lunedì 16 dicembre 2013

Come mi frega Peter O'Toole

Una delle dieci domande preferite dell'alzheimer di mio padre è "Ma Peter O'Toole è vivo o è già morto?"
Fino ad oggi brancolavo nel buio, rammentavo sparute apparizioni in qualche serie tv, nessun necrologio con la voce impostata e impomatata di Anna Praderio e soprattutto nessuna replica di "Lawrence d'Arabia". Ciò mi portava fieramente a collocarlo tra i prossimi al decesso in un fantamorto tutto mio che tra gli altri prevede Kirk Douglas, Michael Douglas, Davide Mengacci e Gegia (lo so, punto in alto con l'ultimo nome).

Finalmente, diciamolo, il vecchio è crepato. 
E con lui le angosce cinematografiche di mio padre. Per ora.

Poi, in tutto questo bailamme di morti celebri (da Paul Walker "insegna agli angeli a fare le sgumme e di che colore precisamente è Vin Diesel" passando per Lou Reed e arrivando fino a Mandela, per i giornalisti de Il Giornale "padre dell'Apartheid) decido di dedicare l'ars moriendi di oggi a lui per un motivo preciso. 



Peter O'Toole era uno spaccaballe. 
Uno, per capirci, che per vent'anni ansiolizza e tiranneggia la moglie con la sua ubriachezza molesta. Uno che si vanta di sapere tutti i sonetti di Shakespeare a memoria. Uno che rifiuta il titolo di Sir per convinzioni politiche a noi sconosciute (forse anche allo stesso cervello di O'Toole).
Uno che riceve 8 nomination all'Oscar senza mai vincerlo e poi s'incazza quando glielo danno alla carriera, che voglio dire, è lecito, ma Leonardo di Caprio la prende con molto più savoir faire.
Ecco.
Ma quel Peter O'Toole, cresciuto in un collegio di suore, tra i pub di Leeds e le scommesse, un carattere strafottente e burbero ed un animo da poeta (comunque molto affascinante, un ragazzaccio che veniva menato dalle suore. Come non invaghirsene?), era il mio calendario. Sapevo che ad ogni "Ma Peter O'Toole è vivo o è già morto?" avrei trovato un raccordo d'intima intesa familiare con mio padre, una cadenza affettiva che scandiva gli anni, una certezza che mi dava sempre più autorità, mi consacrava come la "memoria di casa Dodi". Ora so che il mio compito sarà ricordare l'anno della dipartita. Ma non sarà più la stessa cosa, la stessa scena seduti davanti al tavolo e ad un piatto di spaghetti al tonno cercando di arginare le derive assistenzial-cattoliche di mia madre.

Attendo fiduciosa un nuovo dialogo padre/figlia basato sulla prossima, nebulosa dipartita di qualcuno. Magari tra qualche giorno sentirò mio padre chiedermi "Ma Kirk Douglas è vivo o è già morto?". E lì, fiera e col sorriso di chi sa, gli darò la risposta che aspetta.

Sempre che Gegia non gnicchi prima.


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