martedì 17 gennaio 2017

I neomelodici, il gender e il matrimonio

Il matrimonio più bello a cui ho assistito è stato poco tempo fa, io ero testimone.
Cosa stana la vita.

Ripenso all'aria frizzante di metà settembre, alla compagnia, alla semplicità. Penso soprattutto all'amore che si respirava: quello meraviglioso, puro e scanzonato tra gli sposi e quello altrettanto meraviglioso, ma più fisico, tra me e i confetti al cocco.
Uno di quei matrimoni che ti fa venire voglia di sposarti cento volte al giorno, ti fa sospirare e pensare "chissà quando toccherà a me?", soprattutto "quando potrò scegliere le varietà di confetti?".

Uno specialista dei matrimoni era Don Antonio Polese, il "boss delle cerimonie", paladino del gender a sua insaputa per frasi come "sei propr' bell'" o "sei verament' grazioss'" riferito ad una sposa. Assoluto ambasciatore del neutro, dell'indefinito e del fluido: bell' o bellE, ricc' o ricche, sempre usati con persone sbagliate, generi diversi, un continuo mescolare di generi e sposi.




Quando se n'è andato, così, all'improvvis', tutt' noi ci siam' sentit' un po' pers' (gender parlando).
Don Antonio e il genero Matteo organizzavano i matrimoni napoletani, e campani in generale, più kitsch della storia. Un vero e proprio concentrato di tradizione partenopea mista a tatuaggi brutti di Padre Pio, corpetti e stecche su abiti per spose seducenti con corpi esuberanti, sposi di bianco vestiti con cilindri e bastoni gemmati e soprattutto cantanti neomelodici a perdita d'occhio.

Don Antonio era un uomo diversamente elegante, uno di quelli che portava camicie verdi di seta e occhiali anni '90 dalla montatura d'oro, correndo deliberatamente il rischio di sembrare il cugino ricco di Umberto Bossi. Il boss amava il barocco (da lui chiamato barocc', giustamente), gli stucchi dorati e valanghe di intonacature bianche su cui campeggiano improbabili scene bucoliche, putti e cieli dalle tinte violente stile capodanno "puttane e allucinogeni ad Amsterdam". 
Fuori dalla Sonrisa, lo sfarzoso abuso edilizio sogno di ogni bambina napoletana che s'immagina sposa, palme, bandiere di stati buttate a casaccio, pagode dai colori cangianti e fastidiosi, di nuovo palme, un enorme cancello in ferro battuto, una fontana con delfini saltanti e statue, tante statue, di tutti i tipi, dalla finta Venere di Milo all'arcangelo Michele truccato come Massimo Ranieri a teatro.

Chiunque varcasse quel cancello era, e tuttora è, in cerca di qualcosa di "esclusivo". Non conto le volte in cui dalla bocca rifatta di qualche mamma sia uscita la parola "esclusività", il matrimonio del rampollo o della principessina di casa deve sempre essere diverso da quello della figlia della vicina Concetta del quarto piano o del figlio della cugina di Castellammare. Rientrano nel concetto di "esclusività", nell'ordine:

- La carrozza: entrare in carrozza fa la differenza, si va dal calessino da festa paesana alla carrozza dorata stile Elisabetta II.
- Il banchetto per l'aperitivo: ostriche e champagne vanno bene, ma il top rimane sempre 'o pere 'o musso, ovvero il piede del maiale e il muso del vitello. Non sei nessuno senza.
- L'astice. Sempre. Anche se lo chiamano astRice.

- L'intrattenimento: imprescindibile l'accompagnamento musicale. Il mio preferito (e lo dico sul serio) è tal Mario Conte, cantante neomelodico della vecchia guardia che il boss ama molto perché quando canta sembra proprio di sentire "Massimo RanierE", che non credo sia associabile a "Massimo Ranieri", sta di fatto che appena comincia ad intonare "Se bruciasse la città" la sala esplode in una grande fazzolettata senza freni. Le ballerine brasiliane mezze nude sì, le sorelle/figlie/cugine che ballano vestite di domopack nì, le drag queen no.



-  I frutti di mare crudi. #cazzocenefregamuoriamodaeroi


Don Antonio ha sempre pensato a tutto, a concedere la carrozza reale, a fare uno sconto per l'astRice, a far correre alla Sonrisa il povero Mario Conte dopo la defezione di un neomelodico a caso rimasto imbottigliato nel traffico. 
Così, quando il boss è venuto a mancare, l'ultimo viaggio l'ha fatto dentro la sua Sala Reale, attorniato da camerieri, cuochi, amici, e parenti sotto i suoi lampadari d'oro e i suo soffitti stuccati, la bara aperta. Probabile segno della tanto decantata "esclusività".

Il mondo dopo il boss che mondo sarà?
Sarà un mondo con meno amore?
Sarà un mondo senza Mario Conte?

Io questo non lo so. 
In cuor mio spero sempre nei matrimoni, nella grande celebrazione dell'amore, nelle confettate infinite e nell'open bar.

Finché c'è vita c'è speranza. 
Finché ci sarà una bambina napoletana che sogna un vestito da sposa in tulle e corsetto steccato, ci sarà la Sonrisa.

Cente Anne di buon' salut' a tutti.






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