lunedì 14 aprile 2014

Tako Tsubo - Curarsi dalla morte.

Peaches Geldof.
Mickey Rooney.
Ultimate Warrior.

Per dirne tre.
Potrei raccontarvi la loro morte, di due di loro anche la vita. Potrei farvi notare che lo stilista di Ultimate Warrior probabilmente fosse lo stesso di Peaches Geldof. Potrei persino citarvi quel pezzo de "I Simpson" in cui c'è Rooney che scippa la parte di ragazzo ionico a Milhouse.

Potrei.
Ma potrei anche intasarvi il cuore di lacrime. 
Potrei annunciarvi la morte di un amico comune.
Potrei annunciarvi la fine di questo blog.

Lo so che in quanto a minacce d'abbandono sono ormai una diva consumata, una sorta di Callas in carne e tenia, ma potrei essere arrivata a vedere quella luce in fondo al tunnel che da tanto tempo aspettavo di scorgere. Questo caro amico mortifero ha risentito di tutti i miei umori, ha vissuto insieme a me le fasi dell'abbandono, della rinascita, del fallimento e quelle più leggere dell'innamoramento, della noia, della conoscenza. Ora sento arrivato il tempo di andare avanti, verso la luce, e di lasciare libero questo piccolo spazio che ormai richiede le attenzioni di una creatura in fasce.
Una creatura a cui io non posso nemmeno pulire il sederino. E lo dico proprio perché accarezzandolo, scrutandolo e spulciandolo come si fa con i bimbi in età scolare per controllare non ci siano pidocchi, mi sono accorta dopo mesi di aver ricevuto commenti brutalmente negativi sul mio post riguardante Herbalife. 
E non è per quei commenti sprezzanti, attenzione,  ma perché non ci ho mai fatto caso (tra parentesi, adepti dell' Herbalife che difendono il loro guru morto da anni non mi fanno né paura né incazzo; mi fanno pena, poveri cucciolotti smarriti nel sistema piramidale). Sono una mamma assente e abbandono la mia creatura, la uccido se volete, ma lo trovo brutale.
E piagnucolo, lo ammetto, mentre scrivo ascoltando "Hurt" cantata da Johnny Cash. Ve lo ricordate il post su Johnny e June? Io sì. E non solo perché l'ho scritto e ancora non soffro di alzheimer, ma perché in quel momento il mio amico blog mi aiutava a tenere alta la testa e a non vergognarmi del fatto di amare un cretino.
Mi ricordo del sentimental post su Adolf ed Eva, sulla follia familiare di Van Gogh e quello sulla morte di Jenny, l'amata di Forrest Gump. Mi commuovo a ripensare all'impegno e al significato che hanno avuto per me e per voi. E mi commuovo pensando di non aver mai dedicato un post a Mike Bongiorno: sulla storia della bara scomparsa avrei potuto farvi sbellicare per settimane. Ma sono fiera dei piccoli momenti di quotidiana morte che vi regalato. Sul fatto che fossero divertenti ed esecrabili son d'accordo, ma non era per nulla facile partorirli.

Tutti post curavano e allo stesso tempo acuivano il dolore al mio cuore rattoppato.
Come chi beve per non prendersi sul serio.
Come chi fa shopping compulsivo comprando cagnolini di ceramica per poi piangere sul pavimento in posizione fetale.
Come chi ha creato Google +.
Sollievo e dolore, appagamento e consapevolezza dell'errore.

Ecco, io voglio sollievo. Voglio la Vita. Sottile, possibilmente.
Voglio guarire il mio cuore infranto, voglio parlarvi di anziani con evidenti problemi di udito che urlano nei bus, di donne pakistane in costante collegamento telefonico con Islamabad che puliscono corridoi ridendo e cianciando o di tutte le puntate di "Law and Order" dove il furfante di turno riesce a farla franca rifugiandosi a Beirut o facendo lavori per la comunità.
Voglio scrivervi, ma voglio scrivervi lettere di gioia. Per quanto a "gioia" io sia tuttora messa male.
Ma forse più ti concentri sulla disgrazia, sulla fine di qualcuno o qualcosa, allora potrai più difficilmente riavere un inizio, o semplicemente essere capace di dare vita a qualcosa.

Voglio di nuovo provare la sensazione di leggerezza ed euforia che avevo quando aprì questo blog. Trovare il sorriso e scavare di nuovo in tutto quel mio mondo fatto di sarcasmo, novità, e stupore. Frugare nei meandri della mia vita scoprendo nuovi angoli nascosti dove brandelli di esperienza si erano accumulati solitari. 
Qui ormai tutto si riduce a Peaches Geldof e me. Alla sua morte e alla mia Sindrome da Cuore Infranto.
O si muore o si prendono dei beta bloccanti.

Ricorderò questo mio amico elettronico, ricorderò le lacrime e le risate, l'attesa trepidante di consenso, le critiche sedate con affabile diplomazia, l'amore riversato tra le righe. Ricorderò anche le pagine non scritte, quelle piene di aspettative. E soprattutto ricorderò i bestemmioni per il via vai della connessione. Bestemmioni che mi stanno accompagnando anche ora, Madonne che volano manco fossimo a Gatwick.

E per l'ultima, struggente, volta vi lascio il mio insegnamento: fate quello che volete.
Fatelo con umiltà, con attenzione, ma fatelo. Non abbiate rimpianti, non pulitevi i piedi sul cuore di qualcuno, non piantate le vostre mani nello stomaco di chi amate, abbiate cura della vostra mente e del vostro corpo (sì i ciccioni sono simpatici e rubicondi, ma tra John McEnroe e John Candy è meglio tentare di essere come il primo sedato da qualche pillola di Xanax) cercate di essere sinceri verso voi stessi ma non all'esasperazione. Siate chiari. Fate sesso. Ricordate sempre il passato.

A te, fratello telematico, va il mio sempiterno ringraziamento. E anche a tutti voi, delusi neofiti, vecchi appassionati, stanchi detrattori, lo spettacolo è finito, si spengono le luci.
La vita va avanti.
La morte anche.


giovedì 6 febbraio 2014

Quello che non ho visto di Philip Seymour Hoffman

Attenzione, lo dico in anticipo: se siete estimatori rigorosi di Philip Seymour Hoffman o cineasti frustrati dalla vita, tristi e acidi come l'urina di in eroinomane, beh allora andate a leggere il blog dei gatti che si fanno le selfie. Qui oggi non celebro la sua immensa carriera, ma lo incastono nei miei ricordi, lo rendo immortale, ci gioco.
Che questo fosse un blog autoreverenziale l'avevate già capito.



Comunque cinefili non ne abbiate a male, anzi, siate allegri perchè in questo post citerò le sue 3 migliori interpretazioni.
Che purtroppo mi son persa.
Ma state buoni che ci son dei buoni motivi e dei cenni di ravvedimento da parte della sottoscritta.

Leggenda narra di tempi sconosciuti in cui con una tessera Blockbuster si poteva noleggiare qualsiasi porcata avessero messo su DVD. Eccetto i porno.
Potevi comprare qualsiasi genere alimentare al limite della legalità, ma niente porno. Al massimo soft core.
Io noleggiai "Truman Capote - A sangue freddo" e proposi alla mia migliore amica, La Fra, di guardarcelo insieme per non fare sempre la solita figura di quelle che poi non guardano le produzioni holliwoodiane da Oscar. Dopo nemmeno 32 minuti La Fra ribattezzò il capolavoro di Miller  "Dobbiamo per forza vederci 'sta minchiata?".
Per carità, pensai, irritare l'unica amica che mi ritrovo in questo buio 2006 non mi sembra una gran furbata. 32 minuti di Philip Seymour Hoffman. Lui che interpreta Truman Capote, io che spiego alLa contrariata Fra che si tratta di un personaggio molto complesso, lo scrittore famoso per "Colazione da Tiffany", quello che recitò in "Invito a cena con delitto" (quello sì che era un film, convenimmo), della storia sanguinosa della povera famiglia Clutter massacrati da individui freddi e ignobili su cui Truman Capote avrebbe scritto il suo capolavoro "A sangue freddo", per l'appunto, che allo stesso tempo lo avrebbe prosciugato e portato alla deriva.
Niente. Solo uno sguardo del tipo "Mi stai coglionando ?".
Stoppammo il dvd.
Niente Seymour Hoffman. Lui avrebbe vinto l'Oscar per quel maledetto film, io vinsi la grande, solida, infinita, amicizia delLa Fra (che mi garantì anni di visioni di film peggiori, alcuni per intero come "Baciami ancora"e "Sex and the city". Che dire, si peggiora invecchiando.).
Dopo 8 anni noi siamo ancora qui, lui no. Tiè. 1 a 0 per me.

Ma il buon Philip è sopravvissuto più della storia con il mio ex.
L'inizio della fine fu sancito da un film di Hoffman, uno dei più belli, credo, "I Love Radio Rock".
Mi echeggiano ancora nelle orecchie le parole di richiesta di Lui, l'Ex, che mi chiede, in un misto di speranza, rassegnazione e amore, di guardarlo insieme. Ma io no, niente, trincerata dietro a milioni di "no, magari non mi piace", "non oggi, forse domani sera". Scuse. Paura. Rifiuto.
Domani sera che non venne mai, dvd che prese il largo in uno degli scatoloni pieno di ricordi di 8 anni passati insieme. Era un film sul rock, sull'Inghilterra, uno di quei film di cui mi sarei sicuramente innamorata ma che ora sicuramente e ancora più caparbiamente mi rifiuterò di vedere, perchè certi cassetti si devono chiudere a chiave e non tentare di aprire mai più.
Mi si stringe il cuore a pensarlo, mi sanguinano gli occhi a scriverlo.
 E quindi sì, stavolta hai vinto tu, Phil, 1 a 1 pari.

E poi c'è quel film che mi vergogno a confessare di non aver mai visto. Ma che in fatto di cinema io abbia gusti da coprofagi l'avevate capito a "Baciami ancora". Beh, sì, non ho mai e ripeto MAI visto "Il grande Lebowski".
Se la vostra faccia in questo istante è simile alla mia quando inspiegabilmente davanti in me in posta non trovo nessuno, nemmeno l'ombra di un anziano annoiato, allora sappiate che è la stessa che ha fatto il mio attuale ragazzo davanti a questa confessione.
Lui, l'Attuale, chiamiamolo così, è inorridito davanti a questa drammatica verità.
Cominciata così,  elencando una serie di film che, a detta sua, "dai Fede sei una sfigata se non li hai mai visti":
L'Attuale: "2001: odissea nello spazio"
Io: "No"
L'Attuale: "Ok.... "Arancia Meccanica"
Io: "No"
L'Attuale (visibilmente in imbarazzo per la mia palese ignoranza): "Pulp Fiction"
Io: "Ehhhh... quasi... cioè ho provato a guardarlo, ma a pezzi ....no? cioè non tutto ... ma comunque, dai, un po'... "
L'Attuale: "Vabbè, "Il grande Lebowski"
Io:".... no"
Ok, faccio ammenda. Lo schifo di queste dolorose ammissioni turba anche me. Sta di fatto che partirà una massiccia rieducazione cinematografica e penso che, dato il momento celebrativo, "Il grande Lebowski" sia il prossimo candidato. Quindi, caro buon vecchio ciccione biondo, la finiamo pari. Io vedrò un tuo film. Tu creerai un nuovo, bellissimo ricordo.

Lezione di oggi: andate più spesso al cinema. Con gli amici, con le vostre fidanzate o i vostri toy boy di oggi che un domani, forse, saranno ex. E poi, magari, andateci pure da soli. Ma non in quelli zozzi. Ma se ci andate, state attenti.

lunedì 30 dicembre 2013

Bisogna credere nei segni, non nei sogni. Morte del 2013.

Un bel post catartico.
Uno di quelli che parla di fiducia, amore, speranza e magari di fortuna.
Ecco. Leggete un altro blog.

Qui si celebra il funerale di un altro anno da dimenticare che però, a differenza del 2012, è passato rapido e veloce come Schumacher sugli sci.

Ricorderò questo 2013 per la selva di voci e di grida, di contestazioni e discussioni feroci su quasi qualsiasi questione, dai test sugli animali al matrimonio di Belen fino ad arrivare ai milioni di commenti sulla tragica morte di Romboni. 
Sì Romboni. 
Dai, valà, Romboni. 
No, non l'inquilino del terzo piano, Calogero Romboni, quello con due nipotine, no nemmeno Marcone Romboni il salumaio di Via Nazionale. 
Dai, tutti sanno chi è Romboni  a giudicare dal fatto che tutti avessero un commento tecnico-tattico sulla dinamica della sua tragica dipartita. Io no, mi spiace. E nemmeno mi ricordo i film di Paul Walker, ma pare che la tragedia vi abbia consumato di lacrime.
E a parte tutto sto casino, il 2013, come dicevo, è scappato via in fretta, come un ladro che ci sfila il portafoglio in Via Indipendenza portandoci via ben più di qualche banconota 10 euro e una tessera dell' Esselunga. Maledetto 2013, mi hai tolto un altro anno di vita rimpiazzandomelo con un anno d'insuccessi, frustrazioni e Matteo Renzi, mi hai estirpato tutte le lacrime che avevo, quasi ogni giorno di ogni tuo inutile mese io ho pianto. Ti sei preso via i miei sogni, anche quello dove raggiante e magra in un abito a pois di Stella McCartney ballavo felice insieme a Daniel Craig mentre annunciavamo il nostro matrimonio ai nostri migliori amici - George Clooney, Christoph Waltz, Katy Perry e Jello Biafra. 
Un bel sogno in mezzo a tanta frustrazione, non solo mia, ma di quasi tutti i volti che ho visto di recente. Un'insoddisfazione che ci ha lasciato atterriti e desiderosi di una svolta.
E nel 2014, la svolta, ci sarà.
E non solo perchè lo dice Paolo Fox in completo nero e giacca rossa (e qui, signori, c'è della serietà: quando Paolo Fox mette nell'armadio il frac bianco, allora è guerra dichiarata a Saturno o qualsiasi altro pianeta che di solito porta scompiglio nei cicli mestruali femminili), ma perchè se i sogni son morti allora rinascono i segni, non solo quelli zodiacali. Almeno, come al solito, non il mio.



I segni sono importanti.
Per esempio, non ho mai sbattuto così tanto spesso nelle cose come in questi ultimi giorni. Non solo perchè il mio volume corporeo aumenta sempre di più causa cenoni e pranzoni natalizi, ma anche perchè non sono attenta. Ho la testa altrove. Sento il cambiamento. 
Oppure il fatto che la mia nuova cotta Jean Dujardin abbia appena divorziato e io lo sia venuta a sapere oggi.

Anche se il segno che questa volta non c'è solo la morte all'orizzonte me lo da l'incrollabile fiducia nel fallimento collettivo. Posso continuare a fallire, ma questa volta so di non essere sola, ho sentito e visto abbastanza per capire che non avrò l'amore fiabesco e idilliaco di Jean Dujardin ma almeno posso contare sull'affetto di un uomo buono per cui ho combattuto come Signorini contro la neve a Cortina d'Ampezzo, fallirò nella ricerca di un nuovo mestiere, ma almeno saprò cosa volere e che condizioni dettare, perchè a volte l'orgoglio costringe a ripensamenti e negoziazioni. Se avessimo orgoglio collettivo e rispetto per noi stessi allora forse non lavoreremmo come schiavi guadagnando meno dei nostri nonni e rimanendo senza possibiltà di figliare al contrario dei nostri stoici genitori. Continuerò a sbagliare tono, battaglia, attività fisica, abbinamento dei colori, ma almeno so che non sarò la sola a fregarmene e a guardare oltre. 

Uno sguardo oltre. Più vicino all'aldilà forse, ma con gli occhi aperti, lucidi e furbi.
Muori 2013.
E porta con te chi vuoi.

lunedì 16 dicembre 2013

Come mi frega Peter O'Toole

Una delle dieci domande preferite dell'alzheimer di mio padre è "Ma Peter O'Toole è vivo o è già morto?"
Fino ad oggi brancolavo nel buio, rammentavo sparute apparizioni in qualche serie tv, nessun necrologio con la voce impostata e impomatata di Anna Praderio e soprattutto nessuna replica di "Lawrence d'Arabia". Ciò mi portava fieramente a collocarlo tra i prossimi al decesso in un fantamorto tutto mio che tra gli altri prevede Kirk Douglas, Michael Douglas, Davide Mengacci e Gegia (lo so, punto in alto con l'ultimo nome).

Finalmente, diciamolo, il vecchio è crepato. 
E con lui le angosce cinematografiche di mio padre. Per ora.

Poi, in tutto questo bailamme di morti celebri (da Paul Walker "insegna agli angeli a fare le sgumme e di che colore precisamente è Vin Diesel" passando per Lou Reed e arrivando fino a Mandela, per i giornalisti de Il Giornale "padre dell'Apartheid) decido di dedicare l'ars moriendi di oggi a lui per un motivo preciso. 



Peter O'Toole era uno spaccaballe. 
Uno, per capirci, che per vent'anni ansiolizza e tiranneggia la moglie con la sua ubriachezza molesta. Uno che si vanta di sapere tutti i sonetti di Shakespeare a memoria. Uno che rifiuta il titolo di Sir per convinzioni politiche a noi sconosciute (forse anche allo stesso cervello di O'Toole).
Uno che riceve 8 nomination all'Oscar senza mai vincerlo e poi s'incazza quando glielo danno alla carriera, che voglio dire, è lecito, ma Leonardo di Caprio la prende con molto più savoir faire.
Ecco.
Ma quel Peter O'Toole, cresciuto in un collegio di suore, tra i pub di Leeds e le scommesse, un carattere strafottente e burbero ed un animo da poeta (comunque molto affascinante, un ragazzaccio che veniva menato dalle suore. Come non invaghirsene?), era il mio calendario. Sapevo che ad ogni "Ma Peter O'Toole è vivo o è già morto?" avrei trovato un raccordo d'intima intesa familiare con mio padre, una cadenza affettiva che scandiva gli anni, una certezza che mi dava sempre più autorità, mi consacrava come la "memoria di casa Dodi". Ora so che il mio compito sarà ricordare l'anno della dipartita. Ma non sarà più la stessa cosa, la stessa scena seduti davanti al tavolo e ad un piatto di spaghetti al tonno cercando di arginare le derive assistenzial-cattoliche di mia madre.

Attendo fiduciosa un nuovo dialogo padre/figlia basato sulla prossima, nebulosa dipartita di qualcuno. Magari tra qualche giorno sentirò mio padre chiedermi "Ma Kirk Douglas è vivo o è già morto?". E lì, fiera e col sorriso di chi sa, gli darò la risposta che aspetta.

Sempre che Gegia non gnicchi prima.


lunedì 11 novembre 2013

Il disturbatore e il suo contrario.

Mi sembra ieri quando, non so sul serio spiegare come, finii sul sito internet di Gabriele Paolini. In realtà abitavo in un'altra casa, con un pessimo computer e una connessione che risaliva all'incoronazione di Carlo Magno, anno più anno meno.
Il sito grondava pupù.
Letteralmente.
Elogio delle deiezioni umane. Wla pipì, w la pupù.
E non scherzo, giuro. Avrei voluto il blocco per i minorenni.
Se andate ora su http://www.gabrielepaolini.com/html/index.htm troverete toni più miti, ma anche una dura e severa reprimenda verso i comportamenti sessuali di Silvio Berlusconi.
Quindi quando oggi mi è giunta all'orecchio la notizia dell'ingabbio di Paolini, subito il pensiero è volato al caro, vecchio, amico Frajese.



Lontano negli orizzonti del passato, si palesa di fronte a me quel momento speciale, respiro quell'aria frizzante e giocosa. Siamo in Francia, siamo nel 1998 e ci sono i mondiali di calcio. In radio Ricky Martin imperversava con "La Copa De La Vida", da cui ricaverà altri 754 pezzi simili, in tv c'è il nuovo, immancabile, spot della Nike con il solito mucchio di calciatori che si sollazzano tirando calci ad un pallone qua e là nel globo e tutto, serpeggiando nella calura e nell'afa tipicamente italiana, urla e gronda CALCIO. I mondiali sono lì, nell'odiatissima Francia, che per l'occasione brulica di italiani assetati di vino, gnocca e pallone. Tra di loro, Gabriele Paolini, "il disturbatore", sbarcato oltralpe per non chiare ragioni. 

L'occasione si sa, fa l'uomo ladro. E Paolini vede un nugolo di persone attorno ad una telecamera, si avvicina, pensa di fare il suo solito, impunito, show. Sbircia, si appoggia ad uno quegli "irriducibili tifosi", scivola e lo travolge. Il tifoso si rialza e prende inavvertitamente contro al conduttore del servizio, spinto sempre dall'incontenibile ego sovversivo del Paolini.

Ecco che scatta, improvvisa e rapida, la risposta del serio e compito giornalista. 
Una scarica di calcioni nel culo scagliati senza ritegno, ma con classe: per tutta l'aggressione l'inviato del TG1 tiene la mano sull'auricolare non tradendo l'aplomb da gentiluomo di altri tempi dato anche dalla sua cravatta regimental.
E alla fine riprende la diretta con un deciso "Chiedo scusa". A terra, fuori dall'inquadratura, un Paolini neutralizzato come mai, purtroppo, si rivedrà.



Caro buon Frajese, ora tu forse saresti il primo a dare la notizia dell'arresto di Paolini, ma purtroppo non sei più tra noi. La tua calma annoiata, il tuo giornalismo non urlato, i tuoi commenti pacati mentre ci raccontavi il palio di Siena ci mancano molto( Il palio è una metafora, è lo specchio della vita e della morte). Ci piace, ora che finalmente il disturbatore ci risparmierà per un po', ricordare che una volta, fuori da denunce e ridicolo giornalismo sensazionalistico, un paio di sberloni ben assestati male non facevano.


La lezione del giorno è che a volte un paio di calci nel deretano riassestano equilibri che nessun armistizio, tavola rotonda, salotto della D'urso, buona parola di Signorini o tregua possano mai rimettere al loro posto.
Agite di conseguenza. Ma indossate sempre ottime cravatte.

P.S. : oh, visto che Paolini di recente si è buttato nel porno, spero in un film che veda protagonisti lui e la prima moglie del buon Frajese: Marina Hedman Bellis alias Marina Lotar, una delle prime pornostar del cinema italiano. Quanto je roderebbe al buon Paolo!


mercoledì 16 ottobre 2013

La ruota gira per tutti. E a volte esce il Cento.

Ve la ricordate Iva Zanicchi a "Ok il prezzo è giusto"?
In particolare, vi ricordate il fatidico momento in cui i concorrenti si accingevano, madidi di sudore e speranza, a girare la gigantesca ruota colorata piena di numeri mentre il pubblico urlava "CENTO,CENTO,CENTO,CENTO" ?
Ecco, alcuni di loro vedevano sgretolarsi le loro illusioni quando la ruota si ferma sul 20, altri, giulivi bastardi, godono con un 85. E poi ci sono gli eletti, quelli del 100. 



Ma non sempre fare 100 è un gran colpo. 
Magari per Erich Priebke fare 100, e qui parlo dei suoi anni,  è stato il coronamento di una vita che lui considerava immacolata e giusta. Più o meno come se io considerassi la mia alimentazione salutare e variegata.
Per un uomo i cui numeri sono stati fondamentali nella vita (ricorderei per primi quei 5 rastrellati in più nell'eccidio delle Fosse Ardeatine) almeno quanti gli anni, arrivare alla geriatria più estrema, dev'essere stato un puro godimento.
Ma adesso che se n'è andato e vorrei sentire il silenzio della decenza, assaporare la giusta ed indignata indifferenza che si deve ai vili ecco che sono infastidita dal solito trambusto all'italiana. Un enorme carrozzone guidato da lefebvriani ringalluzziti, trainato da neofascisti ubriachi e animato dalle nostre sacre istituzioni deliranti che non sanno dove nascondere il corpo di un nazista centenario. Roba che Riina te lo murava in un pilone di cemento in meno di due minuti, ma se così fosse stato allora ecco che avremmo assistito all'eco di polemiche sterili sulla fattura del cemento, la posizione poco strategica del pilone (va bene il pilone, ma non a Roma, ma il pilone Henningdorf non lo vuole, si può bruciare il pilone?) le manifestazioni neofasciste attorno al pilone, e così via. 

L'unica vicenda della vita di Priebke, ed in generale della società italiana, che non mi convince è la sua partecipazione come giudice della giuria del concorso di bellezza "Star of the Year" nel 2008. Fu il presidente della giuria, ma solo in via telematica (pazzesco), della finale del prestigioso concorso tenutosi a Gallinaro, Frosinone. Manco a dirlo, l'edizione del 2008 non ha filmati disponibili su YouTube. 
Pare che il giudice Priebke non abbia potuto sollevare la paletta per dare un voto alle ragazze, un 5 di disapprovazione o un gustoso 9, ma almeno ha mandato un videomessaggio in cui bacia e abbraccia tutte le giovani donne del concorso.
La degna conclusione dell'evento fu una pioggia torrenziale stile scena iniziale di "C'era un cinese in coma".



Lasciamo che Priebke marcisca velocemente. Lasciamocelo alle spalle. D'altronde gli abbiamo concesso 100 anni per parlare, non esprimersi a favore o contro qualcosa, essere accigliato e scontroso, andare a lavoricchiare dal suo giudice. 
Non ricordiamo lui, ricordiamo quei 335 che non sono potuti arrivare a spegnere la centesima candelina. Quelli che, per intenderci, non hanno girato la ruota.

La lezione di oggi è: la vita, come dice sempre quell'illuminata di mia madre, è una ruota che gira. Ma per qualcuno, se esce il 100, la ruota si ferma e il male ristagna.


domenica 22 settembre 2013

Una pagina scritta.

Vi avevo lasciato con una pagina bianca. Giuro, non era un'uscita da diva. Era solo un momento di sconforto.
E tanti mi hanno confortato. E sconfortato.
Mi son sentita dire che il vero dolore, io, non so nemmeno cosa sia.
Vero.
Se devo essere sincera, la morte non ha mai sfiorato la mia famiglia in modo palpabile. I miei sono ammaccati ma ancora in piedi, gli mancano alcuni organi, alcune funzioni allegoriche, ma tutto sommato se ne stanno lì granitici e non c'è giorno in cui io non ringrazi una divinità a scelta per averli ancora qui, vicino a me. Anche se l'amore è rarefatto e l'affetto è accennato, vederli mi fa sentire semplicemente viva.
Le mie nonne poi son talmente vive che mi sento più vecchia di loro. 
Mi hanno dato della depressa.
Vero.
Ma evito la solita tiritera "Sfido a passare un anno come il mio bla bla bla". Sapete, ognuno passa i propri guai. E alcuni di noi sono riservati, nascondono i loro dolori tra le pieghe delle loro giornate. Io le pieghe le spiano, scuoto i lenzuoli che avvolgono i miei giorni, li stendo e li faccio vedere a tutti, logori e strappati o bianchi e splendenti. Non ne faccio un vanto. Anzi. Mi sento peggio di un tronista di "Uomini e Donne". Colpevolmente vi parlo della mia vita. Nel bene e nel male, nel sorriso sincero dei miei amici e nei silenzi pieni di angoscia del mio lavoro. Negli occhi unici e strabici dell'unica persona che mi sopporta. E che sopporto, quasi come la Pina sopporta Fantozzi o Dudù il cane  il suo padrone Silvio B.
Mi è stato detto che la colpa è mia. O forse me lo son detta da sola. 
Falso.
La colpa di questo dolore che mi attanaglia e mi fa respirare dentro ad un polmone d'acciaio non è SOLO mia. E' colpa della natura che fa fermentare le cisti dentro al mio rene destro. E' colpa del mondo del lavoro e del mercato della cultura che mi ha relegato a rispondere al telefono a malati terminali che non sanno o non vogliono sapere di esserlo. E' colpa delle persone e delle loro insicurezze che non gli permettono di notare la splendida creatura che sono. E' colpa di questo buco dell'ozono.



Christopher Reeve era Superman. Poi, come un Zorro qualsiasi, cadde da cavallo e rimase tetraplegico per oltre nove anni prima di andarsene per sempre. Quello che Reeve c'entra con questo post è che la vita va avanti anche senza il nostro corpo, ma a che pro? 
A volte anche senza il nostro pensiero. Pensate a Eluana Englaro. Pensate alla trappola, rimanere imprigionati nel proprio corpo e nel proprio respiro. Pensate di avere polmoni così rattrappiti da non poter muoversi o un cuore che si ferma perchè ormai è vuoto.

Provocatoriamente il senso di questo post è: Respirate solo se potete essere vivi e coscienti per farlo, camminate e correte verso il futuro, non tornate indietro se non per studiare il passato. 
E soprattutto, non giudicate la gente. Aspettate che sia morta per farlo.