mercoledì 25 gennaio 2017

Il vento ci condurrà (alla morte)

Non so cosa mi abbia portato ieri mattina, ore 06.37, sulla pagina wikipedia di Bertrand Cantat, cantante storico dei Noir Désir.
Forse perché dopo 10 anni ho letto che riciccia fuori Manu Chao con un nuovo album e, sempre forse, mi sono chiesta che fine avesse fatto la mia gioventù.




(J'ai pas peure de la route
Faudrat voir, faut qu'on y goȗte
Des méandres au creux des reins
Et tout ira bien là
Le vent nous portera

Non ho più paura del cammino,
bisognerà vedere, bisognerà saggiare
i meandri più profondi di noi stessi.
E tutto andrà bene.
Il vento ci condurrà)

2003

Non riuscendo a trovare la mia gioventù, o le rovine di quel che fu, mi sono imbattuta in Bertrand Cantat che interpretava il classico cliché del rocker impegnato contro tutti i fascismi e le guerre, contro la corruzione della società e l'avanzata del capitalismo. Voglio dire, di Manu Chao ne avevamo già uno, checcazzo.
Mentre sgargarozzava la peggio vodka dei bar di Vilnius, una sera d'estate del 2003, tenta l'impossibile: diventare ancora più cagacazzo agli occhi di tutti ammazzando la fidanzata a mani nude.
Ci riesce.
Per ben 19 volte colpisce al volto la fidanzata, in preda all'alcool, alla gelosia, alla frenesia.
Marie Trintignant, la bellissima Marie, attrice sensualissima figlia di quel Jean-Louis che tanto amava il cinema italiano, muore dopo un'agonia durata 7 giorni.



(Ce parfum de nos années mortes
Ce qui peut frapper à te porte
Infinité de destins
On en pose un et qu'est-ce qu'on en retient?
Le vent l'emportera

Questo profumo dei nostri anni morti
che può bussare alla tua porta,
un'infinità di destini,
se se ne perde uno, poi, cosa ne rimane?
Il vento lo porterà via)

Bertrand, che di pugni se ne ricorda solo quattro, dopo averla picchiata la lascia lì, quasi morta, ad aspettare il suo triste destino, mentre lui se ne va impunemente a dormire.
La mattina porterà Marie in ospedale. 
Tutto troppo inutile.

Eppure anche gli idoli libertari francesi hanno i loro fan.
L'ex di Bert, Krisztina Rady, segue insieme a lui ogni fase del processo che lo vede incriminato per l'omicidio. In ballo c'è il destino del leader dei Noir Desir, del suo ex marito e, soprattutto, del padre dei suoi figli.

Cantat se la cava con otto anni di carcere, ne sconterà solo 4 nel carcere di Tolosa. 
Quattro come i pugni che ricorda, strana la numerologia.

Fine.
O no?

La scia di morte che accompagna Bertrand lo attende fuori.
I Noir Desir li ha uccisi lui quel 27 luglio del 2003 insieme a Marie, ma lui ancora non lo sa.
Forse non è detta l'ultima parola, si possono sempre raccogliere i cocci di un vaso, si può sempre tentare di rimetterli insieme. La voce gli trema, di nuovo, ma può ancora farcela.



(Pendant que la marée monte
Et que chacun refait ses comptes
J'emmène au creux de mon ombre
Des poussières de toi
Le vent les portera

Mentre la marea sale
ed ognuno si fa i suoi conti,
mi sposto nella cavità della mia ombra
polveri di te
Il vento le porterà con sé)

2010

Chissà perché tutto rema contro a Bertrand. 
Chissà cosa girava nella testa di Krisztina quando ha deciso d'impiccarsi. 
Chissà perché Bertrand era lì a dormire e non si è accorto di nulla.
Una donna morta, un'altra, lui in un'altra stanza a dormire, di nuovo. 
Il silenzio della notte, il rumore del vento.
È tutto finito questa volta, qualche maldestro tentativo per ritornare in quella società di cui si sentiva ispiratore d'ideali e che ora lo disprezza, si rompe in mille pezzi di fronte agli occhi delle donne che lo odiano, dei padri che lo disprezzano, dei musicisti che lo ripudiano.

Tout disparaȋtra mais
Le vent nous portera

Tutto si dissolverà, il vento ci porterà

Caro Bert, 
vorrei darti un abbraccio, ma avrei paura fosse l'ultimo che darei.
In ogni caso io, la mia gioventù, l'ho ritrovata, mi auguro che la ritrovi anche tu.

La lezione di oggi è: fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Soprattutto di uno che suonava con Manu Chao.



martedì 17 gennaio 2017

I neomelodici, il gender e il matrimonio

Il matrimonio più bello a cui ho assistito è stato poco tempo fa, io ero testimone.
Cosa stana la vita.

Ripenso all'aria frizzante di metà settembre, alla compagnia, alla semplicità. Penso soprattutto all'amore che si respirava: quello meraviglioso, puro e scanzonato tra gli sposi e quello altrettanto meraviglioso, ma più fisico, tra me e i confetti al cocco.
Uno di quei matrimoni che ti fa venire voglia di sposarti cento volte al giorno, ti fa sospirare e pensare "chissà quando toccherà a me?", soprattutto "quando potrò scegliere le varietà di confetti?".

Uno specialista dei matrimoni era Don Antonio Polese, il "boss delle cerimonie", paladino del gender a sua insaputa per frasi come "sei propr' bell'" o "sei verament' grazioss'" riferito ad una sposa. Assoluto ambasciatore del neutro, dell'indefinito e del fluido: bell' o bellE, ricc' o ricche, sempre usati con persone sbagliate, generi diversi, un continuo mescolare di generi e sposi.




Quando se n'è andato, così, all'improvvis', tutt' noi ci siam' sentit' un po' pers' (gender parlando).
Don Antonio e il genero Matteo organizzavano i matrimoni napoletani, e campani in generale, più kitsch della storia. Un vero e proprio concentrato di tradizione partenopea mista a tatuaggi brutti di Padre Pio, corpetti e stecche su abiti per spose seducenti con corpi esuberanti, sposi di bianco vestiti con cilindri e bastoni gemmati e soprattutto cantanti neomelodici a perdita d'occhio.

Don Antonio era un uomo diversamente elegante, uno di quelli che portava camicie verdi di seta e occhiali anni '90 dalla montatura d'oro, correndo deliberatamente il rischio di sembrare il cugino ricco di Umberto Bossi. Il boss amava il barocco (da lui chiamato barocc', giustamente), gli stucchi dorati e valanghe di intonacature bianche su cui campeggiano improbabili scene bucoliche, putti e cieli dalle tinte violente stile capodanno "puttane e allucinogeni ad Amsterdam". 
Fuori dalla Sonrisa, lo sfarzoso abuso edilizio sogno di ogni bambina napoletana che s'immagina sposa, palme, bandiere di stati buttate a casaccio, pagode dai colori cangianti e fastidiosi, di nuovo palme, un enorme cancello in ferro battuto, una fontana con delfini saltanti e statue, tante statue, di tutti i tipi, dalla finta Venere di Milo all'arcangelo Michele truccato come Massimo Ranieri a teatro.

Chiunque varcasse quel cancello era, e tuttora è, in cerca di qualcosa di "esclusivo". Non conto le volte in cui dalla bocca rifatta di qualche mamma sia uscita la parola "esclusività", il matrimonio del rampollo o della principessina di casa deve sempre essere diverso da quello della figlia della vicina Concetta del quarto piano o del figlio della cugina di Castellammare. Rientrano nel concetto di "esclusività", nell'ordine:

- La carrozza: entrare in carrozza fa la differenza, si va dal calessino da festa paesana alla carrozza dorata stile Elisabetta II.
- Il banchetto per l'aperitivo: ostriche e champagne vanno bene, ma il top rimane sempre 'o pere 'o musso, ovvero il piede del maiale e il muso del vitello. Non sei nessuno senza.
- L'astice. Sempre. Anche se lo chiamano astRice.

- L'intrattenimento: imprescindibile l'accompagnamento musicale. Il mio preferito (e lo dico sul serio) è tal Mario Conte, cantante neomelodico della vecchia guardia che il boss ama molto perché quando canta sembra proprio di sentire "Massimo RanierE", che non credo sia associabile a "Massimo Ranieri", sta di fatto che appena comincia ad intonare "Se bruciasse la città" la sala esplode in una grande fazzolettata senza freni. Le ballerine brasiliane mezze nude sì, le sorelle/figlie/cugine che ballano vestite di domopack nì, le drag queen no.



-  I frutti di mare crudi. #cazzocenefregamuoriamodaeroi


Don Antonio ha sempre pensato a tutto, a concedere la carrozza reale, a fare uno sconto per l'astRice, a far correre alla Sonrisa il povero Mario Conte dopo la defezione di un neomelodico a caso rimasto imbottigliato nel traffico. 
Così, quando il boss è venuto a mancare, l'ultimo viaggio l'ha fatto dentro la sua Sala Reale, attorniato da camerieri, cuochi, amici, e parenti sotto i suoi lampadari d'oro e i suo soffitti stuccati, la bara aperta. Probabile segno della tanto decantata "esclusività".

Il mondo dopo il boss che mondo sarà?
Sarà un mondo con meno amore?
Sarà un mondo senza Mario Conte?

Io questo non lo so. 
In cuor mio spero sempre nei matrimoni, nella grande celebrazione dell'amore, nelle confettate infinite e nell'open bar.

Finché c'è vita c'è speranza. 
Finché ci sarà una bambina napoletana che sogna un vestito da sposa in tulle e corsetto steccato, ci sarà la Sonrisa.

Cente Anne di buon' salut' a tutti.