giovedì 11 giugno 2015

Era meglio quando si stava peggio: tra cinema, Zweig e Salvini

Ora vi racconto un segreto.
Andare al cinema mi mette angoscia. 
Se costretta allora scelgo accuratamente il film, studio gli orari, i giorni e le sale adatte. 
Alle 17 di qualsiasi giorno non prestabilito non mi si può proporre "Andiamo al cinema? Lo spettacolo inizia tra venti minuti, ma ce la facciamo!". No. Angoscia. Iperventilazione.
Scarto subito i multisala, a meno che non sia sabato o domenica pomeriggio e il film sia leggermente impegnato così da tenere alla larga giovani casinari o bambini singhiozzanti. Il rovescio della medaglia è trovarsi immersi in ultra settantenni sordi e catarrosi.
Fortunatamente non faccio più parte di una compagnia numerosa. In gioventù fui costretta a sorbirmi ogni sorta di boiata stile "American Pie", mieloserie femminili tipo "Titanic" ( fui l'unica a non piangere in tutto il cinema. Io tifavo spudoratamente per la nave) e la categoria peggiore: gli horror.
L'aneddoto più calzante per descrivervi il mio totale disgusto per il genere e la mia paranoia crescente nei confronti della situazione sociale "andiamo al cinema!", risale al 2004. 
Un sabato sera qualsiasi di 11 anni fa il mio fidanzatino dell'epoca decide, insieme ai suoi due amici più fidati e la sottoscritta, di andare al cinema per spezzare la noia. 
Ultimo spettacolo. 
"L'alba dei morti viventi".
Dopo 101 minuti di film, usciamo dalla sala. I ragazzi sbadigliano. Io verso in condizioni pietose: occhi pallati, colore dell'incarnato paragonabile alle lenzuola stese dalla nonnina della candeggina ACE, tremolio intenso di gambe e braccia che può essere registrato tra 6.0 e 6.9 di magnitudo sulla scala Richter.
Nonostante tutto, nessuno se ne accorge. Salgo in auto con il fidanzatino. Appena entrati in tangenziale lo faccio fermare. Nel bagagliaio di quella maledetta AX bianca del 1991 c'era uno zombie, sicuro.
Dopo scrupolose perquisizioni, l'auto risulta pulita. Da quella sera ebbi difficoltà a prendere sonno. Avevo il terrore cupo e buio di svegliarmi e trovarmi in un mondo che era cambiato nottetempo, senza che nessuno mi avvertisse o mi mettesse in guardia.
Svegliarmi era pure peggio: avevo il terrore che al mio risveglio tutto fosse reale, che l'umanità fosse in balìa degli zombie. 
Salvini e soci ora mi confermano che il contagio è avvenuto sul serio.

Da allora sento l'obbligo di decidere se disertare il cinema o avventurarmici. 
Sono ripartita con i cartoni animati. 
Qualche Tarantinata. 
Film innocui sul Natale.
Penso di aver visto pure "Cars". Con degli adulti.

Qualche tempo fa, dopo vari tentativi e qualche buon successo, ("Il mio amico Eric", "Louise-Michel", "Il discorso del re", che volete, amo le storie sdolcinate) mi ritrovo a dover decidere di andare al cinema con una persona nuova, con un rapporto nuovo, con Lui che nemmeno sapeva che ero cinemafobica. 
Mi affido a Wes Anderson.
(So che state pensando "Ma la morte? dov'è, la morte?".)


Alla fine di "Grand Budapest Hotel" ho il viso solcato di lacrime. 
Il mio compagno mi scruta perplesso.
"Che hai?"
"Ahhh eh? Niente, niente" segue asciugatura meticolosa del naso sgocciolante.
"Ma è finito bene, no?"
"No. Non è finito bene, non lo capisci? Il mondo... Il mondo è crudele, niente si salva, il mondo è diverso, non respiri violenza? Dove sta il rispetto?"
Il mio partner di cinema mi guarda. Guarda lo schermo dove scorrono i titoli di coda. Mi riguarda. Non riesce a proferire verbo. Inarca le sopracciglia e si dispiace insieme a me.


Per un secondo, forse molto più di un secondo, Stefan Zweig si è impossessato di me.
Il film di Anderson è tratto da un libro dello scrittore austriaco Stefan Zweig, mio grande amico e ottimo conversatore nonostante si sia suicidato nel 1942 (Eccola qui la morte, voilà!).

Stefan fu un bravissimo scrittore, indagatore dell'animo umano e viaggiatore incallito. Ogni suo libro è capace di trasportare il lettore in mondi diversi, situazioni diverse, cuori diversi. A volta abbonda di dramma e lacrime, altre alza l'asticella della tensione ad un livello angosciante. Eccellente e briosissimo biografo, racconta le vite degli altri con solenne ed impietosa arguzia. Ovviamente i nazisti non tolleravano che quelle splendide pagine fossero scritte da un ebreo, così i suoi libri bruciarono insieme ad altri nel rogo della follia voluta da Adolf e simpatizzanti. Un brutto momento, un momento di buio e ombra.

Quando capisci come girano gli ingranaggi, nel momento terribile in cui comprendi che certi momenti, situazioni, disastri, tendono a ripetersi nonostante l'accumularsi di conoscenze e di strumenti in nostro possesso, allora lo scuotimento di testa o la disapprovazione Flanderiana non bastano più. E questo Stef l'aveva ben capito quando nella sua amata Austria si profilava lunga l'ombra di quel potere diabolico che nessuno aveva voluto prevedere:

"Io avevo troppo studiato e troppo scritto la storia per non sapere che la grande massa è sempre pronta a rotolare verso la parte ove al momento sta il peso del potere; sapevo che le stesse voci che gridavano oggi "Heil Schuschnigg!" avrebbero gridato domani "Heil Hitler!"."Ma forse tutti quegli amici di Vienna erano in ultima analisi più saggi di me, perché essi soffersero soltanto quando la sventura veramente accadde, mentre io l'avevo già provata nella fantasia e la rivivevo una seconda volta nella realtà. Comunque io non li capivo più e non riuscivo più a farmi capire. Dopo due giorni avevo rinunciato a mettere in guardia – qualcuno. Perché conturbare gente che non voleva essere turbata?

Il viaggio per scappare lontano dalle conseguenze di quella nuova, cupa, storia, lo portò fino a Petropolis, in Brasile, una sorta di Austria in versione carioca (se non mi credete guardate le immagini che mi trova Google qui), dove visse i suoi ultimi anni schiacciato dal peso di non poter più aver fiducia nell'uomo, nell'uomo di quel tempo, perlomeno. 
Così, stringendo forte la mano della moglie  Lotte, si imbottì di barbiturici, lo stesso fece lei, ed insieme se ne andarono.

"Il sole splendeva forte ed intenso. Tornando a casa osservai d'un tratto davanti a me la mia ombra, così come vedevo proiettata l'ombra dell'altra guerra dietro la guerra presente, e quest'ombra non mi ha più abbandonato da allora, ha sovrastato ogni mio pensiero, notte e giorno e forse il suo cupo profilo si è disegnato anche su molte pagine di questo libro. Ma ogni ombra in fondo è anche figlia della luce e solo chi ha potuto sperimentare tenebra e chiarita, guerra e pace, ascesa e decadenza, può dire di avere veramente vissuto."

Ed eccomi lì, davanti a quello schermo.
Lo scoramento della morte, la consapevolezza del passaggio dall'età dorata a quella incerta e grigia dell'essere adulti.
Il mondo sull'orlo costante della rabbia. 
Salvini in TV manco fosse Belen Rodriguez. 
Giovane contro anziano. 
Anziano contro giovane. 
Io contro di te, di voi.
Niente più empatia, solo odio, rabbia, diffidenza.

Non sono guarita, ancora sono cinemafobica, ma sto leggermente migliorando anche se la scelta dei film da vedere è un macello, la mia soglia di tollerabilità si ferma ai cartoni animati. A certi cartoni animati.

Io e Stefan Zweig continuiamo a scuotere la testa insieme tra un libro e l'altro, tra un Salvini e un altro.

La lezione di oggi è che... Beh, siamo sinceri, più che di una lezione avremmo bisogno di un luogo dove rannicchiarci e far passare questi venti maldestri e maligni, senza il bisogno di fare gli eroi o di abbandonare questa crudele situazione rimettendoci al Dio della Morte.
Potrebbe anche essere un cinema, magari sotto le stelle.


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