lunedì 30 dicembre 2013

Bisogna credere nei segni, non nei sogni. Morte del 2013.

Un bel post catartico.
Uno di quelli che parla di fiducia, amore, speranza e magari di fortuna.
Ecco. Leggete un altro blog.

Qui si celebra il funerale di un altro anno da dimenticare che però, a differenza del 2012, è passato rapido e veloce come Schumacher sugli sci.

Ricorderò questo 2013 per la selva di voci e di grida, di contestazioni e discussioni feroci su quasi qualsiasi questione, dai test sugli animali al matrimonio di Belen fino ad arrivare ai milioni di commenti sulla tragica morte di Romboni. 
Sì Romboni. 
Dai, valà, Romboni. 
No, non l'inquilino del terzo piano, Calogero Romboni, quello con due nipotine, no nemmeno Marcone Romboni il salumaio di Via Nazionale. 
Dai, tutti sanno chi è Romboni  a giudicare dal fatto che tutti avessero un commento tecnico-tattico sulla dinamica della sua tragica dipartita. Io no, mi spiace. E nemmeno mi ricordo i film di Paul Walker, ma pare che la tragedia vi abbia consumato di lacrime.
E a parte tutto sto casino, il 2013, come dicevo, è scappato via in fretta, come un ladro che ci sfila il portafoglio in Via Indipendenza portandoci via ben più di qualche banconota 10 euro e una tessera dell' Esselunga. Maledetto 2013, mi hai tolto un altro anno di vita rimpiazzandomelo con un anno d'insuccessi, frustrazioni e Matteo Renzi, mi hai estirpato tutte le lacrime che avevo, quasi ogni giorno di ogni tuo inutile mese io ho pianto. Ti sei preso via i miei sogni, anche quello dove raggiante e magra in un abito a pois di Stella McCartney ballavo felice insieme a Daniel Craig mentre annunciavamo il nostro matrimonio ai nostri migliori amici - George Clooney, Christoph Waltz, Katy Perry e Jello Biafra. 
Un bel sogno in mezzo a tanta frustrazione, non solo mia, ma di quasi tutti i volti che ho visto di recente. Un'insoddisfazione che ci ha lasciato atterriti e desiderosi di una svolta.
E nel 2014, la svolta, ci sarà.
E non solo perchè lo dice Paolo Fox in completo nero e giacca rossa (e qui, signori, c'è della serietà: quando Paolo Fox mette nell'armadio il frac bianco, allora è guerra dichiarata a Saturno o qualsiasi altro pianeta che di solito porta scompiglio nei cicli mestruali femminili), ma perchè se i sogni son morti allora rinascono i segni, non solo quelli zodiacali. Almeno, come al solito, non il mio.



I segni sono importanti.
Per esempio, non ho mai sbattuto così tanto spesso nelle cose come in questi ultimi giorni. Non solo perchè il mio volume corporeo aumenta sempre di più causa cenoni e pranzoni natalizi, ma anche perchè non sono attenta. Ho la testa altrove. Sento il cambiamento. 
Oppure il fatto che la mia nuova cotta Jean Dujardin abbia appena divorziato e io lo sia venuta a sapere oggi.

Anche se il segno che questa volta non c'è solo la morte all'orizzonte me lo da l'incrollabile fiducia nel fallimento collettivo. Posso continuare a fallire, ma questa volta so di non essere sola, ho sentito e visto abbastanza per capire che non avrò l'amore fiabesco e idilliaco di Jean Dujardin ma almeno posso contare sull'affetto di un uomo buono per cui ho combattuto come Signorini contro la neve a Cortina d'Ampezzo, fallirò nella ricerca di un nuovo mestiere, ma almeno saprò cosa volere e che condizioni dettare, perchè a volte l'orgoglio costringe a ripensamenti e negoziazioni. Se avessimo orgoglio collettivo e rispetto per noi stessi allora forse non lavoreremmo come schiavi guadagnando meno dei nostri nonni e rimanendo senza possibiltà di figliare al contrario dei nostri stoici genitori. Continuerò a sbagliare tono, battaglia, attività fisica, abbinamento dei colori, ma almeno so che non sarò la sola a fregarmene e a guardare oltre. 

Uno sguardo oltre. Più vicino all'aldilà forse, ma con gli occhi aperti, lucidi e furbi.
Muori 2013.
E porta con te chi vuoi.

lunedì 16 dicembre 2013

Come mi frega Peter O'Toole

Una delle dieci domande preferite dell'alzheimer di mio padre è "Ma Peter O'Toole è vivo o è già morto?"
Fino ad oggi brancolavo nel buio, rammentavo sparute apparizioni in qualche serie tv, nessun necrologio con la voce impostata e impomatata di Anna Praderio e soprattutto nessuna replica di "Lawrence d'Arabia". Ciò mi portava fieramente a collocarlo tra i prossimi al decesso in un fantamorto tutto mio che tra gli altri prevede Kirk Douglas, Michael Douglas, Davide Mengacci e Gegia (lo so, punto in alto con l'ultimo nome).

Finalmente, diciamolo, il vecchio è crepato. 
E con lui le angosce cinematografiche di mio padre. Per ora.

Poi, in tutto questo bailamme di morti celebri (da Paul Walker "insegna agli angeli a fare le sgumme e di che colore precisamente è Vin Diesel" passando per Lou Reed e arrivando fino a Mandela, per i giornalisti de Il Giornale "padre dell'Apartheid) decido di dedicare l'ars moriendi di oggi a lui per un motivo preciso. 



Peter O'Toole era uno spaccaballe. 
Uno, per capirci, che per vent'anni ansiolizza e tiranneggia la moglie con la sua ubriachezza molesta. Uno che si vanta di sapere tutti i sonetti di Shakespeare a memoria. Uno che rifiuta il titolo di Sir per convinzioni politiche a noi sconosciute (forse anche allo stesso cervello di O'Toole).
Uno che riceve 8 nomination all'Oscar senza mai vincerlo e poi s'incazza quando glielo danno alla carriera, che voglio dire, è lecito, ma Leonardo di Caprio la prende con molto più savoir faire.
Ecco.
Ma quel Peter O'Toole, cresciuto in un collegio di suore, tra i pub di Leeds e le scommesse, un carattere strafottente e burbero ed un animo da poeta (comunque molto affascinante, un ragazzaccio che veniva menato dalle suore. Come non invaghirsene?), era il mio calendario. Sapevo che ad ogni "Ma Peter O'Toole è vivo o è già morto?" avrei trovato un raccordo d'intima intesa familiare con mio padre, una cadenza affettiva che scandiva gli anni, una certezza che mi dava sempre più autorità, mi consacrava come la "memoria di casa Dodi". Ora so che il mio compito sarà ricordare l'anno della dipartita. Ma non sarà più la stessa cosa, la stessa scena seduti davanti al tavolo e ad un piatto di spaghetti al tonno cercando di arginare le derive assistenzial-cattoliche di mia madre.

Attendo fiduciosa un nuovo dialogo padre/figlia basato sulla prossima, nebulosa dipartita di qualcuno. Magari tra qualche giorno sentirò mio padre chiedermi "Ma Kirk Douglas è vivo o è già morto?". E lì, fiera e col sorriso di chi sa, gli darò la risposta che aspetta.

Sempre che Gegia non gnicchi prima.


lunedì 11 novembre 2013

Il disturbatore e il suo contrario.

Mi sembra ieri quando, non so sul serio spiegare come, finii sul sito internet di Gabriele Paolini. In realtà abitavo in un'altra casa, con un pessimo computer e una connessione che risaliva all'incoronazione di Carlo Magno, anno più anno meno.
Il sito grondava pupù.
Letteralmente.
Elogio delle deiezioni umane. Wla pipì, w la pupù.
E non scherzo, giuro. Avrei voluto il blocco per i minorenni.
Se andate ora su http://www.gabrielepaolini.com/html/index.htm troverete toni più miti, ma anche una dura e severa reprimenda verso i comportamenti sessuali di Silvio Berlusconi.
Quindi quando oggi mi è giunta all'orecchio la notizia dell'ingabbio di Paolini, subito il pensiero è volato al caro, vecchio, amico Frajese.



Lontano negli orizzonti del passato, si palesa di fronte a me quel momento speciale, respiro quell'aria frizzante e giocosa. Siamo in Francia, siamo nel 1998 e ci sono i mondiali di calcio. In radio Ricky Martin imperversava con "La Copa De La Vida", da cui ricaverà altri 754 pezzi simili, in tv c'è il nuovo, immancabile, spot della Nike con il solito mucchio di calciatori che si sollazzano tirando calci ad un pallone qua e là nel globo e tutto, serpeggiando nella calura e nell'afa tipicamente italiana, urla e gronda CALCIO. I mondiali sono lì, nell'odiatissima Francia, che per l'occasione brulica di italiani assetati di vino, gnocca e pallone. Tra di loro, Gabriele Paolini, "il disturbatore", sbarcato oltralpe per non chiare ragioni. 

L'occasione si sa, fa l'uomo ladro. E Paolini vede un nugolo di persone attorno ad una telecamera, si avvicina, pensa di fare il suo solito, impunito, show. Sbircia, si appoggia ad uno quegli "irriducibili tifosi", scivola e lo travolge. Il tifoso si rialza e prende inavvertitamente contro al conduttore del servizio, spinto sempre dall'incontenibile ego sovversivo del Paolini.

Ecco che scatta, improvvisa e rapida, la risposta del serio e compito giornalista. 
Una scarica di calcioni nel culo scagliati senza ritegno, ma con classe: per tutta l'aggressione l'inviato del TG1 tiene la mano sull'auricolare non tradendo l'aplomb da gentiluomo di altri tempi dato anche dalla sua cravatta regimental.
E alla fine riprende la diretta con un deciso "Chiedo scusa". A terra, fuori dall'inquadratura, un Paolini neutralizzato come mai, purtroppo, si rivedrà.



Caro buon Frajese, ora tu forse saresti il primo a dare la notizia dell'arresto di Paolini, ma purtroppo non sei più tra noi. La tua calma annoiata, il tuo giornalismo non urlato, i tuoi commenti pacati mentre ci raccontavi il palio di Siena ci mancano molto( Il palio è una metafora, è lo specchio della vita e della morte). Ci piace, ora che finalmente il disturbatore ci risparmierà per un po', ricordare che una volta, fuori da denunce e ridicolo giornalismo sensazionalistico, un paio di sberloni ben assestati male non facevano.


La lezione del giorno è che a volte un paio di calci nel deretano riassestano equilibri che nessun armistizio, tavola rotonda, salotto della D'urso, buona parola di Signorini o tregua possano mai rimettere al loro posto.
Agite di conseguenza. Ma indossate sempre ottime cravatte.

P.S. : oh, visto che Paolini di recente si è buttato nel porno, spero in un film che veda protagonisti lui e la prima moglie del buon Frajese: Marina Hedman Bellis alias Marina Lotar, una delle prime pornostar del cinema italiano. Quanto je roderebbe al buon Paolo!


mercoledì 16 ottobre 2013

La ruota gira per tutti. E a volte esce il Cento.

Ve la ricordate Iva Zanicchi a "Ok il prezzo è giusto"?
In particolare, vi ricordate il fatidico momento in cui i concorrenti si accingevano, madidi di sudore e speranza, a girare la gigantesca ruota colorata piena di numeri mentre il pubblico urlava "CENTO,CENTO,CENTO,CENTO" ?
Ecco, alcuni di loro vedevano sgretolarsi le loro illusioni quando la ruota si ferma sul 20, altri, giulivi bastardi, godono con un 85. E poi ci sono gli eletti, quelli del 100. 



Ma non sempre fare 100 è un gran colpo. 
Magari per Erich Priebke fare 100, e qui parlo dei suoi anni,  è stato il coronamento di una vita che lui considerava immacolata e giusta. Più o meno come se io considerassi la mia alimentazione salutare e variegata.
Per un uomo i cui numeri sono stati fondamentali nella vita (ricorderei per primi quei 5 rastrellati in più nell'eccidio delle Fosse Ardeatine) almeno quanti gli anni, arrivare alla geriatria più estrema, dev'essere stato un puro godimento.
Ma adesso che se n'è andato e vorrei sentire il silenzio della decenza, assaporare la giusta ed indignata indifferenza che si deve ai vili ecco che sono infastidita dal solito trambusto all'italiana. Un enorme carrozzone guidato da lefebvriani ringalluzziti, trainato da neofascisti ubriachi e animato dalle nostre sacre istituzioni deliranti che non sanno dove nascondere il corpo di un nazista centenario. Roba che Riina te lo murava in un pilone di cemento in meno di due minuti, ma se così fosse stato allora ecco che avremmo assistito all'eco di polemiche sterili sulla fattura del cemento, la posizione poco strategica del pilone (va bene il pilone, ma non a Roma, ma il pilone Henningdorf non lo vuole, si può bruciare il pilone?) le manifestazioni neofasciste attorno al pilone, e così via. 

L'unica vicenda della vita di Priebke, ed in generale della società italiana, che non mi convince è la sua partecipazione come giudice della giuria del concorso di bellezza "Star of the Year" nel 2008. Fu il presidente della giuria, ma solo in via telematica (pazzesco), della finale del prestigioso concorso tenutosi a Gallinaro, Frosinone. Manco a dirlo, l'edizione del 2008 non ha filmati disponibili su YouTube. 
Pare che il giudice Priebke non abbia potuto sollevare la paletta per dare un voto alle ragazze, un 5 di disapprovazione o un gustoso 9, ma almeno ha mandato un videomessaggio in cui bacia e abbraccia tutte le giovani donne del concorso.
La degna conclusione dell'evento fu una pioggia torrenziale stile scena iniziale di "C'era un cinese in coma".



Lasciamo che Priebke marcisca velocemente. Lasciamocelo alle spalle. D'altronde gli abbiamo concesso 100 anni per parlare, non esprimersi a favore o contro qualcosa, essere accigliato e scontroso, andare a lavoricchiare dal suo giudice. 
Non ricordiamo lui, ricordiamo quei 335 che non sono potuti arrivare a spegnere la centesima candelina. Quelli che, per intenderci, non hanno girato la ruota.

La lezione di oggi è: la vita, come dice sempre quell'illuminata di mia madre, è una ruota che gira. Ma per qualcuno, se esce il 100, la ruota si ferma e il male ristagna.


domenica 22 settembre 2013

Una pagina scritta.

Vi avevo lasciato con una pagina bianca. Giuro, non era un'uscita da diva. Era solo un momento di sconforto.
E tanti mi hanno confortato. E sconfortato.
Mi son sentita dire che il vero dolore, io, non so nemmeno cosa sia.
Vero.
Se devo essere sincera, la morte non ha mai sfiorato la mia famiglia in modo palpabile. I miei sono ammaccati ma ancora in piedi, gli mancano alcuni organi, alcune funzioni allegoriche, ma tutto sommato se ne stanno lì granitici e non c'è giorno in cui io non ringrazi una divinità a scelta per averli ancora qui, vicino a me. Anche se l'amore è rarefatto e l'affetto è accennato, vederli mi fa sentire semplicemente viva.
Le mie nonne poi son talmente vive che mi sento più vecchia di loro. 
Mi hanno dato della depressa.
Vero.
Ma evito la solita tiritera "Sfido a passare un anno come il mio bla bla bla". Sapete, ognuno passa i propri guai. E alcuni di noi sono riservati, nascondono i loro dolori tra le pieghe delle loro giornate. Io le pieghe le spiano, scuoto i lenzuoli che avvolgono i miei giorni, li stendo e li faccio vedere a tutti, logori e strappati o bianchi e splendenti. Non ne faccio un vanto. Anzi. Mi sento peggio di un tronista di "Uomini e Donne". Colpevolmente vi parlo della mia vita. Nel bene e nel male, nel sorriso sincero dei miei amici e nei silenzi pieni di angoscia del mio lavoro. Negli occhi unici e strabici dell'unica persona che mi sopporta. E che sopporto, quasi come la Pina sopporta Fantozzi o Dudù il cane  il suo padrone Silvio B.
Mi è stato detto che la colpa è mia. O forse me lo son detta da sola. 
Falso.
La colpa di questo dolore che mi attanaglia e mi fa respirare dentro ad un polmone d'acciaio non è SOLO mia. E' colpa della natura che fa fermentare le cisti dentro al mio rene destro. E' colpa del mondo del lavoro e del mercato della cultura che mi ha relegato a rispondere al telefono a malati terminali che non sanno o non vogliono sapere di esserlo. E' colpa delle persone e delle loro insicurezze che non gli permettono di notare la splendida creatura che sono. E' colpa di questo buco dell'ozono.



Christopher Reeve era Superman. Poi, come un Zorro qualsiasi, cadde da cavallo e rimase tetraplegico per oltre nove anni prima di andarsene per sempre. Quello che Reeve c'entra con questo post è che la vita va avanti anche senza il nostro corpo, ma a che pro? 
A volte anche senza il nostro pensiero. Pensate a Eluana Englaro. Pensate alla trappola, rimanere imprigionati nel proprio corpo e nel proprio respiro. Pensate di avere polmoni così rattrappiti da non poter muoversi o un cuore che si ferma perchè ormai è vuoto.

Provocatoriamente il senso di questo post è: Respirate solo se potete essere vivi e coscienti per farlo, camminate e correte verso il futuro, non tornate indietro se non per studiare il passato. 
E soprattutto, non giudicate la gente. Aspettate che sia morta per farlo.



domenica 25 agosto 2013

Una pagina bianca

Domani torno al lavoro.
Le ferie son finite. In effetti 5 giorni di vacanza logorerebbero chiunque. Ma le mie sono cominciate con un funerale e oggi tiro le somme.

Da quando a febbraio dell'anno scorso ho aperto questo piccolo spazio mortifero, la mia vita si è in fretta abituata al grigiore del trapasso e al dolore della perdita, nemmeno avessi aperto una pompe funebri self service. E' come se questo blog fosse ammantato e avvolto da una maledizione sottile che negli ultimi 12 mesi mi ha tolto una vicina di casa, due professori straordinari ai quali ero legata, Amy Winehouse e un Grande Amore.
Ogni volta che le mie dita tozze e stanche battono sui tasti nell'incessante tentativo di rendere digeribile la pietanza indigesta della morte, mi sento leggera. Scrivo per me, scrivo per te, scrivo soprattutto per non scordarmi come si fa (la prova dell'esercizio è una costante da non sottovalutare. La frase "E' come andare in bicicletta" è una frase del menga: io, sebbene passassi le mie giornate fanciullesche sulla preziosissima Graziella di mia nonna, ora son peggio di un reduce del Vietnam, manco so salirci su un trabiccolo a due ruote.) e l'argomento è sul serio l'unico di cui possa vantare conoscenza illimitata, fin da bimba so come si svolge il processo crematorio grazie alle riviste della So. Crem a cui era abbonato per oscuri motivi mio nonno e che da ragazzina divoravo quanto un buon Topolino; mia madre trovava sfizioso raccontare e sviscerare la tematica "funerale" all'ora di pranzo, ancora adesso esprime il suo desiderio di essere cremata e soprattutto che la cerimonia e il tutto, anche i minimi particolari, siano curati dalla sua pompe funebri preferita.

Ma continuare a scrivere diventa un esercizio troppo doloroso dopo l'ennesima perdita, l'ennesimo shock. Tutto mi sembra diventare fin troppo reale, il dolore, la sopraffazione, il tornare ad una vita normale. Io mi arrampico da più di 400 giorni e da 400 giorni cado e mi rialzo. E i miei glutei purtroppo non ne traggono giovamento. 
Son qui per gettare la spugna.
Non riesco ad essere più una buona compagna se mai qualcuno volesse che lo fossi.
Non riesco a lavorare in modo eccellente. Tutt'al più in modo approssimativo e decente. 
Non riesco a non essere piagnucolosa e lamentosa. Provate voi a cadere tutti i giorni per terra e poi guardatevi la faccia allo specchio.
Forse non riesco nemmeno più a scrivere. Ma questa dev'essere la maledizione di questo Ars Moriendi.

Questa volta la lezione vorrei me la deste voi. 
Cosa si fa quando non si riesce più a rimettersi in piedi dopo una caduta?

Per ora, io qui lascio una pagina bianca.

giovedì 22 agosto 2013

Qualcosa che non puoi rimpiazzare.

Ognuno di noi ha la propria storia. La nostra vita scorre veloce, le nostre giornate sono come pagine di un libro, che tipo di libro lo decidiamo noi. Il mio ad esempio sarebbe un album da disegno Disney intervallato da romanzetti rosa anni '50 e picchi di tensione alla Daphne du Maurier.

C'è una persona che ha scritto le pagine del suo libro in un linguaggio antico e ha speso la sua vita a spiegare agli altri come decifrarlo. 
Questa persona mi ha accolto nel primo giorno della mia vita nuova almeno 10 anni fa.



Nella vita si sbaglia, e io che sono campionessa mondiale di magagne, tanti anni fa mi ritrovai in una nuova università con l'imperativo morale di farcela, di dimostrare a me stessa che nonostante la fallimentare condotta scolastica delle scuole superiori una volta arrivata a varcare la soglia universitaria la storia sarebbe cambiata. Non successe così la prima volta: una città inospitale, un corso non adatto a me, pochi compagni con cui condividere appunti, risate e frustrazioni.
Decisi di riprovarci, di tornare alla vera passione. Di seguire il cuore, e quello, manco a dirlo, correva all'indietro verso cavalieri, dame, castelli e maghi.
Così eccomi lì, in un nuova università, circondata da volti nuovi e giovani, di fronte a quell'aula ancora semivuota con un groppo in gola e la paura di sbagliare ancora, ma sul mio personalissimo diario quel giorno di ottobre era segnato come l'inizio di qualcosa di nuovo, in rosso con un pennarello sottile avevo scritto : "Domani prima lezione di STORIA MEDIEVALE! Si comincia con paleografia!!!", abusando di punti esclamativi come avrebbe fatto qualsiasi adolescente innamorata.
Fu davvero l'inizio di qualcosa. In quell'aula trovai Eldorado. Un emozione più grande che ritrovare il Sacro Graal in cantina, il cuore che si risana dai buchi degli sbagli, il sorriso che si allarga come un arco teso e il cervello riempito di nuova, incredibile materia su cui costruire la propria futura identità culturale.
Fu lui, quello scrittore sconosciuto dal linguaggio misterioso, ad accogliermi, ad accogliere molti di noi. Insegnò la sua materia come un direttore d'orchestra al concerto di Capodanno: deciso ma giusto, simpatico e sornione, gentile e puntuale, giovane ma competente e preparato.
Ci guidò nelle prove più complicate senza mai farci sentire inadeguati o sciocchi. 
Bastava guardarlo dritto negli occhi per sentirsi sicuri. Era divertente seguirlo nei suoi borbottii contro questo o quel ciarlatano. 

Uno scrittore che ha finito di scrivere il suo libro sul più bello lasciandoci senza strumenti e a bocca aperta. 

Sui tanti visi bagnati dalle lacrime ieri, al suo saluto, si leggeva l'incredulità e lo smarrimento. Ci ha lasciati con il suo passato, ha rotto il presente e ora il nostro futuro ricomincia a coprirsi di buchi, la trama delle nostre pagine comincerà a essere meno comprensibile, più frastagliata e difficile da comprendere, almeno per un po'.

Ma sono sicura che ritroveremo il coraggio di riprendere in mano quello che ci ha insegnato e come giovani amanuensi saneremo le ferite e riempiremo di nuovo quei buchi con le nostre gioie e le nostre vittorie, con la leggerezza di un sorriso o la caparbietà che riverseremo in un nuovo progetto. 

Perché in fondo avevi ragione, la paleografia, da ieri, è diventata leggenda.
Ciao Giovanni.

(E siccome youtube o Blogger.com han deciso di non farmi condividere la sua canzone preferita allora vi passo il link:  http://youtu.be/S9lem-HuTrY )