mercoledì 21 settembre 2016

Il lutto del protagonista

Guardo un sacco di tv.
Tv.
Non solo telefilm (che adesso bisogna chiamare "serie tv" se no la gente pensa che tu stia guardando roba tipo "Walker Texas Ranger" o "Melrose Place"), guardo un casino di docureality, soprattutto sui grandi omicidi americani.
Funziona così, si parte con un paio d'inquadrature ad cazzum di casette e alberi/cespugli/fontane e poi bang! il bel cartello della classica cittadina americana tranquilla tipo "MACON - Georgia - Casa della gente perbene che va in chiesa e non va in giro ad ammazzare altra gente".
SEMPRE.
In sottofondo una voce bassa comincia a descrivere l'idilliaco posto che state vedendo.
"La cittadina di Macon, Georgia, è un luogo tranquillo, la gente perbene va in chiesa e nessuno si aspetta che il male si nasconda dietro una di quelle case".
SEMPRE. NESSUNO SI ASPETTA MAI UN CAZZO DI NIENTE. VABBE'.
Dicevamo, nessuno si aspetta che il vicino ad esempio sia un pedofilo assassino, nessuno si aspetta che "il tranquillo adolescente silenzioso" della casa in fondo alla via sia in realtà uno spietato torturatore di marmotte. Nessuno.
Poi però ci scatta il morto, di solito una ragazzina in bici.
Tra una ricostruzione e l'altra ci sono i vari testimoni, sbirri e familiari che parlano della vittima. Una cosa molto triste, soprattutto perché, a detta loro, NESSUNO SI ASPETTAVA CHE IL MALE BLA BLA BLA.
E io li guardo.
Sono stravolti dal dolore. Li vedi. Guardi il loro groppo in gola e ascolti bene le loro pause. Sono lì, anni di unghie conficcate nei palmi delle mani, pugni serrati nascosti nelle tasche dei cappotti, mascelle tirate e occhi assenti. il dolore e la rabbia di chi ha amato e perduto.
Ma sul momento?
Cosa succede quando il dolore è lì? Cosa prova il padre della bambina in bici quando gli dicono che la figlia è stata ritrovata in un cestino dell'immondizia?

Gli attori dei docureality sono di solito solo fantocci che recitano 4 frasi in croce, le bionde di solito fanno facce stranite tipo questa:



Gli uomini si limitano ad avere una birra in mano e allargare le braccia. Stop.
E quando la ferale notizia raggiunge i fantocci, loro scimmiottano facce al limite della decenza, i più scafati si coprono la faccia con le mani. Perché il dolore non è mica roba da tutti. Rendere vero il dolore è come riuscire a far ridere: non basta una cipolla per piangere o una battuta su Jennifer Aniston che esulta sulla fine dei Brangelina per far ridere.

Così, una volta abbandonata Macon in Georgia e i suoi fantocci che si dannano di dolore per la morte della bambina in bici, guardo cosa mi consiglia YouTube.

Ed eccola lì, un'altra roba strana, Julia Louis-Dreyfus che riceve un Emmy.
Non per l'Emmy, figuriamoci, io le darei le mie cornee se solo Julia me lo chiedesse.
E' per il discorso.

Parte in modo splendidamente irriverente, paragonando l'attuale stagione di "Veep", il telefilm in cui interpreta una totale imbecille che combinazione, è anche il vicepresidente degli USA, alla realtà, con chiaro riferimento a Donald Trump e al suo essere un cretino totale.
Poi le mani tremano, la voce si rompe, i singhiozzi partono. Il premio è dedicato al padre, scomparso venerdì.
Cioè, quel venerdì.
La reazione del pubblico è un "OHHHHHHHHH", a metà tra "povera cara..." e "MA CHE CAZZO CI FAI QUI AGLI EMMY CAZZO? IO STAREI ROTOLANDO SUL PAVIMENTO DI CASA BAGNATA DALLE MIE LACRIME!".

Ancora adesso, riguardandolo, non capisco se piango:

A) Per i miei ormoni
B) Per il dolore immenso che guida quelle mani, quegli occhi bassi e quella voce.
C) Per il totale smarrimento, per il mio guardarmi intorno e non capire come si faccia a vivere con quel dolore così grande e riuscire comunque ad essere lucidi e superiori al resto del genere umano (Julia, ti amerò sempre, forse anche di più dopo tutto questo)

Il dolore per la dipartita di un proprio caro forse varia a seconda del modo in cui il caro se ne va.
La mamma del piccolo Tommy (ve lo ricordate? Quel bambino di 18 mesi rapito nel 2006 a Parma e trovato morto dopo qualche mese?) dice in un altro di questi stramaledetti docureality, che non appena qualcuno che non ricordo le disse che avevano trovato suo figlio morto lei aveva perso i sensi, stramazzata al suolo e incapace di ricordare qualsiasi cosa nei giorni seguenti.
Se invece il proprio caro muore dopo una lunga battaglia con un male terribile, allora il dolore si trasforma in agonia del ricordo, per cui due giorni dopo la sua morte fa male il pensiero che ormai sia tutto un ricordo, che il dolore, fisico o mentale, sia volato via, che a far male sia rimasto solo il dover ricordare e non poterlo più vivere.

A scrivere tutto ciò mi sento come Carrie Bradshaw mentre si faceva tutte quelle domande cretine sui single tipo: "Quando le cose sono troppo facili siamo portati a sospettare. Devono diventare complicate prima che possiamo crederle reali? Ci serve il dramma per far funzionare una relazione?o merda del genere.

Una roba tipo "Death and the city".

La lezione del giorno è che gli attori fingono bene, ma la tremarella alle mani ti tradirà sempre, sia nel dolore più profondo sia mentre leggi un discorso al matrimonio del tuo miglior amico. L'emozione fa parlare le mani.
Che è una delle scuse più usate da quelli accusati di aggressione, per dire.

mercoledì 7 settembre 2016

La cassetta di Bon Jovi

Accendo Spotify.
Scopro cosa mi offre la "Discover Weekly".
Mi metto una felpa. Guardo fuori dalla finestra.
Inizio.
Un altro Ars Moriendi sta per vedere la luce.

Mentre parte "Eyes without a face" di Billy Idol mi rendo conto di essere pronta per darvi una grande lezione. L'ennesima sulla vita adulta. L'ennesima sul passaggio da coglioni ventenni a condannati trentenni. 

A otto anni circa la mia preoccupazione maggiore durante l'estate era non fare amicizia con i bambini in spiaggia. Era così, non che avessi problemi nel socializzare o roba del genere, no, semplicemente volevo farmi i cazzi miei. Il mercoledì c'era Topolino in edicola, ogni giorno alle 16 passava il gelataio, un pover'uomo di 90 milioni di anni con un enorme frigo bianco che ciondolava da una bretella blu saldamente ancorata alla sua spalla artritica che procedeva tutto curvo e pendente per chilometri di spiagge bollenti, i vu' cumprà che vendevano musicassette improbabili, occhiali da sole che avranno bucato negli anni milioni di retine, braccialetti portafortuna di ogni tipo di colore che urlavano ESTATE da ogni loro filo per poi portare una sfiga talmente raggelante che avresti preferito tagliarti i polsi piuttosto che averli pieni di quella merda.
Le mie estati erano tutte così, una la fotocopia dell'altra. E io le amavo moltissimo.
Ma un anno vinsi un premio, il ché rese quell'estate la migliore di tutte.

Era l'estate del 1990, quella per intenderci, di "Notti magiche", della Nannini e Bennato che risuonavano in ogni bagno, in ogni bar, sotto ogni ombrellone. Specialmente sotto quello dei miei vicini di ombrellone.
Avevano solo quella cassetta.
Finiva il lato A, subito s'infilava il lato B.
Sempre la stessa fottutissima "Notti magiche". 

Ormai leggere Topolino era difficile, in ogni vignetta s'insinuava un "inseguendo un goooooal" e Basettoni ormai viveva perennemente "sotto un cielo di un'estate italiana". Un vero incubo "non è una favola ma dagli spogliatoio escono i ragazzi e siamo noi", per capirci.

Così una sera, come vi dicevo, vinco un premio.
Mentre sono in cabina telefonica con in mano pochi spiccioli per urlare a mio padre l'ennesima bugia "SIIIII STO FACENDO LA BRAVA", noto un luccichio. Il luccichio tipico dei premi e dei tesori.
Sopra al telefono qualcuno aveva dimenticato un walkman. UN WALKMAN.
E dentro al walkman una cassetta di Bon Jovi. Capisco la delusione, ma finalmente avevo un'arma contro Bennato e la Nannini. A colpi di "Livin' on a prayer"mi godetti il silenzio, il mio silenzio almeno.
Il mio isolamento estivo accelerava, il walkman era stato il mio upgrade definitivo.

Nessuno mi guardava, nessuno mi degnava di uno sguardo attento, nessun bambino veniva a chiedermi di giocare. Io dal canto mio non sentivo, avevo un paio di cuffie e un italo-americano biondo che mi urlava nelle orecchie.



Nel 1989 uscì "See no Evil, Hear no Evil", un bel film con Richard Pryor e Gene Wilder. Nel 1991 il sequel "Another You". Sarebbe stato l'ultimo film di Wilder. Forse fu l'ultimo film figo in cui recitò Richard Pryor.
Erano quelli gli anni croccanti, gli anni in cui il tuo attore preferito era Gene Wilder che sembrava sempre spelacchiato come tuo nonno, in cui Richard Pryor si sposava sette volte e abusava di cocaina, Totò Schillaci era un idolo nazionale e la vita sembrava lontana dalla morte. Le ultime estati leggere.

Poi leggi che Gene Wilder è morto. E pensi "cazzo, sono vecchio, sono vecchio, SONO VECCHIO"
L'estate è la montagna, le ferie in cui devi sempre avere il cellulare acceso, non puoi dormire in macchina ma fare da navigatrice. Tua madre ti chiama solo per sapere se hai fatto le lavatrici.
Nessun ombrellone, nessun vecchio sciancato che ti porta un Cucciolone tre strati, nessun vicino di ombrellone. Infinite foto di un millenario che avevi lasciato quasi sessantenne nel 1990 scorrono sul tuo smartphone, tutto è un furore di hashtag, hashtag per salutare qualcuno per sempre. Non mi ci abituerò mai. 
#AddioGene. Che cazzo è? Uno muore e tac, la lapide grafica è un cancelletto? #RIP. Agghiacciante.
In quell'estate del 1990 il cancelletto non so nemmeno se esistesse già nei telefoni della Sip.

E' arrivato settembre. L'estate 2016 è già stata archiviata. E con lei quella del 1990.

Ora che Gene se n'è andato non rimane che aspettare che il tristo mietitore colga qualche altro simbolo di quegli anni.
Uan.
Mauro Serio.
Luciano Onder.
Totò Schillaci.

E allora sì che potremo salutare con la manina i nostri ricordi infantili, infilarli in un baule insieme ai corpi dei miei vicini di ombrellone di "Estate '90", metterli in soffitta e continuare a camminare inesorabilmente verso gli 'anta, ovvero "quando porteremo i nostri figli fatti grazie al #fertilityday al mare dai nonni e noi dovremmo sorbirci le loro chiamate che alla fine ci spunterà pure la lacrimuccia mordendoci le labbra pensando che sono lontani, ma sono nella loro estate migliore".

#AddioGene
#ilcancellettoveroèquelloSip