martedì 5 marzo 2019

Di tutti, proprio Dylan.

Tutto quello che vorrei scrivere è un laconico quanto arrogante "voi non potete capire".
In un certo senso è proprio così, voi non sapete che ruolo ha avuto Luke Perry nella mia disastratissima vita bucata.

Iniziamo dalla fine: 04 marzo 2019.
Oltre alla leggera nausea che mi accompagna quotidianamente quando mi reco al lavoro, oggi sento anche odore di guai. Sono troppo ottimista, i miei capelli troppo lunghi e morbidi, il sole già alto e spavaldo alle 06:50, qui c'è qualche casino all'orizzonte.
Tutto fila liscio fin quando non becco la mia collega nei corridoi del centro medico.
Mi guarda.
La guardo.
Sorridiamo.
Lei dice: "sai che è morto..."
A me si blocca il cuore
Lei riparte: "... il cantante dei Prodigy?"
Vaffanculo Daniela, vaffanculo. Dire queste cose mentre c'è Luke Perry vicino al baratro... Non si fa.
Somatizzo per un attimo, metabolizzo la notizia, con la mente fumo mille sigarette come facevo mentre nei peggiori posti che io abbia mai frequentato partiva "Breathe" o "Firestarter".
Tutto va bene. 

Capodanno 2000equalcosa, tombolata di fine anno.
Tutti pronti per la tombolata con premi orrendi. Io vinco a ripetizione lo stesso libro di Bill Gates su Bill Gates, vorrei barattare la mia vita in cambio di qualsiasi cosa piuttosto che avere quel maledetto volume tra i miei premi. All'improvviso un'anima pia e meravigliosa mi dona una T-shirt che illumina la mia vita e l'anno che sta per nascere: la maglietta ha sopra la faccia di Luke Perry, viene diretta dal fan club di Los Angeles e dall'anno 1992. Piango. Non me ne separerò mai. Sopravviverà a due traslochi, alle tarme e alle unghie del gatto. Sopravviverà anche a Luke stesso, ma io non potrò saperlo.


Data indefinita, forse 2001, io di ritorno dall'università.
Sono stanca e affamata, sono abbastanza traumatizzata dal fatto che io abbia iniziato un corso sulla conservazione dei beni culturali in quel di Ravenna, che in quanto a vitalità non batte per poco Silent Hill. Sto per raggiungere la cucina, con la punta del piede sinistro mi sono levata la scarpa destra, ho buttato da qualche parte il cappotto e ancor prima di aprire la porta della cucina accendo la tv. Mi appare Luke in una puntata di Beverly Hills 90210, non una di quelle vecchie, no, qui Dylan è all'università: viviamo insieme la sventura di essere matricole, in più lui deve pure sopportare Steve, il che mi sembra eroico in confronto all'ora di treno che mi devo sciroppare ogni mattina. Ed è arrapante come al solito. Dylan non Steve, OVVIAMENTE.
Ecco, non so se fosse la visione celestiale, la fame o la mestizia del pensiero di dover tornare a Ravenna per i prossimi millemila anni, fatto sta che crollo per terra all'istante come una pera cotta, svenuta. In 36 anni di vita ho sempre attribuito questo mio unico svenimento a Luke, a nient'altro. E voglio che rimanga così. Forse fu quello svenimento a farmi capire che Ravenna non faceva per me.

Una mattina qualsiasi, 1993, scuola.
Mi manca solo la testa di quel maledetto secchione con la voce nasale di Brandon e il culone di Andrea Zuckerman per finire l'album di figurine di "Beverly Hills 90210". Di Dylan le ho tutte, mi sono tenuta anche le doppie. Quelle non le darò MAI via, magari alla prima Brandon Lover che capita. Le conservo, le mie teste di Dylan, le guardo. Non mi lasciano nemmeno durante l'adolescenza. Dylan è il primo vero uomo che vedo, che mi piace, di cui mi innamoro. Non è di cartone come André di Lady Oscar, no Dylan è vero e il suo personaggio ha solo poche cadute di stile: farsi Kelly e smettere di bere. Non ho mai trovato il mio Dylan, ma l'ho sempre cercato. In compenso ho collezionato una serie notevole di Brandon e qualche Steve.

Una sera qualsiasi, 1993, casa mia.
Mia sorella si sta preparando per uscire, io sono sul lettone dei miei, sfoglio distratta una copia di "Glamour" ovviamente non mia. Che giornale di merda, solo vestiti, donne, nemmeno una foto di Dylan. Che voglio dire, Dylan è di sicuro il più figo di tutto il 1992 e del 1993, dovrebbe stare su tutti i giornali. Ma su quel cazzo di "Glamour" no. Mentre mia sorella se ne va io sono sovraeccitata: quella sera io e mio padre registriamo una puntata di "Beverly Hills 90210". Non che a lui freghi qualcosa, lui vuole solo capire come usare quell'aggeggio maledetto, io invece voglio fare quello che le ragazzine di 10 anni fanno più spesso: guardare mille volte le cose che amano fino a conoscerle a memoria. E quella è la puntata in cui Kelly e Brenda hanno lo stesso, splendido, vestito. La prima volta di Brenda e Dylan. Quella è LA puntata. E la ricordo a memoria.

Vita di merda, ci stai provando, te ne do atto.
Stai provando a togliermi la mia gioventù e il mio futuro frustandomi nel presente.
Hai portato via Luke, il mio tormentato Dylan, quello che non riusciva ad essere ridicolo recitando la parte di un ragazzo cool, il mio ornitologo gay in "Will e Grace", il mio Fred Andrews in "Riverdale"che mi ha fatto tanta compagnia durante la mia convalescenza post protesi. "Riverdale"... dove ti sparano proprio nell'ultima puntata della prima serie e io a momenti piango come una fontana.
Non ci sei riuscita, vita di merda, e adesso mi hai colpito dove fa più male, nei miei ricordi, nel primo amore ancor prima che sapessi quanto facesse schifo l'amore. Hai colpito nella devozione, nell'affetto esclusivo e impalpabile per qualcuno che non si conosce ma che si ama, hai colpito nel sogno e nell'ideale.

Ma non te la darò vinta nemmeno stavolta. Anche se fa più male.
La lezione di oggi è: ama quello che eri, ama quello che amavi e che non ti ha mai deluso o fatto male. Almeno per un giorno, quando sei triste. Non abbandonare i tuoi sogni, di carne e ossa o di puro spirito.
E ora scusate, ma glielo devo.

"Fermate tutti gli orologi, isolate il telefono,
fate tacere il cane con un osso succulento,
chiudete i pianoforti e fra un rullio smorzato
portate fuori il feretro, si accostino i dolenti.
Incrocino gli aereoplani lassù
e scrivano sul cielo il messaggio lui è morto,
allacciate nastri di crespo al collo bianco dei piccioni,
i vigili si mettano i guanti di tela nera.
Lui era il mio Nord, il mio Sud, il mio Est ed il mio Ovest,
la mia settimana di lavoro e il mio riposo la domenica,
il mio mezzodì, la mezzanotte, la mia lingua, il mio canto;
pensavo che l’amore fosse eterno: avevo torto.
Non servono più le stelle: spegnetele anche tutte;
imballate la luna, smontate pure il sole;
svuotatemi l’oceano e sradicate il bosco;
perché ormai nulla può giovare."

Addio Luke.

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