mercoledì 27 febbraio 2013

Brega vs Nicheli

Inutile che stiam qui a tergiversare: o si è Brega o si è Nicheli. E io, ahimé, l'ho capito tardivamente a 30 anni.
Sperando che dopo questo incipit siate lì ad arrovellarvi se sia meglio la romanità aggressiva e sboccata di un Brega salumiere o la milanesità composta e spocchiosa di un Nicheli imprenditore nel settore, guarda caso,  salumi & cotechini, io procedo alla rapida riflessione personale.
 
Trovo impagabile il fatto che mia madre ora sia a Roma per vedere, per l'ultima lacrimevole volta, papa Ratzinger in udienza generale. Lui che sfreccerà nella sua papamobile salutando i fedeli che urleranno robe tipo "Le vogliamo bene santitàààààààà" o "Preghi per noiiiiiiii" tipo Vasco a San Siro. E lì, annidata in mezzo ai fedeli intransigenti, con mezzo chilo di fondotinta e gioielli d'oro in bella vista su un golfino blu da suora laica, ecco mia madre, "la Santa", che mistica come santa Teresa D'Avila comincerà a piangere lacrime purificatrici per poi consolarsi a vino bianco e porchetta in un vicolo, cominciando a cantare stornelli romani imprecando e bestemmiando per il dolore ai diverticoli, vanificando il tour apostolico in meno di due minuti.
E così sì, da parte di madre, ho preso la vena cosiddetta "Brega": quando m'infervoro (e in questi giorni, con un clima politico rovente, le palle spianate dalla più totale e inerme disoccupazione e la gente che banalmente, scusate il francesismo, "nun si fa li cazzi sua" e mi tampina su ogni social network possibile ed immaginabile per indottrinarmi su nuovi Movimenti politici) mi esce la bile e comincio a chiamare tutti in strani modi: rapportandomi con un uomo X di nome Luca sarà difficile rivolgermi a lui non chiamandolo "A Lù". Di conseguenza Fabio diventa "A Fabiè", Francesca "A Francè" e così via, continuando le frasi con espressioni da cotica romanesca che mi contraddistinguono nei momenti difficili e rabbiosi della mia tenera vita.
 
 
 
Mario Brega era così, uno che "je menava", addirittura sul set di un film western "Buffalo Bill l'eroe del far west", atterrò con un gancio l'attore americano Gordon Scott, vincitore del Guanto d'Oro, ambizioso premio americano per pugili. Mario è morto nel 1994 stroncato da un infarto. Ettecredo. Stai a magnà, stai a bebe, stai a'mprecà aaLazio, è n'attimo.
 
 
 
E nel frattempo, sfruttando le vacanze romane di mia madre, mio padre scorazza per Bologna e provincia sulla sua Golf grigio metallizzata, orologio sul polsino, occhiali da sole graduati che lo rendono un po' cumenda un po' boss mafioso anni '80, alla ricerca di archivi inviolati, stemmi da fotografare e volumi polverosi da sfogliare. Non una roba da "Sole, whisky e sei in pole position", lo capisco, ma l'atteggiamento da piccolo imprenditore c'è. Un bel maglioncino celeste, calzini a rombi Burlington, 24 ore arancio che lo rende un po' il Lapo Elkann dell'archivio di stato. Impeccabile, audace, pilota stile "Alboreto is nothing".
La vena "Nicheli", quella che ti da la (finta) classe da medio imprenditore abbronzato anche il 27 febbraio, la sfodero solo quando sono tranquilla e paciosa, seduta davanti ad uno spritz a parlare con i miei amici. Allora esplode un trionfo di "Wè animaleeee", "Nooo, impossibol!": il segreto sta nel mischiare parole inglesi con altre italiane facendo costantemente la faccia sorpresa e felice. Non a caso il marchio Italia Indipendent di Lapo è un mix di italiano e inglese. I cumenda raramente sono incazzati, al massimo amareggiati, risentiti, ma sistemano sempre tutto a parole e soldi. Per questo motivo, in queste settimane, con i miei 4 euro e 40 sul conto corrente, è difficile che mi senta pulsare la vena Nicheli.
 
 
 
Guido Nicheli, "il cumenda" per eccellenza, ha recitato in molti film la stessa stolida parte da imprenditore milanese col Mercedes. Ma pochi sanno che fosse un amico di Dalì e anche un odontotecnico apprezzato. E anche lui è passato a miglior vita nel 2007 a causa di un ictus che lo ha portato via mentre giocava a carte con gli amici del paese. La chicca assoluta è che sulla sua lastra tombale campeggia la frase tipica del cumenda: "SEE YOU LATER"
 
Che voi siate un Brega o un Nicheli ricordate sempre che un "A 'nfamee" risolve più cose di un "Wè, calmino boy". A meno che non siate ormeggiati con lo yacht a Cannes. Allora, SEE YOU LATER.

martedì 26 febbraio 2013

La mamma morta.

Immaginatevi un funerale.
Siete lì, al cimitero. Davanti a voi quattro uomini che portano sulle spalle una bara pesante.
E' morta la loro mamma.
Il primo uomo sulla sinistra piange lacrime amare. Mica l'aveva capito che la mamma stesse così male. Era tutto attento a biasimare i fratelli più esuberanti che non si è accorto che mamma voleva discutere, parlare, voleva averlo accanto sicuro e forte. Ma lui, un po' consigliato male, un po' impaurito, scelse di far vedere a mamma che era un bravo ometto, coraggioso e solerte: sarebbe andato nella tana di un animale pericoloso e l'avrebbe addirittura smacchiato. Eh mamma, come sarai fiera di me. Anche se me ne sto qua zitto sono in grado di farcela, dammi fiducia. Mamma la fiducia gliele voleva pure dare, ma sta roba del giaguaro un po' la intimoriva. Il piccolo era sempre spesato, capiva in ritardo i bisogni delle vecchia genitrice e si faceva fregare, spesso e volentieri, dagli altri fratelli.
 
L'uomo sulla destra ha addosso un broncio severo. Ma in realtà, sotto sotto, se la ride. Lui mamma la faceva sempre ridere. Le raccontava barzellette, le faceva le corna nelle foto, le diceva che era bellissima. Mamma lo amava di un amore cieco e con l'andare avanti capì che quel suo figliolo era anche un gran bugiardo e puttaniere. E che le barzellette facevano pure schifo. Se ne stava sempre lì a cantare, a promettere fantomatiche restituzioni di cose e sentimenti. Ma in fondo una parte di mamma lo amava. Forse era la parte colpita da alzheimer e poca istruzione. Mamma, ti prometto che danzerai al chiaro di luna e sarai bellissima. Ma prima dammi i tuoi orecchini d'oro che devo comprarmi un metro cubo di capelli.
 
Il terzo uomo dietro lo "smacchiatore" era il figlio più piccolo e ribelle. Era quello che mamma temeva e adorava allo stesso tempo. Al contrario del figliolo scaltro e affabulatore con crescita di capelli istantanea, questo figlio era un po' come un testimone di Geova: sfruttava subdolamente il malcontento di mamma verso i due figli maggiori promettendole che lui sarebbe stato diverso. Senza poi spiegarle come. Ma il come non era importante! Paradossalmente questo pargolo le portava tutte le riviste preferite e le regalava i dolci più squisiti ignorando che la mamma non potesse leggere senza occhiali  e nemmeno mangiare senza dentiera. Mamma, alla dentiera e agli occhiali arriveremo, intanto tutti a casa quei figli che non ti fanno felice! Sì figliolo, sospirava mamma, ma intanto i giornali e i dolci son capace di comprarmeli pure io, tu mi devi aiutare a leggerli e a mangiarli. E se non sai come fare, beh, sei inutile come gli altri due.
 
 
 
Per ultimo un austero signore con gli occhiali e la faccia smunta. Era il figlio meno amato di mamma. Era quello che prospettava sempre austerità e sacrificio. Quello che era vecchio dentro e faceva invecchiare pure mamma. Ma in fondo al cuore la poveretta sapeva che non aveva tutti i torti. I suoi figlioli facevano sempre caos e lui cercava di mettere una pezza, ma poi si faceva sempre aiutare da ragazzacci in doppiopetto e 24 ore e se ne andava in ferie nel Club Bilderberg. Mamma, la situazione è critica, ma conosco persone che possono accordarci fiducia. Guarirai con po' di sacrificio.
 
Mamma, che di figlioli ne ha tanti (un magistrato rivoluzionario, un dandy che insegue lauree e master, una ragazzotta romana giovane e malDestra, un signore distinto che crede nel Futuro e nella Libertà.) si è lasciata morire ieri notte. E oggi, noi, siam qui a piangerla. E dietro, imbarazzati e confusi, tutti i suoi figli.
 
Perché si sa, la mamma dei cretini è sempre incinta.

venerdì 22 febbraio 2013

La tragica somiglianza dei bellunesi

"Oh, Fede, è morto Tavasani, dovresti fargli un Ars come minimo!".
Venghino signori venghino, avete un necrologio da fare? Blocco dello scrittore causa telegramma di condoglianze? Ma venite da me che vi riempio di idee, dovrebbero assumermi in una di quelle aziende che fanno biglietti augurali per ogni evenienza (sì, tipo quella di "500 giorni insieme", film spettacolare sulle relazioni tra uomini e fighe-di-legno-che-non-vogliono-una-relazione-con-te-per-tipo-un-anno-e-poi-ti-lasciano-e-dopo-solo-due-mesi-si-sposano-con-un-altro).
Così eccomi qui, causa neve ed impraticabilità di ogni strada nemmanco fossimo in Kamcatka, a casa, davanti al computer con l'arduo compito di scrivere un bel coccodrillo per Tavasani.
Partiamo dall'inizio.
 
2011, grigia scrivania del glorioso Ufficio Stampa MotorShow. Ci siamo spostati tutti in fiera. La scrivania rimane grigia. Siamo in un ufficietto con le porte a vetri, davanti a noi passano loro, i giornalisti. Alcune vecchie cariatidi con la macchina fotografica al collo, ragazze bellissime che si rifanno il trucco mentre camminano su tacchi vertiginosi, cameramen stanchi e curvi. I giornalisti fanno la spola dalla Sala Stampa al bar, passando inesorabilmente davanti a noi.
Ogni tanto entrano impauriti, guardano la mia collega Chantal o la cara compagna di scrivania, Lilla, ignari, ma nemmeno tanto, di trovarsi di fronte a Cerbero: tre teste, sei stomaci, palle lunghe fino allo stand della Wolksvagen.
Tra di loro, composto, alto e allampanato, c'era Tavasani.
Tavasani era semplicemente Tavasani. Un giornalista di quelli da salvare. Uno di quelli che si accampavano in sala stampa ma almeno un paio di buoni articoli sul Motor Show li scriveva. Era l'essere mitologico che era riuscito ad accaparrarsi l'ultima shopper rossa che regalavano allo stand di Enel. Tavasani si presentava anche alle conferenze stampa, non aveva richieste assurde ed era, sì, era un... Giornalista Gentile.
Si è spento qualche giorno fa qui, nella sua adottiva Bologna.
A parte la passione per tutto ciò che fosse "aereo" (piste d'atterraggio, aerei, hostess e quant'altro lo rendevano felice, commentano i suoi colleghi de Il Resto del Carlino, testata per cui lavorava), di Tavasani mi ha colpito la foto. Sorridente ma non ridanciano, occhi piccoli ma espressivi, composto.
Poi leggo: "Nato a Belluno [...]dove il padre guidava il birrificio Pedavena". Un segno divino.
A parte amare la birra Pedavena quasi quanto la Ceres, Tavasani è legato a doppio nodo con tanti miei ricordi. Come quella volta in campeggio a Farra d'Alpago, vicino a Belluno, dove mi slogai la caviglia appoggiandola di merda sulle panche legnose e lisce del birrificio Pedavena. Bellissima vacanza. La ricordo tuttora con orrore e rabbia, un po' per l'infermità forzata provocata da una postura da ubriaca e un po' per la compagnia, che sdegnosa si rifiutava di credere al mio infortunio nostante la caviglia a forma di Hindenburg post incidente.
E poi, sì, più guardo la foto, più mi viene in mente il caro amico Denis.
 
 
 
(Anche il caro amico Denis era di Belluno, anzi, precisamente di Soverzene, un paesino idilliaco sopra il Vajont. Come Tavasani, Denis incarnava la fisicità craniale dei bellunesi: sorriso stretto, occhi acquosi, capello composto. No, lo sapete quanto me che il buon Denis non è deceduto, ma si è trasferito in Svizzera. E per certuni la sua partenza ha assunto i contorni di una vera e propria dipartita. Vedere la foto di Tavasani mi ha ricordato che in un certo senso, nemmeno Denis è più con "Noi".)
Leggere di tutti gli aperitivi e i brindisi che avevano coinvolto quel bontempone di Tavasani dagli anni sessanta fino al giorno della sua morte mi ricorda la vena tipica dei veneti, sempre inclini alla risata, alla presa in giro e alla malinconia del ricordo. Mi viene in mente Feltre, la fisionomia del veneto verde e prezioso, le scale mobili che ti portano a Belluno.
Ma drammatizzo i miei ricordi, perchè Tavasani era bolognese di adozione, lui a 8 anni se ne va da Belluno manina nella manina con papà e mamma e viene a vivere qui per i suoi restanti 63 anni.
Altro che Pedavena, altro che scale mobili o demenzialità soverzenese, qui siam sempre nella nostra, nella sua Bologna.
E allora addio Tavasani, mostra agli angeli la borsa rossa dell'Enel come il trofeo del tuo penultimo
Motor Show, quando i gadget erano fighi e le strappone sulle macchine erano più gnocche.
 
Lezione di oggi: non anneghiamo nei ricordi cercando perchè o percome. Se la foto di un uomo buono veneto ti fa venire in mente un altro uomo buono veneto, allora è tempo di riderci su e andare avanti. Bevendo Pedavena.
 

giovedì 14 febbraio 2013

Tra San Valentino e San Romolo.

Svegliarsi la mattina di San Valentino. Sola.
Nel mio letto King Size 6 posti a fianco a me c'è il mucchio di panni in attesa di essere stirato. E non è proprio sexy e ammaliante. E nemmeno carico d'amore. Mi tiro su tipo sacco di patate e invio gentili bestemmie verso i bambini del piano di sopra che, per tutta risposta, sbattono i piedi e inviano bestemmie a loro volta. I bambini di oggi. E le loro stupide madri.
Tiro su la tapparella e fuori mi aspetta un bellissimo cielo grigio melange.
Mentre faccio colazione guardo la tv. E in tv c'è il mio ginecologo. Già, pare che Cielo stamattina faccia la maratona di tal programma chiamato "Reparto Maternità". Mi vengono i brividi e cambio canale più in fretta di Bolt.
Mi stiracchio, stendo e metto in ordine. Una giornata come tutte le altre. Fosse altro che è la festa degli innamorati. E c'è chi ha pensato di festeggiarla con il botto. Tipo Oscar Pistorius che ha scambiato la sua ragazza per un ladro e ha ben deciso di spararle.
Ora.
Parliamone.
La storia non è chiara. Questa poveraccia entra in casa e Pistorius (chissà se indossava le protesi. No perchè se no è premeditazione. Altrimenti te ne stavi a letto, protesi al chiodo e addio al secchio che ti accorgevi del "ladro") gli ha scaricato addosso 4 colpi di pistola.
Non uno stile "'ndo cojo cojo", sparando alla cieca. No, 4 colpi, di cui uno dritto in testa. Pistorius potrebbe seriamente pensare di cambiare disciplina olimpica.
 
 
 
Questi santi infestano sempre febbraio che di per sè sarebbe un mese tranquillo. Odio Sanremo e il Festival che ammorba la città. Cantanti, o pseudo tali, riesumati dalle loro bare, sverminati e insaccati dentro completi illustrinati e luccicanti. Miliardi di finti commentatori che intasano i social network con i loro pareri non richiesti che arrivano puntuali ad ogni esibizione, pubblicità, ospite speciale.
Sanremo mi sdrena. Ma è un evento che catalizza l'attenzione di tutti gli italiani più o meno medi, per certi artisti Sanremo è l'unica volta all'anno che possono sfruttare per ingannare il totomorto (ad esempio pensavo che Toto Cutugno fosse trapassato, ma, come ho letto, si è presentato scortato dal coro dell'Armata Rossa. Abbiamo afferrato il concetto, Toto).
I Ricchi e Poveri dovevano cantarcele di santa ragione, ma all'ultimo il figlio del "baffo" Franco è deceduto nella sua casa, pare ucciso dallo stress (Pare. Stress. A 26 anni. Pare.).
L'ironia sta anche nel fatto che San Remo, come santo, non esiste. Anzi, il patrono di Sanremo è, guarda che proprio l'han fatto apposta, San Romolo.
 
Mi spunta un sorriso mentre scrivo. Ogni giorno veniamo bombardati da milioni di opinioni, su tutto. Oggi sarà il trionfo dell'acidità dei singles, dei cuoricini  e delle speranze degli innamorati, degli chicconi snob che non lo festeggiano ma in cuor loro speran sempre in qualche sorpresa.
 
Io oggi ho ricevuto un bacio più grande di quelli che ricevo di solito. E non mi lamento.
Guarda cos'è successo alla ragazza di Pistorius.
 
La lezione di oggi è: Amatevi, amate, siate dolci e melensi. Spegnete la tv che Sanremo è morto. E soprattutto se andate a casa di Pistorius, suonate il campanello. 
 
 

mercoledì 13 febbraio 2013

Pillole di morte: la sorella di Coulthard

David Coulthard, famoso pilota di Formula 1 e mascella quadrata peggio di Ridge, sta per partecipare ad una trasmissione mattutina della BBC1 , è sabato e deve stare in una finta cucina mentre il solito presentatore babbeo gli chiede le solite cose sul solito circo della Formula 1. Tutto sommato non gli va male. Poi, poco prima di entrare in quella finta cucina, qualcuno gli sussurra piano che sua sorella Lynsay è morta.
 
 
 
David Coulthard è seduto su uno sgabello e guarda un tipo cicciotto vestito di nero preparare una pastella. Il tipo cicciotto, guarda caso, gli fa domande sulla Formula 1 e David, elegante e casual allo stesso tempo vestito in giacca nera e camicia bianca, risponde velocemente con il suo tipico accento scozzese. Nel frattempo, in Scozia, a Crossmichaels, la sorella Lynsay giace senza vita nella sua deliziosa casetta, con la polizia e il coroner intorno a lei. E David si tiene stretto nella mascella il dolore e lo sgomento, lì, a chilometri da lei, davanti ad una pastella.
 
Lynsay Coulthard aveva 35 anni, una bambina di otto mesi, un marito rubicondo, un lavoro come infermiera e la totale dedizione al fratello di cui gestiva il museo a lui dedicato a Twynholm.
 
In tutto questo, oltre al dolore, c'è una verità che mi gela il sangue: qualcuno ha dedicato un museo a Coulthard. Poco importa sia stata la stessa Lynsay.
 
Le lezioni di oggi sono poche ma semplici: non importa quanto veloce corra la tua vita, arriverà il momento in cui ti dovrai fermare. E forse non sarà piacevole.
La vita è breve. Mi sembra suoni abbastanza chiaro il concetto ogni volta che mi trovo a scrivere questo blog. La vita è breve per starsene seduti su un divano a crucciarsi. Un giorno fai visite guidate in un museo dedicato a tuo fratello e il giorno dopo sei distesa per terra a bocconi.
 
Alziamoci dal divano e aspettiamo che dedichino a noi un museo.

martedì 12 febbraio 2013

Morto un papa se ne fa un altro. Più o meno.

Ed eccomi lì tranquilla a guardare Deejay chiama Italia (sì, lo confesso, ho un assoluto ed ingiustificabile debole sessuale per Nicola Savino) quando, da una rapida occhiata su Twitter e Facebook, scopro l'inimmaginabile: Papa Ratzinger si dimette.
La faccia di Joseph è sempre la stessa, abbattuta, un po' imbarazzata. "Non ho più le forze".
E devo dire che ieri ne ho lette di tutti i colori. E sì, ammetto candidamente che ho riso molto per certe foto e certi commenti.
Ma uno in particolare mi ha urtato, ha cozzato contro le mie ossicina. Un commento fastidioso come una zanzara, ma soprattutto ammantato di quel tono nazionalpopolare-ipocrita-buonista che mi fa rizzare i capelli. Così stamattina ho subito cercato quelle parole sciolte e senza intelligenza. Volevo commentare a mia volta. Niente. Non ho trovato nemmeno un punto di quella frase. Proverò comunque a ripeterne il non-senso.
Il sedicente intellettuale nazionalpopolare polemizzava sulla caratura morale di Ratzinger, lo infamava sottilineando la mollezza fisica e morale di fianco all'immenso sacrificio del predecessore, un pontefice umile e immenso.
 
Certe volte dimentichiamo di essere umani. Certe volte dimentichiamo che siamo TUTTI esseri umani, tolta forse l'infermiera Patrizia dell'ASL di Casalecchio addetta all'analisi delle urine, lei no, lei è un cazzo di cyborg.
Siamo esseri umani dunque, abbiamo delle scelte da compiere ogni giorno, pensate alla classica Casalinga di Voghera e a Benedetto XVI. La lucidità, l'impegno e la forza fisica consentiranno sia alla Casalinga che a Benedetto di compiere azioni giuste nel modo giusto o anche di compiere azioni sbagliate, moralmente discutibili, prendere posizioni non condivisibili, nel modo giusto. Per la Casalinga si tratterà di un tradimento sessuale sadomaso ai danni del marito ragioniere con l'idraulico/falegname/ciappinaro di turno mentre per Benedetto si parlerà di lotte intestine al Vaticano, di decisioni per il futuro della Chiesa Cattolica e di scandali ora da coprire, ora da affrontare. Senza lucidità o impegno o forza fisica, entrambi compiranno azioni sbagliate nel modo sbagliato.
E ci scordiamo, e si scorda il sedicente intellettuale nazionalpopolare, che a volte portare una croce e guidare un gregge allo stesso tempo richiede lucidità, impegno e forza fisica. Benedetto è sempre stato un teologo, sempre in biblioteca a studiare, a scrivere e teorizzare mentre magari un branco di cardinali seduti in fondo alla biblioteca faceva casino che non si riusciva nemmeno a leggere in pace, guarda te. Un uomo del genere, un freddo teologo, un dialogatore, pensa a guidare lucidamente le persone che lo attorniano. Un uomo così non è adatto al martirio fisico, è un uomo che riconosce i propri limiti, soprattutto fisici, di anziano. Perchè ad 86 anni, chiunque, tranne la regina Elisabetta (cyborg), ha bisogno di fermarsi, fisicamente. Benedetto non voleva essere un cieco che guida altri ciechi, riconosciamogli dunque l'onestà intellettuale.
Giovanni Paolo II era diverso. Lasciate stare la facciata da tenero labrador indifeso che lo ha contraddistinto. Giovannino era un duro, un eroe, uno di quelli che combatteva le iniquità in un italo-polacco da far paura anche a Skeletor. Da eroe se n'è voluto andare. Fino all'ultimo respiro è stato lì, presente. O assente. Devastato dal Parkinson, fisicamente una carcassa, Giovannino non ha mollato. Nel bene e nel male.
 
 
 
La mia laurea in storia medievale m'insegna che i papi di allora erano molto più goliardici e compagnoni e che per fare un nuovo papa non per forza si doveva aspettare che quello in carica fosse morto. Addirittura il povero papa Formoso un anno dopo la sua morte  fu  riesumato e condannato per malefatte che , forse, aveva compiuto durante il suo pontificato. Uno scheletro di un passato che si voleva abiurare, nascondere e sprofessare, adagiato con tutti i paramenti su uno scranno. Che spettacolo osceno. Un po' come guardare Andreotti in Senato. 
 
Questo paragone Ratzinger-Giovanni Paolo mi ricorda le storie d'amore. Paragonare il papa precedente al papa che abbiamo ora è sbagliato. A volte ci possono mancare le gentilezze e le carinerie, l'impetuosa voglia di viaggiare per il mondo o l'amore per gli animali, ma ogni papa che viene eletto porta con se nuovi modi di gestire il proprio mondo, qualche decisione ci lascerà l'amaro in bocca, qualche altra ci regalerà sorrisi ed emozioni imparagonabili ad altre mai vissute. Puoi solo sperare che non molli il pontificato, come Ratzinger. E' questo che significa "morto un papa se ne fa un altro", accettare il fatto che il cambiamento, quando arriverà, potrà non piacerci o spaventarci, ma sempre di cambiamento si tratta. Una nuova fase della nostra vita. Da fedeli o non.
 
La lezione di oggi è che morto un papa se ne fa un altro. Senza il bisogno di disseppellire il predecessore per fare paragoni o accuse. Speriamo che questo papa non molli.

martedì 5 febbraio 2013

Pillole di morte: Il condono tombale.

Da oggi si apre la stagione della gioia. O almeno ci provo.
Basta con le lacrime da abbandono, basta con tutta questa tristezza che mi ammanta stile pelliccia Annabella di Pavia.
Oggi si sorride, complice il bel sole e le cazzate di Berlusconi.
Ebbene sì, Ars Moriendi si schiera fieramente dalla parte dei morti, non certo da quella dei non-morti.
A parte la restituzione dell'IMU (cose che, bene chiarirlo qui, è una cosa possibile come possibile è la glaciazione del regno degl'inferi. E per molti, il regno degl'inferi, manco esiste.) la cosa più esilarante è stato l'accenno al cosiddetto "Condono Tombale".
 
 
 
Ora, qui ci occupiamo di morte quotidianamente, e il condono tombale, già dal nome, ci porta ad una questione inerente al decesso: la morte della nostra dignità, morale e fiscale.
In sostanza, se avete compilato male la vostra dichiarazione dei redditi perchè il vostro commercialista è scappato a Courmayer con i vostri soldi o se voi siete il commercialista scappato a Courmayer e non vi sognate nemmeno di fare la dichiarazione dei redditi, ecco allora che per voi arriva il Condono Tombale, in meno di un minuto mia Nonna che ha sbagliato a redigere una voce e un Briatore a caso che si è accidentalmente scordato di informare lo stato dei suoi svariegati SUV, yachts, Trillionaire e Apprendisti, sono magicamente lindi, puliti e senza macchia di fronte alla macchina fiscale.
Come il vecchio paragone della madre che ruba una mela per sfamare i suoi bambini e il milionario ingordo che froda i poveri. Uguali.
 
L'unica cosa che adoro del Condono Tombale è l'aggettivo Tombale.
Perchè chi lo propone dovrebbe pensare piuttosto ad una Lastra Tombale. La sua, possibilmente.
 
La pillola di oggi è: il silenzio tombale è la risposta migliore a chi propone un condono tombale. Magari non avrete indietro l'IMU, ma avrete salva l'anima.
 

lunedì 4 febbraio 2013

Sepolti in casa.

E' proprio vero.
Quando tutto volge al meglio, quando sembra quasi che la tua vita stia per prendere una direzione non del tutto marcia, allora è lì che succede qualcosa che stoppa il processo di evoluzione verso la serenità.
Un conto infatti è vedere gli scatoloni che si accalcano in casa tua manco fossi nel magazzino dell'Oviesse, un altro è sentire il tuo coinquilino pronunciare la frase "Lunedì me ne vado".
 
E così ti rannicchi in un angolo del divano, piangi pensando ad ogni singolo momento degli ultimi 8 anni passati con lui, li rivedi nitidi ma al rallentatore. Ogni fotogramma, più vai avanti, più t'induce conati di vomito e spasmi asmatici. Pensavi di esser forte abbastanza per stare sola ad affrontare 55 mq. Di giorno è facile. E la notte si dorme. E' la sera che frega.
 
Le case intrappolano. Real Time ci ha fatto un programma dal titolo molto esplicito "Sepolti in casa".
Ma Real Time ha anche 18 programmi diversi sull'essere obesi, quindi mi sembra che non sappia bene cosa voglia dire essere "Sepolti in casa".
 
Ma come sempre, partiamo dal principio. E il principio si chiama Alexis Vidakis.
Sì, sì, lo so, allusioni al fuoco, alla carne e all'ardente desiderio associato alla sua morte son stati di cattivo gusto, chiedo venia. Ma come solevo dire a 3 anni "Sono solo un essere umano" (mia madre va pazza di questo piccolo aneddoto).
Alexis Vidakis io lo conoscevo attraverso i racconti di un'Amica. Schivo, taciturno, produttore di documentari per la RAI. Ecco quel che so di lui. E che sa di lui la mia Amica, che pure con lui aveva parlato per questioni condominiali.
Alexis Vidakis è morto nel rogo della sua casa insieme alla madre. Come raccontano i quotidiani, la casa era invasa da cumuli di giornali, scartoffie, sporcizia. Armadi vuoti ma pavimenti pieni di qualsiasi cosa, vestiti, libri, ricordi.
Alexis Vidakis era un uomo colto, possedeva i diritti di distribuzione di opere di Tarkovsky e di Sergej M. Ejzenštejn, eppure nessuno lo vedeva da anni. Alcuni erano convinti fosse partito per la Grecia o per la Russia. Il regista Bellocchio lo aveva ringraziato nei titoli di coda di un suo film. Aveva prestato la sua Fiat 600 ad Enrico Ghezzi, che ovviamente gliela restituì incidentata.
 
Perchè una vita così piena è rimasta soffocata tra quattro mura?
Di case, Vidakis e mamma, ne avevano 3. Due erano vuote. Una delle due è vuota, fredda, senza finestre o rubinetti. Lo so, me lo ha detto la mia Amica. Due case vuote e una strapiena, straripante di ricordi, frammenti di vita, quotidianità.
In un attimo le fiamme hanno divorato due esistenze, due tipi diversi di memoria del passato, un enorme bagaglio di esperienze sparse alla rinfusa tra il loro cuore ed il loro pavimento. E' così quando le cose t'intrappolano. Quando non riesci a fare ordine nella tua vita perchè dentro di te sei esploso e i pezzettini del tuo io son sparsi tra la milza, i reni e il condotto lacrimale.
Tutto quel fumo e tutte quelle fiamme hanno risparmiato solo un gatto. Il gatto dei Vidakis. La creaturina si era rintanata sotto una pletora di cuscini. Salvando la pellaccia ed esaurendo una delle sue 7 vite.
 
 
 
Così ora riguardo quel mio angolo di divano e penso che sia meglio farsi un giretto sotto questo splendido sole di ghiaccio piuttosto che rintanarsi nella propria casa nascondendo il dolore ed accumulando ricordi per terra o assemblandoli in tanti fotogrammi di disperazione stile scalinata di Odessa ne "La corazzata Potemkin".
 
La lezione di oggi è che per superare un dolore che ci rimane attaccato come una macchia di vaselina su un vestito beige di H&M da 7 euro e 95 cent, bisogna uscire dalle tenaglie delle trappole, togliere le foto di un passato ormai andato e sorridere al futuro pensando ai propri amici, al lavoro, alla propria casa e, nel mio caso, ad un "ciccione" che mi vuole molto bene.
Per la macchia di vaselina attendo consigli.
 
Fra, questo post è per te. Sono sicura che ora sentirai meno freddo provenire dalla casa di fianco. E comunque tra un po' è estate.