mercoledì 7 settembre 2016

La cassetta di Bon Jovi

Accendo Spotify.
Scopro cosa mi offre la "Discover Weekly".
Mi metto una felpa. Guardo fuori dalla finestra.
Inizio.
Un altro Ars Moriendi sta per vedere la luce.

Mentre parte "Eyes without a face" di Billy Idol mi rendo conto di essere pronta per darvi una grande lezione. L'ennesima sulla vita adulta. L'ennesima sul passaggio da coglioni ventenni a condannati trentenni. 

A otto anni circa la mia preoccupazione maggiore durante l'estate era non fare amicizia con i bambini in spiaggia. Era così, non che avessi problemi nel socializzare o roba del genere, no, semplicemente volevo farmi i cazzi miei. Il mercoledì c'era Topolino in edicola, ogni giorno alle 16 passava il gelataio, un pover'uomo di 90 milioni di anni con un enorme frigo bianco che ciondolava da una bretella blu saldamente ancorata alla sua spalla artritica che procedeva tutto curvo e pendente per chilometri di spiagge bollenti, i vu' cumprà che vendevano musicassette improbabili, occhiali da sole che avranno bucato negli anni milioni di retine, braccialetti portafortuna di ogni tipo di colore che urlavano ESTATE da ogni loro filo per poi portare una sfiga talmente raggelante che avresti preferito tagliarti i polsi piuttosto che averli pieni di quella merda.
Le mie estati erano tutte così, una la fotocopia dell'altra. E io le amavo moltissimo.
Ma un anno vinsi un premio, il ché rese quell'estate la migliore di tutte.

Era l'estate del 1990, quella per intenderci, di "Notti magiche", della Nannini e Bennato che risuonavano in ogni bagno, in ogni bar, sotto ogni ombrellone. Specialmente sotto quello dei miei vicini di ombrellone.
Avevano solo quella cassetta.
Finiva il lato A, subito s'infilava il lato B.
Sempre la stessa fottutissima "Notti magiche". 

Ormai leggere Topolino era difficile, in ogni vignetta s'insinuava un "inseguendo un goooooal" e Basettoni ormai viveva perennemente "sotto un cielo di un'estate italiana". Un vero incubo "non è una favola ma dagli spogliatoio escono i ragazzi e siamo noi", per capirci.

Così una sera, come vi dicevo, vinco un premio.
Mentre sono in cabina telefonica con in mano pochi spiccioli per urlare a mio padre l'ennesima bugia "SIIIII STO FACENDO LA BRAVA", noto un luccichio. Il luccichio tipico dei premi e dei tesori.
Sopra al telefono qualcuno aveva dimenticato un walkman. UN WALKMAN.
E dentro al walkman una cassetta di Bon Jovi. Capisco la delusione, ma finalmente avevo un'arma contro Bennato e la Nannini. A colpi di "Livin' on a prayer"mi godetti il silenzio, il mio silenzio almeno.
Il mio isolamento estivo accelerava, il walkman era stato il mio upgrade definitivo.

Nessuno mi guardava, nessuno mi degnava di uno sguardo attento, nessun bambino veniva a chiedermi di giocare. Io dal canto mio non sentivo, avevo un paio di cuffie e un italo-americano biondo che mi urlava nelle orecchie.



Nel 1989 uscì "See no Evil, Hear no Evil", un bel film con Richard Pryor e Gene Wilder. Nel 1991 il sequel "Another You". Sarebbe stato l'ultimo film di Wilder. Forse fu l'ultimo film figo in cui recitò Richard Pryor.
Erano quelli gli anni croccanti, gli anni in cui il tuo attore preferito era Gene Wilder che sembrava sempre spelacchiato come tuo nonno, in cui Richard Pryor si sposava sette volte e abusava di cocaina, Totò Schillaci era un idolo nazionale e la vita sembrava lontana dalla morte. Le ultime estati leggere.

Poi leggi che Gene Wilder è morto. E pensi "cazzo, sono vecchio, sono vecchio, SONO VECCHIO"
L'estate è la montagna, le ferie in cui devi sempre avere il cellulare acceso, non puoi dormire in macchina ma fare da navigatrice. Tua madre ti chiama solo per sapere se hai fatto le lavatrici.
Nessun ombrellone, nessun vecchio sciancato che ti porta un Cucciolone tre strati, nessun vicino di ombrellone. Infinite foto di un millenario che avevi lasciato quasi sessantenne nel 1990 scorrono sul tuo smartphone, tutto è un furore di hashtag, hashtag per salutare qualcuno per sempre. Non mi ci abituerò mai. 
#AddioGene. Che cazzo è? Uno muore e tac, la lapide grafica è un cancelletto? #RIP. Agghiacciante.
In quell'estate del 1990 il cancelletto non so nemmeno se esistesse già nei telefoni della Sip.

E' arrivato settembre. L'estate 2016 è già stata archiviata. E con lei quella del 1990.

Ora che Gene se n'è andato non rimane che aspettare che il tristo mietitore colga qualche altro simbolo di quegli anni.
Uan.
Mauro Serio.
Luciano Onder.
Totò Schillaci.

E allora sì che potremo salutare con la manina i nostri ricordi infantili, infilarli in un baule insieme ai corpi dei miei vicini di ombrellone di "Estate '90", metterli in soffitta e continuare a camminare inesorabilmente verso gli 'anta, ovvero "quando porteremo i nostri figli fatti grazie al #fertilityday al mare dai nonni e noi dovremmo sorbirci le loro chiamate che alla fine ci spunterà pure la lacrimuccia mordendoci le labbra pensando che sono lontani, ma sono nella loro estate migliore".

#AddioGene
#ilcancellettoveroèquelloSip







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