domenica 6 settembre 2015

Ama il prossimo tuo

(Questo post è uno di quei post intimisti, in punta di piedi e fil di voce.
cercherò di fare piano, anche urlando dentro.)

Ho imparato, da cattiva cristiana, che ho sempre travisato il concetto di "Ama il prossimo tuo come te stesso" o, come sarebbe corretto citarlo, "E il secondo [comandamento] è questo: "Amerai il prossimo tuo come te stesso". Non c'è altro comandamento più importante di questo" (Marco 12,29-31).
Pare infatti che questo splendido passaggio della Bibbia sia riservato ai parenti.
Sì, quelli che a Natale vi regalano calzini. Più raramente, soldi.

Mi spiego. E per farlo bisogna scorrere le giornate appena trascorse.

Stando bolsamente seduta sul divano, scorrevo le migliaia e migliaia di commenti ed opinioni riguardo alla pubblicazione della foto del piccolo Aylan e, giorni prima, per il fattaccio triste di Palagonia. Nemmeno a dirlo, una marea di putredine la cui puzza si avvertiva da Kobane.
Pazienza.
Ogni tanto le mie dita tozze scorrevano sulla tastiera battendo forte il mio disappunto per tutto quel gomitolo di odio, frustrazione ed ignoranza che striscia e sibila libero ed indisturbato per tutti i social network. Eccomi lì, con la testa in preda ad un movimento ondulatorio pieno di disappunto, a leggere in silenzio tutto quello strano odio che mi è sempre stato estraneo.
Perché lo confesso, in vita mia ho sempre odiato cose e persone lontane dal mio abbraccio e dal mio cuore.
O perlomeno ci ho provato.
Per farvi capire, il mio più grande odio è sempre stato verso Mel Gibson. Mel Gibson, l'attore. Immaginatemi come un vecchio che agita il pugno al cielo e aggrotta le sopracciglia.
Ecco, quello per me è ODIO. Il MIO odio.
Già detesto leggere e ripetere la parola odio.
Brr.

Torniamo a me e alle mie dita tozze.
Mai, mai, avrei pensato di imbattermi in una scaramuccia con il sangue del mio sangue.
Mai avrei pensato di pestare una coda di paglia e affetto represso.
Mai averi pensato di beccarmi il risentimento del mio sangue.
Eppure. Eppure è successo.

In pochi minuti mi sono trasformata da sorella a ridondante silos di cultura inutile, un'amica dei migranti, questi stranieri, estranei, sconosciuti, ero, per il mio stesso sangue, solo un tabarro vuoto e privo di amore, come avrebbero dimostrato i post seguenti, frecciatine intrise di veleno e rivalsa.

La foto di Aylan lì sulla battigia era ancora fresca e odorante di pellicola che io mi rotolavo nel senso di colpa e nella consapevolezza di aver sollevato un polverone con qualcuno che un tempo amavo come la mia vita, la cui risata mi riempiva di gioia, di cui ammiravo la costanza e lo studio. 
Ma mentre i primi giornali e i primi social s'intromettevano nella morte fotografica del piccolo Aylan, io venivo di nuovo colpita da un dardo: l'accusa di amare il prossimo mio, estraneo, straniero, sconosciuto, più di quanto mai avessi mai amato il mio stesso sangue.

Il mio rammendatissimo cuore punk e frastornato non c'è stato, no, non poteva sopportare l'arroganza dell'ignoranza.
Perché il mio sangue non può giudicarmi, non può capire perché io sia così sensibile davanti ad Aylan, al loro padre in lacrime, alle persone che lasciano tutto e si affidano al vuoto. Non può capire perché l'estraneo, lo straniero, lo sconosciuto mi stiano così vicini al cuore.



E non lo sa perché il mio sangue non conosce la solitudine della mia adolescenza fatta di silenzi, di isolamento, di cose imparate da sola, sbagliate da sola. 
No, il mio sangue conosce solo i suoi torti, la sua solitudine e il suo crescere sola. Pretende il mio amore e la mia attenzione, ma non sa che non può pretenderli.
Odio Mel Gibson perché odiare qualcuno che ho amato è troppo lacerante.
Amo Robert Bruce perché non mi fa soffrire pensare che possa deludermi o lasciarmi, in quanto mi ha già lasciato 700 anni fa. 

L'estraneo, lo straniero, lo sconosciuto, mi auguro solo non passi la mia solitudine e il mio dolore visto che spesso gli sconosciuti che ho incontrato avevano conosciuto la malattia e l'abbandono e mi avevano donato il loro peso con gli occhi di chi ti è debitore.
L'estraneo, lo straniero, lo sconosciuto conosce il mio presente, ma non sa delle terribili ferite della mia solitudine e del poco amore e dello schernimento che troppo spesso mi veniva inflitto da figlia imperfetta, brutta, grassa, non sa della poca fiducia in me stessa e nella mia voce, non sa delle delusioni che ingenuamente ho subito. Mi conosce per la persona che sono diventata, per l'amore che ho verso la vita e il prossimo, chiunque esso sia. Chiunque a parte Mel Gibson. Il mio passato gli è precluso. 
Mi è impossibile provare amore per il mio prossimo, sangue del mio sangue, se il mio prossimo pretende che lo capisca, lo ami, lo assecondi senza mai aver pensato a quanto scomodi fossero i miei panni quando avevo bisogno io di amore, in quel passato da cui il mio sangue non era escluso e che tacitamente, in silenzio, chiamavo in aiuto.

Così, mentre le mie dita tozze scivolano sulla tastiera, penso che a volte le strade si dividano dal principio della nostra vita.
Mentre io penso a quelle anime sole che si perdono nel mare, il mio prossimo mi richiama all'ordine e, ben poco cristianamente, mi si aggrappa ai calzoni e mi rimprovera di non amarlo.

Aylan e Galip sono morti ed erano bambini. Erano fratelli. Si volevano bene, penso. Magari giocavano insieme, litigavano, gioivano, parlavano e crescevano insieme, certamente insieme sono passati dall'altra parte. Non so nemmeno se mi perdonerebbero mai per averli paragonati a me e te. Ma la loro morte ci ha divisi per sempre. La potenza di un'opinione sulla morte di due bambini, di due fratelli.

Noi che abbiamo avuto la fortuna d'esser vive ci siamo perse. Ci siamo invidiate ed odiate.
E adesso, in silenzio, ci lasciamo.
Perché ti ho già amato abbastanza, odiarti mi lacererebbe.






Nessun commento:

Posta un commento