima agilmente entravano nei soliti jeans e ora comprano tute sformate da Decathlon la domenica mattina. Parlo a nome di coloro che vedendo, e soprattutto sentendo, Gianluca Mech, guru di Tisanoreica, vorrebbero d'istinto divorare la produzione mondiale di burritos. Parlo a nome di tutti gli obesi che non hanno un anno per rinascere, ma magari un bypass per sopravvivere.
Parlo soprattutto per me.
Da agile gazzella appesantita da un filo di pancia dovuto all'abuso smodato di birra fermentata in qualsiasi modo, nazione e botte di rame, a giovane cucciola di lamantino, sformata dalla noia, dalla carenza monetaria e dallo stress che mi ha gonfiato stile palloncino di Spongebob, quello che alla Festa dell'Unità compri dopo esserti scolato 14 Ichnusa e scopri comunque di avere ancora 2 euro nel portafoglio.
Data la mia obesità che mi permette abiti all'ultimo grido provenienti da una  boutique di punta di Kabul, decido di rimettermi in forma a modo mio: tornare dalla mia dietologa, il mio Buddha, la mia signorina Rottermeier e vedere come va'. Cibi sani, attività fisica e meditazione. Di solito funziona.
 
 
 
Ma ci fu qualcuno che anni fa ebbe la cosiddetta "idea geniale".
Mark Reynolds Hughes a 19 anni vede morire la madre a causa di un cocktail di farmaci e droghe usato per perdere qualche chilo (io non c'ho mai pensato pur avendo la casa murata di farmaci e amici dalla fedina penale unta e bisunta). Il poveraccio rimane solo al mondo e comincia a slavoricchiare in qualche azienda, ma pare che la sfiga gli si sia appiccicata addosso perchè le due aziende per cui lavora falliscono in breve tempo. Ma poi, come in una splendida fiaba, spuntano i nonni che mettono mano al portafoglio insieme ad altri volenterosi che credono nelle abilità di venditore di Mark e pouf! nasce HERBALIFE.
Herbalife è una sorta di grande concetto umanitario: con infusi, erbe, pasti, integratori e altre varie minchiate stile pasto da astronauta americano del 1966, puoi liberarti dei chili in eccesso in maniera sana e naturale. Ma, che tutto ciò possa corrispondere al vero o meno, Herbalife è famosa soprattutto per il solito sistema di vendita del tipo "Cari giovani disoccupati, comprate il kit a 130 euro, vendetelo a chiunque conosciate, sognate di diventare ricchi come me, ballate alle convenscion e idolatrate il capo".
Adorare il capo. Il grande Mark Reynolds Hughes. Quello che "la morte della mamma mi ha colpito talmente tanto che insegnerò alla gente ad essere magra con le erbe naturali".
Ecco.
Lui.
Trovato morto per abuso di alcol e antidepressivi.
Forse aveva finito il beverone all'artiglio di drago, banana e mango.
 
Mark ha avuto un'idea geniale. Lo sostengono i suoi milioni di dipendenti. E forse pure Cristiano Ronaldo che campeggia nella pagina ufficiale di Herbalife come testimonial.
Sta di fatto che il lamantino che è in me confida molto di più  nei rotolini di breasola con Philadelfia e un filo d'olio e nella obesità rassicurante di Christina Aguilera piuttosto che in un frullato rosa fluo stile casa di Barbie in acido  di un tizio morto bevendo alla tracanna stile Amy Winehouse e peggio fatto di John Belushi.
 
La storia di Mark è illuminante per molti motivi. Il più lampante è che, come al solito, io non ho capito un cazzo.
Chi me lo fa fare di lavorare 27 milioni di ore in un ospedale, consumare banane, yogurt e fare squat tipo soldato Jane e cercare di avere uno stile di vita, non dico sobrio (parola che per inciso non  mi appartiene più dal 1999) ma normale, quando potrei cambiare stile di vita e girovita bevendo e vendendo frullati? Me lo suggerisce anche il ghigno sornione di Cristiano Ronaldo.
 
La lezione di oggi è che se volete dimagrire, non chiedetemi come fare. Chiedetemi quanto si potrebbe guadagnare.
 
Dedicato a tutti gli obesi in lotta. Pugno in alto e sugna sulla t-shirt. Ce la faremo.
 

giovedì 4 luglio 2013

Pillole di morte: Agatha Miller in Christie in Mallowan.

Pochi sanno che ad un certo punto pure una donna posata, intelligente, curiosa ed acculturata come Agatha Christie sbroccò alla grande.
Era il 1926, dopo aver fatto il giro del mondo nel 1923, cresciuto una figlia e scritto "Poirot a Styles Court", Agatha crolla: il lutto per la morte della madre e la seguente richiesta di divorzo da parte del marito Archie, buttarono la giallista nella più cupa delle spirali.
Agatha Christie prese la macchina e scomparve per dieci giorni. La ritrovarono in un albergo di Harrogate sotto il nome dell'amante del marito. Progettava qualche sordido piano degno di un suo romanzo? Secondo un suo biografo sì. Voleva incolpassero il marito fredifrago della sua morte, forse infastidita dal banale clichè dell'esser stata cornificata con la solita, scialba segretaria. Dopo esser stata scoperta rintanata nell'albergo, la scrittrice si scrollò di dosso i problemi, acchiappò la figlia e se ne andò in vacanza alle Canarie. Il resto si sa: carriera sfavillante, il secondo matrimonio con un affascinante archeologo e la consacrazione eterna. Morì nel 1976, da gran signora.
Della scialba segretaria nemmeno l'ombra
 
 
 
Bella storiella. Già.
La mia cupa spirale invece è farcita di vino bianco frizzante, pizza alla cipolla e maxi divano su cui diminuire le diottrie guardando "Chi l'ha visto?" su un mini schermo. Ancor più probabile che il mio giro del mondo si componga di 5 giorni 5 passati in Trentino in una pensione stile "Shining" ma con baristi dall'accento alla Gustav Thoeni. In compenso l'unico uomo che "non" ho mi chiama "Giorgia".
Insomma, la mia vita, anche nella più misera delle sorti, si avvicina sempre più a quella di una suora comboniana piuttosto che a quella di una giallista sovrappeso degli anni '20 ( e '30, '40, '50, '60 e '70).
Ma almeno io e la mia eroina condividiamo un momento no. E se magari non posso ambire ad un avvenente archeologo, allora mi guarderò intorno al prossimo cantiere stradale.
La cazzuola ha pur sempre il suo fascino.
 

sabato 29 giugno 2013

E quindi uscimmo a riveder le stelle

659 euro.
659 euro di condominio da pagare entro il 10 luglio.
Sarà dura sfangarla questa volta. Soprattutto contando il fatto che ad ora non ho ancora visto il becco di un quattrino materializzarsi nel mio conto in banca, nonostante le 10 ore quotidiane di lavoro che mi smazzo nel reparto "Follia" di un noto ospedale bolognese.
Oggi tra l'altro la mia amata televisione 37 pollici, che da due anni campeggia in salotto, prenderà il volo, se ne andrà sotto l'ascella del mio ex coinquilino/ragazzo/miglior amico, meglio conosciuto come "il lutto", ovvero da quando se n'è andato, il vortice della tristezza, della solitudine e dell'incertezza del futuro sono diventati un lutto da metabolizzare.
Pensandoci, se fino a due anni fa quel 37 pollici proiettava i grandi classici di Real Time in cui speravo di partecipare come "Abito da sposa cercasi" o "Cercasi casa disperatamente", ora potrei candidarmi a "Obesi: un anno per rinascere", probabilmente fallendo.
 
 
 
E oggi mi muore pure la Hack.
Margherita, Margherita. Eri una donna che non si sarebbe mai fatta scoraggiare da 659 euro. Non avresti bestemmiato leggendo l'estratto conto della banca come invece ho fatto io. Non l'avresti fatto soprattutto perchè non avrebbe avuto senso per te insultare qualcuno di cui negavi pervicacemente l'esistenza. Eri tosta, cazzuta, una di quelle che non si ferma mai, che lotta per chi non può farlo. E mi vengono in mente due frasi.
 
"Per aspera sic itur ad astra", attraverso le asperità alle stelle. Scorticandoci, cercando di sopravvivere una settimana in più, possiamo andare avanti, possiamo sperare di comprare una televisione nuova, possiamo sperare di pagare i nuovi condizionatori montati da tua madre con un tempismo diabolico (ora i 4 gradi e mezzo di fine giugno sono a prova di ogni scalmana). Sperare, alzare il mento e guardar le stelle cercando di non affogare. Sperando di arrivarci a quelle stelle.
 
E poi quella splendida frase di Confucio "le stelle sono buchi nel cielo da cui filtra la luce dell'infinito". La lessi per la prima volta su Dylan Dog. E la trovai bellissima. Inquietante, romantica e diversa. Le stelle così belle, disegnate con le punte e colorate di giallo da tutti i bimbi del mondo, in realtà sarebbero buchi.
Buchi da cui filtra luce, un velo traforato che svela qualcosa che non conosciamo.
Chissà cosa c'è dietro, dentro e attorno alle stelle. Forse la Hack, tra una litigata con Pippo Baudo e Berlusconi, lo sapeva. E lo sapeva talmente bene da aver stampato sul viso il sorriso del saggio, di colui o colei che tutto sa e tace sorridendo.
 
Allora vai Margherita, vola in quei cieli bucati sfiorando l'asteroide col tuo nome, l'8558 Hack.
Io non ambisco a dare il mio nome ad un asteroide, conoscendo la mia sorte potrei attirarlo con la mia negatività a passare la serata sul mio divano a guardare mesti ciccioni americani fare  spesa su una carrozzella con un paio di dozzine di coupon su un misero  22 pollici.
 
E allora affrontiamo le asperità.
Eddaje.
Aspettando uno stipendio.
 
La lezione di oggi è che le stelle son difficili da raggiungere, mi accontento di guardarle. Ma da sola sta diventando difficile.
Resti qui sdraiato a guardarle con me?
 

domenica 23 giugno 2013

Un anno in ballo.

Sabato ho preso armi e bagagli e son partita.
Ho deciso di seguire il consiglio della mia psicologa: fare quello che mi fa stare bene.
Così arrivo alla decisione di prendere un treno per Camposanto. Decisamente particolare, lo so.
Un bel vestito, un cambio per la notte, un biglietto d'auguri e la macchina fotografica.
Sono andata a Cavezzo. Sì. Cavezzo. Paese completamente stravolto dal terremoto dell'anno scorso. Sono andata a Cavezzo pensando di trovarmi a Dresda post bombardamento. Roba del tipo "ma vedrò campi e container?" "Devo portare viveri?" "Cosa farebbe Bossari?". Tutto questo dopo la scossa di venerdì.
Comunque, sono andata a Cavezzo.
Per il compleanno della mia amica Giuly.
La mia splendida amica Giuly che quel giorno di maggio dell'anno scorso ha percorso col cuore in gola la sua via sperando di vedere la sua casa in piedi. La stessa Giuly che per il suo paese ha scritto un semplice striscione colorato. Questo.
 
 
 
Io pensavo di vedere luoghi devastati. Disperazione. Ho visto bar aperti, edifici transennati, striscioni pieni d'orgoglio e tanta vita. Moldavi che suonavano in una balera come se non avessero un domani, vecchi che giocavano a briscola, gente che ruba alla COOP con il Salvatempo. Tutto normale, tutto liscio.Detto da una che è scesa a Camposanto.
Racconti di terremoto, di progetti spezzati, di ragazzi che han dovuto reinventarsi una vita. Ma anche di nuovi fidanzati, di ubriacature moleste e cantanti di nicchia. 
Ma anche di annunci mortuari che riportano frasi del tipo "Paolo, da tempo ricoverato presso la casa di cura XY, dopo il sisma dello scorso anno aveva visto il suo corpo indebolirsi e ha lasciato i suoi cari dopo anni di lotte". Il povero Amedeo invece non è nemmeno arrivato ai 100.
 
 
 
La mia amica Giuly lavora come un mulo e intanto scrive la sua tesi di Archeologia. Oggi lavorava al concerto dei Rio a Mirandola, altro luogo disastrato, il cui castello sembra un drago ferito appoggiato al suolo che tremando ha sfasciato la mia Emilia. Anche se quello che mi devasta è l'aver scoperto l'esistenza dei Rio. E il fatto che abbiano delle groupies.
 
 
Si trema quando si ha freddo, quando si piange di dolore puro, quando si è superato uno schock come sfuggire ad una calamità naturale o ad un incendio, quando si esce dal mare dopo un bagno. Noi, io almeno, non voglio tremare. Nemmeno Giuly. Nemmeno Frankie, la mia amica che scampando ad un incendio adesso stressa hipster/snob/chicconi con Vasco (dev'essere lo sgomento dell'impatto con la morte).
 
Basta tremare.Siamo in ballo e allora balliamo.
 
La lezione di oggi è che la tua vita la devi spendere bene, non sai se sarà la tua casa a crollare o quella dei vicini a prendere fuoco: le scale per la stazione che tremano e tu che pensi a casa, le scale che percorri col fumo negli occhi e il cuore che rimbalza nella testa.
Prima di rimanere schiacciati dalla vita, e dalla morte, alziamo la testa, solleviamo il nostro bicchiere e sorridiamo.
 
Io, finalmento, l'ho fatto.
Grazie Cavezzo.
 

mercoledì 12 giugno 2013

Ragazzi col ciuffo e col califfo.

A volte Ritornano.

Un anno fa uscivo dall'ospedale.
E ora, in un ospedale, ci lavoro.
Possiamo considerare questa fase della vita in modo infinito. Mi spiego. Prendete il numero 8, giratelo di 90 gradi e otterrete il simbolo dell'infinito. Partite dal centro e seguite la sinuosità della curva. Un sorta di parabola della sfiga che tende non solo a ripetersi, ma a girare da una parte all'altra, in modo ciclico e infinito, appunto.
Ecco, in questo momento sto arrivando al centro dell'infinito per poi tornare a curvare. Dal letto d'ospedale alla scrivania d'ospedale. L'umore è uguale, lo slancio simile e soprattutto mi sento ancora come se avessi un tubo che esce dal mio rene e mi costringe a fare pochi passi e ben misurati.
La verità è che parlare di morte tutti i giorni mi sta facendo salire una sorta di nausea incontrollata, un po' come tutte le stagioni di Grey's Anatomy in rotazione su ogni canale raggiungibile dal mio digitale.

A me piace un "Ragazzo col ciuffo".
Avete presente la canzone di Little Tony, "Ragazzo col ciuffo"? Beh, il ragazzo che piace a me adora questa canzone. Me la canta ogni tanto. Socchiude gli occhietti, ancheggia alla Elvis e intona un paio di strofe. E io ridacchio. Lo guardo trasognata. Gongolo quando mi canta "Ragazzo col ciuffo".
Ma sta di fatto che Little Tony è morto. E a parte le prevedibili battute sulle vendite in picchiata del Danacol, a me fa venire in mente che una parte del mio Cuore Matto ha smesso di battere.
Quella parte che non mi faceva dubitare delle mie capacità. Quella parte che mi ha sempre fatto dire "Oh, non sarò la cazzo di Megan Fox ma almeno non sembro Siusy Bladi". Quella parte che mi faceva prendere la vita con ironia e sarcasmo. Quella parte di cuore che regola il concetto di "orgoglio di se stessi". Nel mio caso era inattiva causa scarsa affettività genitoriale in età pre - adolescenziale, ma negli anni mi ero costruita un'identità precisa e un pezzo di cuore nuovo.
Adesso nessuno canta "Ragazzo col ciuffo".
 
Little se n'è andato. E mi ha portato via un pezzo del mio ragazzo col ciuffo.
La morte è bastarda. Perché mi ha lasciata senza ciuffo e senza Califfo.
 
 
 
Franco Califano è stato spesso protagonista dei miei sogni, ma non come sperava. Niente sesso o derivati, solo il Califfo che a Porta Portese, con la scusa di tastarmi le chiappe, mi ruba il portafoglio. Lui che mischiava vodka con acqua tonica, che raffreddava le tisane con un ventilatore tascabile da anziano ma che anziano non era. Lui e la sua noia.
Solo un genio poteva scrivere sulla lapide "Non escludo il ritorno".
E non lo escludo nemmeno io.
 
Datemi tempo. La ciclicità non mi è mai piaciuta.
 
La lezione di oggi è che un Cuore Matto e una Mente Scema hanno bisogno di Noia. Se non mi credete, guardatevi i grafici di vendita del Danacol.

lunedì 13 maggio 2013

Il potere di un bacio.

Quando stamattina ero seduta in una buia biblioteca ad aspettare il mio turno per essere esaminata ad un concorso, gestivo e calmavo i picchi di angoscia e colite nervosa pensando al potere di un bacio.
Una cosa che mette di buonumore, ti fa brillare gli occhi e ti convince di avere il mondo in mano. Un semplicissimo ed innocuo bacetto.
Son fortunata, in questi giorni mi sto umettando le labbra incollandole a quelle di un bellissimo bolognese oversize e la vita mi sorride. Aldilà della sgradevole sensazione di paresi, me la sto godendo più che posso dopo i giorni che mi hanno devastato l'anima.
E un bacio cos'è se non il famoso apostrofo rosa tra le parole "T'azzomperei addosso"?
Bisognerebbe chiederlo a chi di baci ne sa ben più di me, il baciatore più noto della storia, il latin lover di Piazza Firenze.
Giulietto Andreotti.
Me l'avete chiesto in tanti un Ars Moriendi dedicato al gobbo romano che ha infestato le nostre sacrissime istituzioni per quasi 70 anni e io vi rispondo così, alla francese.
 
Poco importa della sua carriera lunghissima, delle sue emicranie, del medico che lo visitò da giovane e ne predisse la morte in giovane età (lungimiranza: tipo mia nonna che mi fece il corredo di nozze quando ero ancora un embrione), chissenefrega della gobba: quello che di Giulio m'interessa è l'ars amatoria. E, scansando il matrimonio con la signora Livia, il bacio più bello, dice qualche pentito, è stato quello tra lui e Totuccio Riina.
Ora, non ho mai pensato a Giulio Andreotti come ad un gran beccapassere, mica aveva il fascino delle labbra di Craxi o la chioma unta ma tremendamente sexy di De Michelis, ma sinceramente non avrei mai pensato a certe sue tendenze, soprattutto essendo un fervente cattolico.
M'immagino quel bacio proibito, la musica in sottofondo come nel film di Sorrentino, gli occhi che si chiudono un po' per la vergogna e un po' per il desiderio. Zam! Una scossa, una scintilla, il suggello su un patto d'amore stato-mafia.
In 94 anni Andreotti ha fatto e vissuto cose straordinarie. Sette volte Presidente del Consiglio, otto volte ministro della Difesa, padre di quattro figli, nonno di "diversi" nipoti (nemmeno a Wikipedia è dato di sapere esattamente "quanti" nipoti avesse Andreotti), un processo durato 11 anni con ben 286 udienze, un fratello e una sorella, un bacio omosessuale e molte frasi celebri tra cui "A pensar male si fa peccato ma s'indovina".
Ecco Giulio, proprio per questo penso male.
 
 
 
E se Biagi diceva "Andreotti per non compromettersi non ha mai baciato neppure sua moglie", io scommetto che sotto sotto un pelo di verità ci sia anche in questa frase sardonica. La povera signora Livia che per anni ha sopportato l'assenza del marito, le accuse, il peso dell'educazione dei figli (tra l'altro 'sta cosa che anche Andreotti si sia riprodotto mi da un certo senso di vuoto del concetto di "la gravidanza come grande dono") ora dovrà rassegnarsi anche ad essere la moglie tradita. Al suo posto, Giulio, ha preferito la faccia rugosa di un anziano siciliano. Non è stata abbandonata a favore dell'abnegazione al lavoro o alla lotta al malcostume, no, ma per la gioia pura di un intrallazzo proibito.
 
La lezione di oggi è questa: mai scrivere post quando l'ispirazione mi viene dettata dal bassisimo e flaccido ventre corroso da una sana ventata di ormoni primaverili. E, se volete, anche che le cosiddette acque chete oltre a tirare giù i ponti li ricostruiscono con appalti mafiosi.

martedì 23 aprile 2013

Doo be doo be doo: ovvero come resistere agli urti della vita essendo Frank Sinatra.

Partendo dal fatto che non ho gli occhi blu, quindi già parto svantaggiata, avrei sempre voluto essere Frank Sinatra.
Sempre. Sin da quella volta, a 7 anni, chiusa dentro l'ascensore con mia madre, al buio, intrappolata, in cui mi misi a cantare "Strengers in the naaaaaaait memparinenscionsee". Sapendo solo quel pezzo lo cantai all'infinito, lacerando il cuore della mia povera mamma e dei poveri operai che si prodigavano nell'impresa di estrarci da quel maledetto aggeggio di latta che ancora oggi, intatto, continua a fare su e giù nel mio palazzo. Giurai di non prenderlo mai più se ne fossi uscita.
 
Sorvolando sul fatto che nemmeno costretta da Satana in persona farei mai 5 piani di scale e che quindi l'aggeggio di latta mi salva dall'enfisema tra le due e le quattro volte al giorno, io, quella sera buia illuminata dalle torce, pensavo di essere Frank a Las Vegas.
E d'altronde come non pensarlo? L'Italia degli anni '80, Bettino Craxi e Ezio Greggio, gli "yuppies" e il muro di Berlino, gli anni '90 alle porte, l'adolescenza che sarebbe esplosa.
E basta riguardare l'aggeggio di latta ora, 23 anni dopo. Solo la pulsantiera è stata cambiata. Del resto tutto, graffiti, vetri incisi, "Maresca stronzo" scritto sul muro tra un piano e l'altro.
Le grandi promesse di prosperità e amore sono lì, intrappolate tra "Maresca stronzo" e la pulsantiera nuova. E chiaramente non possiedo nemmeno l'alluce del figlio di Frank Sinatra.
 
 
 
Lui era scintillante, attento ai problemi razziali, colluso con poteri oscuri, ammaliante, seducente, intelligente e soprattutto il miglior amico che si potesse avere.
4 mogli, 3 figli, 2 Oscar e milioni di dischi venduti.
E io che pensavo di emularlo cantando "Strangers in the night" in ascensore. La mia attuale vita non mi permetterebbe nemmeno di avere tempo per essere "attenta ai problemi razziali". E soprattutto non ho il cuore di Frank. Non flirto con Ava Gardner o Mia Farrow, non ammalio nemmeno il pakistano che mi vende a prezzo pieno i braccialetti di stoffa anni '90. E l'unico potere oscuro con cui sono collusa attualmente è la macchinetta mangiasoldi che eroga caffè al primo piano del padiglione B dell'ospedale in cui lavoro.
In questo momento mi duole anche pensare che come amica non sfioro nemmeno la giacca di Frank. Al massimo potrei essere Dean Martin, anche come quantità di alcool ingerite.
Ma due Oscar me li merito. L'Oscar per la straordinaria forza di volontà nel non buttarsi sotto ad un camion di provole guidato da un pugliese avvinazzato e l'Oscar per la stupida persistenza a farmi mettere i piedi in testa da chiunque pensi di poterlo fare senza pagarne alcuna conseguenza.
 
Ma è l'onestà che ci rimette in piedi. E io voglio essere onesta: le ultime parole di Frank furono "I'm losing", "Sto perdendo" e guardacaso sono anche le mie.
Sta di fatto però che ora, in questo preciso momento, l'unica scelta obbligata è di lasciare quelle parole dentro l'ascensore che mi/ci intrappola e pensare alla frase sulla semplice, piccola, lapide di Frank :
"The best is yet to come"
 

sabato 30 marzo 2013

Mexico e nuvole: sintesi di un ospedale, di una bella ragazza morta e di un medico cantante.

Trovo lavoro. E lo trovo a stretto contatto con la morte.
Lavoro in un ospedale. Meno genericamente nel reparto di oncologia. Ancor meno genericamente mi trovo immersa in Glioblastomi e tumori cerebrali. Di quelli che non fai in tempo ad avere mal di testa che il mese dopo sei sdraiato in un comodo lettino di seta bianca truccato come Priscilla la regina del deserto.
E la vita, siccome cerca sempre di fotterti in tutti i modi stile gang bang su You Porn, decide di farti parlare con una di queste persone. E la morte, che tranquilla se ne sta seduta a limarsi le unghie, ti sorride "Non ridi più eh, stronzetta? Io scrivo un blog sulla morte! Ma che brava, che originale, adesso comunque son cazzi tuoi."
La signora al telefono ha poche manciate di settimane davanti a sé. Non riesce a muoversi. Ma caparbia vuole un appuntamento con il dottore, "sa, per fare un'altra cura". La mia collega scuote la testa. La tranquillizzo e le dico di chiamare più avanti, posto c'è.
 
E così sì, lavoro con la morte. Anzi, lavoro con il confine. Un giorno ci sei e il giorno dopo no. Ed è proprio così con i malati di cancro.
Il mio primo giorno di lavoro ho mandato un fax ad un comune per sapere se Tal dei Tali era vivo. E lo era in data 21 marzo. Ma ieri, un necrologio sul giornale annuncia la sua morte. Tal dei Tali è morto due giorni dopo il fax.
 
Subdolo il cancro questa settimana si è portato via una bellissima e splendida ragazza di 38 anni di nome Marzia. Io Marzia non l'ho mai conosciuta. Conosco il marito, Matteo. E lo conosco come chiunque di voi conosce il proprio uomo delle letture del gas. L'ultima volta che l'ho visto è stato dieci anni fa, indossava una maglia di rete nera e così tanto rimmel da farmi sentire struccata e in pigiama. Un carattere, uno stile di vita, e una moglie splendida. L'amore, quello sincero, quello che smuove letteralmente le montagne. E poi arriva il cancro. Troppo presto, come quando aspetti il bus e hai appena acceso una sigaretta e quello fa capolino dalla curva e tu devi spegnere quella sigaretta. Quella sigaretta che non vedevi l'ora di goderti. Via.
Quella donna che era il tuo perfetto incastro. Quel sentimento che hai raccontato tante volte e di cui eri fiero. Via.
E ora rimane il silenzio.
 
 
 
Rimane il ricordo anche di Enzo Jannacci, a 77 anni lascia questo mondo, la sua Milano. Uno di quei cazzo di geni che con la sua laurea in medicina era riuscito ad entrare nell'equipe di Barnard, quello del primo trapianto di cuore. Quello che cantava "Vengo anch'io! No tu no". Quello che è morto di cancro, giusto iersera. Milioni di persone condividono i suoi video su Facebook. Io pure.
"Mexico e nuvole", accanto a me un, due, tre, bicchieri di vino e la consapevolezza che la vita è splendida e triste. La morte pure.
 
La lezione di oggi è: Ama. Canta. Sorridi. Bevi. Nulla potrà andare storto. Nel bene e nel male avrai dato il massimo.
E il massimo, comunque vada, non basterà.
Post triste, ma guardate il tempo, guardate la pioggia nei miei occhi.
Che potete volere di più da me?
 


venerdì 8 marzo 2013

Mozart e Salieri: di una storia di disinformazione.

Ogni tanto trovo il coraggio di affrontare la mia carta d'identità. Dolorosamente sbircio la foto dove sembro una no-global appena tornata da Genova e do una rapida occhiata alla mia data di nascita.
Poche pippe, ho 30 anni. E a 30 già sapete che sognavo: un marito passivo, un marmocchio in pancia e un lavoro retribuito (pensare che la scala degli aggettivi riguardanti il lavoro son passati da "dei miei sogni", "gratificante", "ben retribuito" a "retribuito"). A 30 anni già sapete la mia condizione: un bel tipo con cui esco, colite a manetta, e, forse, un lavoro.
Niente male. Ma a 30 anni ho cominciato a pensare anche ad altro visto che nella mia vita da 20enne ho pensato solo a studiare sul serio e a progettare un futuro sentimentale che ci si è sbriciolato nelle mani dopo solo un mese dai miei 30. Mi son guardata intorno sviluppando la sindrome di Fantozzi sotto elezioni. Febbrilmente eccitata dalla mobilitazione generale elettiva, mi son letta programmi, riso a crepapelle leggendo la lettera per il famigerato rimborso IMU ("Guarda, 'fanculo, i soldi piuttosto glieli metto io ma op op a votare PDL") e mi sono pacificamente rassegnata a votare.
 
Mai avrei immaginato, a 30 anni, di venire minacciata. E non giriamoci intorno.
All'indomani della stracciante vittoria del M5S, mentre addetti delle pulizie delle principali sedi PD italiane si preoccupavano di smandibolare gli sconcertati rappresentanti di lista, elettori, simpatizzanti e vecchi di passaggio, io m'interrogavo.
 
La prima lite con uno del M5S risale a questa stramaledetta estate che ribattezzerò "l'estate dei lunghi coltelli", quando un accolito grillino mi riempiva la testa di "piattaforme liquide", di "Ma se non voti quello, cosa voti?", "Ah, se vuoi che il paese vada in rovina". Chiaro, Federica, una ragazza sui 30, disoccupata, che legge gialli di Agatha Christie fa parte del "gomblotto" per mandare in rovina il paese. Chiudete le edicole, abbattete le sedi dei principali quotidiani, fermate la caccia, l'abbiamo trovata!
 
Di liti e incomprensioni politiche ne ho avute tante nella mia vita: da quando mi presentai nel 1995 ad una Festa dell'Unità con la spilletta di Berlusconi per manifestare contro il malcostume della polenta fredda, al mio primo e unico raduno marxista-leninista dove non capì una beneamata fava ma mi sentì partecipe di qualcosa, dal famigerato giorno di quell'estate del 2001 dove piansi il morto sbagliato al giorno in cui vidi mio padre disperato per la situazione politica italiana. Ma mai ho fomentato odio, mai fatto minacce, mai sprangato nessuno. Ho solo fatto domande, posto obiezioni, ridicolizzato Berlusconi (chi non l'ha mai fatto?) e sbattuto i pugni sul tavolo imprecando contro ogni De Gregorio che mangiava nel mio piatto.
Così eccoci al post 25 febbraio. Un New World Order che cresce e che non da sicurezza.
Forse siamo assuefatti da anni di politica stagnante, una vera palude di mostri acquatici e ora abbiamo paura di questi strani uccelli acquatici ammaestrati. E lo ammetto, sono un essere ignobile amante della carta stampata, adepta di Montanelli, incuriosita da Maltese e Sabatini, leggo i giornali. E diffondo quello che leggo, cerco confronti, mi faccio risate. Come facevo con le magagne alla Berlusconi, le lacrime per la politica alla Cameron, l'odio degenerante per Gamberini e Alfano.
Ed ecco che conosco lo squadrone. Sberleffi, spiate, umiliazioni. E velatissime (nemmeno tanto) minacce. E l'accusa: porti disinformazione.
 
 
 
Recentemente mi sono riguardata in tv "Amadeus"di Milos Forman. In breve: Mozart viene umiliato e avvelenato da Salieri che troppo tardi riconosce il valore e il genio di Mozart, lo invidia e lo fa impazzire. Il mediocre Salieri scredita il nuovo che avanza, costruisce intorno a lui trappole, lo umilia. Mozart soccombe ma il suo genio vince. Salieri sarà troppo scarsamente ricordato.
 
Mio Dio, sono forse un Salieri? Non riconosco il vero valore di tutti questi piccoli grilli che friniscono insieme? Devo inchinarmi al genio di Mozart e soccombere? Tacere in nome del genio.
 
Ma va là.
 
La disinformazione ha radici lontane, fu Puskin a mettere in giro la voce che Salieri, invidioso e ottuso, avvelenasse fino alla morte il povero Mozart. Voce sulla quale Forman ha basato il suo film e vinto 8 oscar.
Nella realtà i rapporti tra i due compositori furono cordiali, magari di facciata, ma ben lontani dai toni drammatici e da tragedia greca che hanno assunto man mano che la storia ha fatto il suo corso.
Quindi sì, Mozart è morto, non si sa nemmeno di preciso di cosa. Ma non fu certo Salieri ad ammazzarlo.
 
Tirando le somme: se volete darmi del Salieri, urlate al complotto, mi minacciate di voler diffondere amenità e falsità per screditare il vostro Mozart, ricordate che era solo disinformazione. Io sono Salieri e critico il vostro Mozart come e quando voglio senza per questo avvelenarlo. Esattamente come faceva Mozart criticando Salieri.
 
Piccolo inciso: a me le minacce piacciono solo nei film con Eddie Murphy, dove le frasi "non te la faccio passare liscia" o "ti stai infilando in un brutto vicolo cieco"le recita il solito energumeno scemo che sa solo minacciare.
 
 
 
 

martedì 5 marzo 2013

Stalin e Gaia.

Ammettiamolo: siamo in un momento delicato.
Dopo le recenti elezioni siamo tutti qui a pestarci i piedi e a darci contro con così tanta foga che se per caso avessimo impiegato tutta questa energia nella corsa al nucleare a quest'ora potremmo aver sbriciolato tranquillamente il deretano di Ahmadinejad.
Mi ci metto pure io, eccomi, ammetto le mie colpe. In queste settimane mi sono mangiata il fegato, ho digrignato i denti ad ogni stupidaggine detta o scritta, ho sbattuto i pugni e sghignazzato in preda a non so quale potentissimo demone. L'ultima volta che ricordo di essere caduta in questo stato risale alla vittoria di Povia a Sanremo e il seguente martellamento di palle dovuto alla continua trasmissione della sua canzone in tutte le radio e i canali televisivi. Ho ancora i brividi a pensarci.
Per non parlare dei continui sogni erotici che mi vedono protagonista assieme a Matteo Renzi: io che indosso la costituzione e lui che mi rottama in ogni posizione. Brrrr.
 
Così per calmarmi sono tornata dai miei amati morti, ho ascoltato in loop una sola canzone di Bruno Mars che su di me ha un effetto devastantemente calmante e ho comprato delle candele profumate.
E chiudendo gli occhi vedo lui, vedo Baffone.
 
 
 
Stalin, ovvero Iosif Vissarionovič Džugašvili, mi sta davanti grosso ed imponente. Chissà che penserebbe lui di tutto questo casino all'italiana. Ce lo vedo mentre vota per alzata di mano, lì seduto per terra, un maglioncino greige (per quelli srilisticamente arretrati un misto tra grigio e beige) pantaloni di vigogna, con il braccio che svetta verso l'alto mentre parla con la solita casalinga di Voghera dei problemi che dovrà affrontare il Movimento ora che sono approdati a Roma.
Ce lo vedo mentre manda a quel paese i giornalisti, o mentre ordina l'assassinio del suo psichiatra. Mai dire a Stalin "Secondo me lei soffre di sindrome paranoide", voglio dire, allora andiamo a Napoli a urlare che il sangue di san Gennaro non si è sciolto e che Maradona è una pippa e aspettiamo pacifici la morte, perchè sarebbe l'unica cosa certa.
 
Ma Stalin sguazzerebbe come un maiale nel guano in questo paese, lui che adorava purgare qui si troverebbe con la merda fino al collo. E non c'è un Gianni Morandi che tenga.
Avrebbe adorato la parola "complotto", lui la usava spessissimo durante i suoi spettacolari piani quinquennali che portavano la popolazione russa ad evolversi. E avrebbe adorato urlare "Tutti a casaaaaa", slogan che probabilmente pronunciava  con tipica foga stalinista mentre ammazzava i suoi vecchi amici del Politburo, quei vecchi compagni d'arme di Lenin e gran parte dei comandanti dell'Armata Rossa.
 
Io la vedo una nuova troika composta da Grillo, Casaleggio e Stalin, li vedo lì a pianificare "Gaia". Iosif sarebbe contrariato dalla Grande Guerra Est-Ovest (vinta ovviamente da chi ha internet anche se ci metteranno ben 20 anni per vincerla), ma sarebbe deliziato dalle enormi e conseguenti restrizioni della persona e della personalità. Senza contare il passaggio "le organizzazioni segrete verranno proibite", un vero e proprio orgasmo dittatoriale del III millennio. Salvo poi essere epurato per aver concesso un'intervista a Ballarò.
 
 
 
Ai funerali di Stalin morirono quasi 500 persone nella calca per porgere l'ultimo commosso saluto al loro prezioso vate. Quelli erano bei tempi, in cui un funerale era il mezzo ideale per sfoltire un po' il pianeta da gente potenzialmente inutile: zac!500 in un sol colpo. Baffone se ne andò a causa di un colpo apoplettico che lo colpì durante la notte, ma le guardie davanti alla sua camera non ebbero l'ardire di sfondare la porta aggravando le condizioni del dittatore che il mattino dopo vedeva inesorabile la morte avvicinarsi: l'agonia durò qualche giorno, fino a spegnersi definitivamente il 5 marzo. E se recentemente hanno creato una statua raffigurante la salma di Lenin che respira beato stile sonnellino (http://video.repubblica.it/mondo/scandalo-in-russia-per-il-lenin-che-respira/120803/119288) , so che i potenti mezzi russi riporteranno in vita Baffone.
 
Chi lo sa, magari ce lo ritroviamo in parlamento, con il suoi Ipad, che sfrutta il Wi Fi, che propone petzioni e disegni di legge mentre aggiorna Facebook, twitta pernacchie a La Russa e chatta con una 15enne con il nick BaffoneRosso1879.
 
La lezione di oggi: certe ideologie son dure a morire. Certe altre son proprio cagate. Basta che voi rispettiate le mie, io cercherò di non ridere delle vostre. Al massimo mi faccio di valeriana, cado in un sonno profondo e vado alla copula con Renzi.