giovedì 12 marzo 2015

Retrospettiva vacanziera: Mango e i suoi fratelli

Se proprio vogliamo parlarne seriamente, allora sì: ho un problema con le vacanze, che siano estive, invernali, improvvisate, negate, io ho un problema mortifero con le vacanze.

Ricordo nitidamente che da bambina accoglievo tutti coloro che tornavano da qualche settimana all'estero elencando i morti eccellenti di quelle settimane estive grondanti di afa e noia. Era un rituale, mi mettevo lì e li travolgevo con chiacchiere e necrologi. La vittima usuale era mia sorella, povera creatura, che tornava frastornata da ore di jet lag e trasferte in paesi dove regolarmente saltavano in aria autobus, i colpi di stato erano frequenti come il sottocosto del Conad e gli animali meno pericolosi erano tarantole di 30 centimetri. Il mio "bentornata" suonava un po' come "Sei voluta andare in Sri Lanka 3 settimane? Cazzi tuoi, mo' ti becchi la pagina delle necrologie del Carlino cantata".

Poi si cresce. E la storia cambia. Un po' come quando da bambino svegli i tuoi genitori ad orari mattutini improbabili e appena compi 17 anni ti dimentichi del fatto che esistano le ore 6 del mattino. Tu te lo scordi. I tuoi genitori no. Nel mio caso mia madre annunciava al mondo che erano le 8 del mattina di domenica accendendo l'aspirapolvere che probabilmente aveva acquistato nel 1985 ad una rivendita di reattori della NASA. Così avevo lasciato perdere i miei annunci mortuari estivi, ma la gente non aveva smesso di morire.

La morte di Mango mi ha colto impreparata tra le mie lenzuola esattamente l'8 dicembre, quando la mia unica preoccupazione era non rimanere fulminata dalle lucine dell'albero di Natale comprate anni prima presso la stessa rivendita di reattori della NASA di cui mia madre era un'aficionada. Mentre stavo risorgendo da un sonno ristoratore, un sonno vacanziero, quello che si può vivere solo quando lunedì si ritrasforma in una domenica, il mio dolcissimo quanto energico compagno piomba sul letto e mi sveglia premuroso:

"Buongiorno amore, lo sai chi è morto?"

La stessa domanda me l'aveva posta la mattina dell'11 agosto quando, guarda caso, mi godevo i miei unici 5 giorni vacanzieri concessi dall'Alto Comando dell'Oncologia dell'Ufficio 21. Ero lì, in un letto del 1960 ad Abano Terme, dove il tempo si era fermato tra cuffie da bagno con fiorelloni azzurri e grattacieli stile Las Vegas.
"No amore non lo so, sono sveglia da un minuto. Chi è morto?" chiedo banalmente.
"Robhnmihlj Williams". 
No, non è un refuso. Non afferrai il nome. Il che mi catapultò in un'angoscia sconfinata. Robbie Williams? Scherza? No perchè se è morto Robbie Williams mi affogo nella piscina esterna, m'impicco con un biscione di gomma per fare acquagym, mi faccio saltare in aria davanti al tavolo brioches durante la colazione.
"L'attore dai, Robin Williams"
Ecchecazzo, che paura però.

"Buongiorno amore, lo sai chi è morto?"
No, non lo so. Chi sarà mai morto?
"Indovina"
A quanto pare il mio delizioso e sardonico compagno questa volta non vuole corre il rischio di sbagliare ed inventa il toto morto. Alle 9 del mattino dell'8 dicembre.
"Era un cantante italiano e già qui ti aiuto"
Ah beh, effettivamente, avessi detto cantante turkmeno qualche problema l'avrei avuto. Ok, comincio a sciorinare tutti i cantanti italiani che conosco.
"Al Bano"
"No"
"Ok. Meno male. Avrei pianto se fosse stato Al Bano. Toto Cutugno?"
"No"
".... Al Bano..?"
"Ancora! No!"
"Mmmm Umberto Tozzi?"
"No. Ti do un aiuto, aveva 60 anni"
"..."
"Dai! voce particolare"
"Pino Daniele?"
"No"
"Eh, e chi lo ammazza Pino Daniele? Ok mi arrendo"
"MANGO"



Segue un urlo belluino di dolore, mi rifugio sotto le coperte. Piango. Non tanto per Mango. Ma per le scampagnate estive con la sua cassetta in macchina, mia madre bella come il sole, i suoi occhi verdi che riflettono il colore del mare,  sciolta e felice che canticchia "Dove vai?", l'orchite di mio padre nel doversi sorbire 90 minuti di Mango, il caldo della nostra Golf verde, il chiudere gli occhi e sentire subito l'odore del mare, nel silenzio dei pomeriggi caldi colorati di giallo nella mia cameretta a Rivabella. Questo era Mango per me, per noi. Nessuno riuscì mai a sostituirlo, non ci riuscì Lucio Dalla con "Attenti al lupo", ci provò seriamente Antonello Venditti con "Alta Marea". 

Il ritorno al lavoro fu durissimo. L'unica cosa che mi avrebbe tirato su il morale era il pranzo tra colleghi, dove avremmo provato a superare il dolore per la perdita del nostro amato Mango. 
Ma poi, l'incredibile. 
Durante la veglia funebre, il fratello maggiore di Mango, Giovanni, ha un malore e muore. A ruota altri due fratelli si sentono male. Una vera emorragia di Manghi invade il nostro martedì mattina. 
Era questa la notizia. Che insieme a Mango era morto pure suo fratello. E, come se non bastasse, si erano sentiti male anche gli altri componenti della famiglia. 
Tutto quello che ci rimase, in quel mese, fu questo. La strage dei Manghi.

E a me, in quel freddo dicembre di abbandoni, Mango aveva lasciato molto di più. Mi aveva lasciato il sapore del mare e della libertà, mi aveva fatto tornare bambina, quando ero coraggiosa e cantilenavo di morti a chi non voleva sentire.

La lezione di oggi è: godetevi le vacanze, godetevi la famiglia, godetevi il bacio del buongiorno. Al lato mortifero ci penseremo dopo la sveglia.






mercoledì 11 marzo 2015

Chi non muore si rivede

Senza alcun fronzolo, penso che ci sia bisogno di questo blog.
Chiedo venia, ho ammazzato la mia creatura come una di quelle stupide madri con la sindrome di Munchhausen, convinte che l'atto finale le catapulterà nell'olimpo della commiserazione e dell'accettazione universale. Beh, no. Da quando questo piccolo spazio è stato chiuso ho sofferto tutti gli acciacchi che naturalmente s'intrappolavano nel mio cervello e che defluivano non appena appoggiavo le dita sulla tastiera e lasciavo che si componesse una storia, dando libero sfogo al mio dolore e alla mia frustrazione. Un processo creativo pari ai programmi di successo di Japino, per intenderci.

Da quell'ultimo articolo ne sono successe tante. Morti eccelse a destra e manca. Come se Dio mi stesse dicendo di darmi una mossa e ricominciare a scrivere. 
C'è anche chi non si è mai accorto della chiusura del blog e ad ogni decesso continuava a dirmi "Ehi! Scrivi un pezzo su Ars Moriendi!". Grazie ragazzi, anche il vostro Alzheimer incalzante mi ha ridato fiducia.
Tutti questi elementi più uno.
La disoccupazione. O, se preferite, tantissimo tempo per scrivere.



Lavorare per l'Oncologia mi aveva bloccato, avevo il cuore talmente intriso di quasi-morte che scrivere di trapassi aveva smesso di essere una cura. E di lezioni da insegnare non ne avevo più, l'unica che mi sentivo di dare era: qualsiasi cosa stiate facendo, piantatela lì e correte a fare quello che amate perché domani potreste avere un fottuto Glioblastoma e campare solo per pochi mesi. Ero diventata di un gradevole colorito verdognolo, confluivo i miei pensieri di morte sul mio collega di scrivania, il Marmellone, che più di ogni essere vivente presente sulla terra mi spronava a considerare accettabile un eventuale patteggiamento per omicidio preterintenzionale. Non poteva durare. Soprattutto quando il tuo capo applicava al tuo ufficio le stesse regole dell'Ufficio 21 dei Khmer Rossi.

Oggi sono più ottimista. Ho molte lezioni da insegnarvi, nuove di zecca. e tutte molto meno mortifere di quanto mai si possa pensare. Vorrei persino insegnarvi che è possibile lasciarsi il passato alle spalle e cominciare qualcosa di nuovo, che si può risorgere dalle proprie ceneri, si può smettere di essere morti. Tutti possiamo. Tutti tranne Sean Bean, ovviamente.

Quindi, qui e ora, annuncio la rinascita e aggiungo anche la promessa che questo blog morirà solo di morte naturale, senza più annunci strappalacrime o abbandoni di scena. Ogni giorno o quasi vi darò quello che di solito non accettate da vostra madre, ovvero consigli sulla vostra vita. Lo farò come ho sempre fatto, prenderò uno o più morti e vi farò capire che la nostra vita non fa più schifo di quella di Riccardo III  o Robin Williams che, in confronto a noi, sono morti e stramorti.

Di questo blog c'è bisogno. Io ne ho bisogno. Voi pure. 
Pensate che non vi veda lì consumati dall'essere attaccati alla vita e ai suoi stupidi riti? Pensate non sappia che avete cominciato a prendere steroidi guardando "The Lady" di Lori del Santo? Credete che non vi senta canticchiare Nek in autobus?

Avanti, c'è molto materiale su cui lavorare. Vi voglio tutti preparati per l'appuntamento di domani, quindi vi assegno compiti a casa: sostituite Nek e le sue nenie con un classico intramontabile come "Oro".

A domani, e che il triste mietitore sia con voi.

lunedì 14 aprile 2014

Tako Tsubo - Curarsi dalla morte.

Peaches Geldof.
Mickey Rooney.
Ultimate Warrior.

Per dirne tre.
Potrei raccontarvi la loro morte, di due di loro anche la vita. Potrei farvi notare che lo stilista di Ultimate Warrior probabilmente fosse lo stesso di Peaches Geldof. Potrei persino citarvi quel pezzo de "I Simpson" in cui c'è Rooney che scippa la parte di ragazzo ionico a Milhouse.

Potrei.
Ma potrei anche intasarvi il cuore di lacrime. 
Potrei annunciarvi la morte di un amico comune.
Potrei annunciarvi la fine di questo blog.

Lo so che in quanto a minacce d'abbandono sono ormai una diva consumata, una sorta di Callas in carne e tenia, ma potrei essere arrivata a vedere quella luce in fondo al tunnel che da tanto tempo aspettavo di scorgere. Questo caro amico mortifero ha risentito di tutti i miei umori, ha vissuto insieme a me le fasi dell'abbandono, della rinascita, del fallimento e quelle più leggere dell'innamoramento, della noia, della conoscenza. Ora sento arrivato il tempo di andare avanti, verso la luce, e di lasciare libero questo piccolo spazio che ormai richiede le attenzioni di una creatura in fasce.
Una creatura a cui io non posso nemmeno pulire il sederino. E lo dico proprio perché accarezzandolo, scrutandolo e spulciandolo come si fa con i bimbi in età scolare per controllare non ci siano pidocchi, mi sono accorta dopo mesi di aver ricevuto commenti brutalmente negativi sul mio post riguardante Herbalife. 
E non è per quei commenti sprezzanti, attenzione,  ma perché non ci ho mai fatto caso (tra parentesi, adepti dell' Herbalife che difendono il loro guru morto da anni non mi fanno né paura né incazzo; mi fanno pena, poveri cucciolotti smarriti nel sistema piramidale). Sono una mamma assente e abbandono la mia creatura, la uccido se volete, ma lo trovo brutale.
E piagnucolo, lo ammetto, mentre scrivo ascoltando "Hurt" cantata da Johnny Cash. Ve lo ricordate il post su Johnny e June? Io sì. E non solo perché l'ho scritto e ancora non soffro di alzheimer, ma perché in quel momento il mio amico blog mi aiutava a tenere alta la testa e a non vergognarmi del fatto di amare un cretino.
Mi ricordo del sentimental post su Adolf ed Eva, sulla follia familiare di Van Gogh e quello sulla morte di Jenny, l'amata di Forrest Gump. Mi commuovo a ripensare all'impegno e al significato che hanno avuto per me e per voi. E mi commuovo pensando di non aver mai dedicato un post a Mike Bongiorno: sulla storia della bara scomparsa avrei potuto farvi sbellicare per settimane. Ma sono fiera dei piccoli momenti di quotidiana morte che vi regalato. Sul fatto che fossero divertenti ed esecrabili son d'accordo, ma non era per nulla facile partorirli.

Tutti post curavano e allo stesso tempo acuivano il dolore al mio cuore rattoppato.
Come chi beve per non prendersi sul serio.
Come chi fa shopping compulsivo comprando cagnolini di ceramica per poi piangere sul pavimento in posizione fetale.
Come chi ha creato Google +.
Sollievo e dolore, appagamento e consapevolezza dell'errore.

Ecco, io voglio sollievo. Voglio la Vita. Sottile, possibilmente.
Voglio guarire il mio cuore infranto, voglio parlarvi di anziani con evidenti problemi di udito che urlano nei bus, di donne pakistane in costante collegamento telefonico con Islamabad che puliscono corridoi ridendo e cianciando o di tutte le puntate di "Law and Order" dove il furfante di turno riesce a farla franca rifugiandosi a Beirut o facendo lavori per la comunità.
Voglio scrivervi, ma voglio scrivervi lettere di gioia. Per quanto a "gioia" io sia tuttora messa male.
Ma forse più ti concentri sulla disgrazia, sulla fine di qualcuno o qualcosa, allora potrai più difficilmente riavere un inizio, o semplicemente essere capace di dare vita a qualcosa.

Voglio di nuovo provare la sensazione di leggerezza ed euforia che avevo quando aprì questo blog. Trovare il sorriso e scavare di nuovo in tutto quel mio mondo fatto di sarcasmo, novità, e stupore. Frugare nei meandri della mia vita scoprendo nuovi angoli nascosti dove brandelli di esperienza si erano accumulati solitari. 
Qui ormai tutto si riduce a Peaches Geldof e me. Alla sua morte e alla mia Sindrome da Cuore Infranto.
O si muore o si prendono dei beta bloccanti.

Ricorderò questo mio amico elettronico, ricorderò le lacrime e le risate, l'attesa trepidante di consenso, le critiche sedate con affabile diplomazia, l'amore riversato tra le righe. Ricorderò anche le pagine non scritte, quelle piene di aspettative. E soprattutto ricorderò i bestemmioni per il via vai della connessione. Bestemmioni che mi stanno accompagnando anche ora, Madonne che volano manco fossimo a Gatwick.

E per l'ultima, struggente, volta vi lascio il mio insegnamento: fate quello che volete.
Fatelo con umiltà, con attenzione, ma fatelo. Non abbiate rimpianti, non pulitevi i piedi sul cuore di qualcuno, non piantate le vostre mani nello stomaco di chi amate, abbiate cura della vostra mente e del vostro corpo (sì i ciccioni sono simpatici e rubicondi, ma tra John McEnroe e John Candy è meglio tentare di essere come il primo sedato da qualche pillola di Xanax) cercate di essere sinceri verso voi stessi ma non all'esasperazione. Siate chiari. Fate sesso. Ricordate sempre il passato.

A te, fratello telematico, va il mio sempiterno ringraziamento. E anche a tutti voi, delusi neofiti, vecchi appassionati, stanchi detrattori, lo spettacolo è finito, si spengono le luci.
La vita va avanti.
La morte anche.


giovedì 6 febbraio 2014

Quello che non ho visto di Philip Seymour Hoffman

Attenzione, lo dico in anticipo: se siete estimatori rigorosi di Philip Seymour Hoffman o cineasti frustrati dalla vita, tristi e acidi come l'urina di in eroinomane, beh allora andate a leggere il blog dei gatti che si fanno le selfie. Qui oggi non celebro la sua immensa carriera, ma lo incastono nei miei ricordi, lo rendo immortale, ci gioco.
Che questo fosse un blog autoreverenziale l'avevate già capito.



Comunque cinefili non ne abbiate a male, anzi, siate allegri perchè in questo post citerò le sue 3 migliori interpretazioni.
Che purtroppo mi son persa.
Ma state buoni che ci son dei buoni motivi e dei cenni di ravvedimento da parte della sottoscritta.

Leggenda narra di tempi sconosciuti in cui con una tessera Blockbuster si poteva noleggiare qualsiasi porcata avessero messo su DVD. Eccetto i porno.
Potevi comprare qualsiasi genere alimentare al limite della legalità, ma niente porno. Al massimo soft core.
Io noleggiai "Truman Capote - A sangue freddo" e proposi alla mia migliore amica, La Fra, di guardarcelo insieme per non fare sempre la solita figura di quelle che poi non guardano le produzioni holliwoodiane da Oscar. Dopo nemmeno 32 minuti La Fra ribattezzò il capolavoro di Miller  "Dobbiamo per forza vederci 'sta minchiata?".
Per carità, pensai, irritare l'unica amica che mi ritrovo in questo buio 2006 non mi sembra una gran furbata. 32 minuti di Philip Seymour Hoffman. Lui che interpreta Truman Capote, io che spiego alLa contrariata Fra che si tratta di un personaggio molto complesso, lo scrittore famoso per "Colazione da Tiffany", quello che recitò in "Invito a cena con delitto" (quello sì che era un film, convenimmo), della storia sanguinosa della povera famiglia Clutter massacrati da individui freddi e ignobili su cui Truman Capote avrebbe scritto il suo capolavoro "A sangue freddo", per l'appunto, che allo stesso tempo lo avrebbe prosciugato e portato alla deriva.
Niente. Solo uno sguardo del tipo "Mi stai coglionando ?".
Stoppammo il dvd.
Niente Seymour Hoffman. Lui avrebbe vinto l'Oscar per quel maledetto film, io vinsi la grande, solida, infinita, amicizia delLa Fra (che mi garantì anni di visioni di film peggiori, alcuni per intero come "Baciami ancora"e "Sex and the city". Che dire, si peggiora invecchiando.).
Dopo 8 anni noi siamo ancora qui, lui no. Tiè. 1 a 0 per me.

Ma il buon Philip è sopravvissuto più della storia con il mio ex.
L'inizio della fine fu sancito da un film di Hoffman, uno dei più belli, credo, "I Love Radio Rock".
Mi echeggiano ancora nelle orecchie le parole di richiesta di Lui, l'Ex, che mi chiede, in un misto di speranza, rassegnazione e amore, di guardarlo insieme. Ma io no, niente, trincerata dietro a milioni di "no, magari non mi piace", "non oggi, forse domani sera". Scuse. Paura. Rifiuto.
Domani sera che non venne mai, dvd che prese il largo in uno degli scatoloni pieno di ricordi di 8 anni passati insieme. Era un film sul rock, sull'Inghilterra, uno di quei film di cui mi sarei sicuramente innamorata ma che ora sicuramente e ancora più caparbiamente mi rifiuterò di vedere, perchè certi cassetti si devono chiudere a chiave e non tentare di aprire mai più.
Mi si stringe il cuore a pensarlo, mi sanguinano gli occhi a scriverlo.
 E quindi sì, stavolta hai vinto tu, Phil, 1 a 1 pari.

E poi c'è quel film che mi vergogno a confessare di non aver mai visto. Ma che in fatto di cinema io abbia gusti da coprofagi l'avevate capito a "Baciami ancora". Beh, sì, non ho mai e ripeto MAI visto "Il grande Lebowski".
Se la vostra faccia in questo istante è simile alla mia quando inspiegabilmente davanti in me in posta non trovo nessuno, nemmeno l'ombra di un anziano annoiato, allora sappiate che è la stessa che ha fatto il mio attuale ragazzo davanti a questa confessione.
Lui, l'Attuale, chiamiamolo così, è inorridito davanti a questa drammatica verità.
Cominciata così,  elencando una serie di film che, a detta sua, "dai Fede sei una sfigata se non li hai mai visti":
L'Attuale: "2001: odissea nello spazio"
Io: "No"
L'Attuale: "Ok.... "Arancia Meccanica"
Io: "No"
L'Attuale (visibilmente in imbarazzo per la mia palese ignoranza): "Pulp Fiction"
Io: "Ehhhh... quasi... cioè ho provato a guardarlo, ma a pezzi ....no? cioè non tutto ... ma comunque, dai, un po'... "
L'Attuale: "Vabbè, "Il grande Lebowski"
Io:".... no"
Ok, faccio ammenda. Lo schifo di queste dolorose ammissioni turba anche me. Sta di fatto che partirà una massiccia rieducazione cinematografica e penso che, dato il momento celebrativo, "Il grande Lebowski" sia il prossimo candidato. Quindi, caro buon vecchio ciccione biondo, la finiamo pari. Io vedrò un tuo film. Tu creerai un nuovo, bellissimo ricordo.

Lezione di oggi: andate più spesso al cinema. Con gli amici, con le vostre fidanzate o i vostri toy boy di oggi che un domani, forse, saranno ex. E poi, magari, andateci pure da soli. Ma non in quelli zozzi. Ma se ci andate, state attenti.

lunedì 30 dicembre 2013

Bisogna credere nei segni, non nei sogni. Morte del 2013.

Un bel post catartico.
Uno di quelli che parla di fiducia, amore, speranza e magari di fortuna.
Ecco. Leggete un altro blog.

Qui si celebra il funerale di un altro anno da dimenticare che però, a differenza del 2012, è passato rapido e veloce come Schumacher sugli sci.

Ricorderò questo 2013 per la selva di voci e di grida, di contestazioni e discussioni feroci su quasi qualsiasi questione, dai test sugli animali al matrimonio di Belen fino ad arrivare ai milioni di commenti sulla tragica morte di Romboni. 
Sì Romboni. 
Dai, valà, Romboni. 
No, non l'inquilino del terzo piano, Calogero Romboni, quello con due nipotine, no nemmeno Marcone Romboni il salumaio di Via Nazionale. 
Dai, tutti sanno chi è Romboni  a giudicare dal fatto che tutti avessero un commento tecnico-tattico sulla dinamica della sua tragica dipartita. Io no, mi spiace. E nemmeno mi ricordo i film di Paul Walker, ma pare che la tragedia vi abbia consumato di lacrime.
E a parte tutto sto casino, il 2013, come dicevo, è scappato via in fretta, come un ladro che ci sfila il portafoglio in Via Indipendenza portandoci via ben più di qualche banconota 10 euro e una tessera dell' Esselunga. Maledetto 2013, mi hai tolto un altro anno di vita rimpiazzandomelo con un anno d'insuccessi, frustrazioni e Matteo Renzi, mi hai estirpato tutte le lacrime che avevo, quasi ogni giorno di ogni tuo inutile mese io ho pianto. Ti sei preso via i miei sogni, anche quello dove raggiante e magra in un abito a pois di Stella McCartney ballavo felice insieme a Daniel Craig mentre annunciavamo il nostro matrimonio ai nostri migliori amici - George Clooney, Christoph Waltz, Katy Perry e Jello Biafra. 
Un bel sogno in mezzo a tanta frustrazione, non solo mia, ma di quasi tutti i volti che ho visto di recente. Un'insoddisfazione che ci ha lasciato atterriti e desiderosi di una svolta.
E nel 2014, la svolta, ci sarà.
E non solo perchè lo dice Paolo Fox in completo nero e giacca rossa (e qui, signori, c'è della serietà: quando Paolo Fox mette nell'armadio il frac bianco, allora è guerra dichiarata a Saturno o qualsiasi altro pianeta che di solito porta scompiglio nei cicli mestruali femminili), ma perchè se i sogni son morti allora rinascono i segni, non solo quelli zodiacali. Almeno, come al solito, non il mio.



I segni sono importanti.
Per esempio, non ho mai sbattuto così tanto spesso nelle cose come in questi ultimi giorni. Non solo perchè il mio volume corporeo aumenta sempre di più causa cenoni e pranzoni natalizi, ma anche perchè non sono attenta. Ho la testa altrove. Sento il cambiamento. 
Oppure il fatto che la mia nuova cotta Jean Dujardin abbia appena divorziato e io lo sia venuta a sapere oggi.

Anche se il segno che questa volta non c'è solo la morte all'orizzonte me lo da l'incrollabile fiducia nel fallimento collettivo. Posso continuare a fallire, ma questa volta so di non essere sola, ho sentito e visto abbastanza per capire che non avrò l'amore fiabesco e idilliaco di Jean Dujardin ma almeno posso contare sull'affetto di un uomo buono per cui ho combattuto come Signorini contro la neve a Cortina d'Ampezzo, fallirò nella ricerca di un nuovo mestiere, ma almeno saprò cosa volere e che condizioni dettare, perchè a volte l'orgoglio costringe a ripensamenti e negoziazioni. Se avessimo orgoglio collettivo e rispetto per noi stessi allora forse non lavoreremmo come schiavi guadagnando meno dei nostri nonni e rimanendo senza possibiltà di figliare al contrario dei nostri stoici genitori. Continuerò a sbagliare tono, battaglia, attività fisica, abbinamento dei colori, ma almeno so che non sarò la sola a fregarmene e a guardare oltre. 

Uno sguardo oltre. Più vicino all'aldilà forse, ma con gli occhi aperti, lucidi e furbi.
Muori 2013.
E porta con te chi vuoi.

lunedì 16 dicembre 2013

Come mi frega Peter O'Toole

Una delle dieci domande preferite dell'alzheimer di mio padre è "Ma Peter O'Toole è vivo o è già morto?"
Fino ad oggi brancolavo nel buio, rammentavo sparute apparizioni in qualche serie tv, nessun necrologio con la voce impostata e impomatata di Anna Praderio e soprattutto nessuna replica di "Lawrence d'Arabia". Ciò mi portava fieramente a collocarlo tra i prossimi al decesso in un fantamorto tutto mio che tra gli altri prevede Kirk Douglas, Michael Douglas, Davide Mengacci e Gegia (lo so, punto in alto con l'ultimo nome).

Finalmente, diciamolo, il vecchio è crepato. 
E con lui le angosce cinematografiche di mio padre. Per ora.

Poi, in tutto questo bailamme di morti celebri (da Paul Walker "insegna agli angeli a fare le sgumme e di che colore precisamente è Vin Diesel" passando per Lou Reed e arrivando fino a Mandela, per i giornalisti de Il Giornale "padre dell'Apartheid) decido di dedicare l'ars moriendi di oggi a lui per un motivo preciso. 



Peter O'Toole era uno spaccaballe. 
Uno, per capirci, che per vent'anni ansiolizza e tiranneggia la moglie con la sua ubriachezza molesta. Uno che si vanta di sapere tutti i sonetti di Shakespeare a memoria. Uno che rifiuta il titolo di Sir per convinzioni politiche a noi sconosciute (forse anche allo stesso cervello di O'Toole).
Uno che riceve 8 nomination all'Oscar senza mai vincerlo e poi s'incazza quando glielo danno alla carriera, che voglio dire, è lecito, ma Leonardo di Caprio la prende con molto più savoir faire.
Ecco.
Ma quel Peter O'Toole, cresciuto in un collegio di suore, tra i pub di Leeds e le scommesse, un carattere strafottente e burbero ed un animo da poeta (comunque molto affascinante, un ragazzaccio che veniva menato dalle suore. Come non invaghirsene?), era il mio calendario. Sapevo che ad ogni "Ma Peter O'Toole è vivo o è già morto?" avrei trovato un raccordo d'intima intesa familiare con mio padre, una cadenza affettiva che scandiva gli anni, una certezza che mi dava sempre più autorità, mi consacrava come la "memoria di casa Dodi". Ora so che il mio compito sarà ricordare l'anno della dipartita. Ma non sarà più la stessa cosa, la stessa scena seduti davanti al tavolo e ad un piatto di spaghetti al tonno cercando di arginare le derive assistenzial-cattoliche di mia madre.

Attendo fiduciosa un nuovo dialogo padre/figlia basato sulla prossima, nebulosa dipartita di qualcuno. Magari tra qualche giorno sentirò mio padre chiedermi "Ma Kirk Douglas è vivo o è già morto?". E lì, fiera e col sorriso di chi sa, gli darò la risposta che aspetta.

Sempre che Gegia non gnicchi prima.


lunedì 11 novembre 2013

Il disturbatore e il suo contrario.

Mi sembra ieri quando, non so sul serio spiegare come, finii sul sito internet di Gabriele Paolini. In realtà abitavo in un'altra casa, con un pessimo computer e una connessione che risaliva all'incoronazione di Carlo Magno, anno più anno meno.
Il sito grondava pupù.
Letteralmente.
Elogio delle deiezioni umane. Wla pipì, w la pupù.
E non scherzo, giuro. Avrei voluto il blocco per i minorenni.
Se andate ora su http://www.gabrielepaolini.com/html/index.htm troverete toni più miti, ma anche una dura e severa reprimenda verso i comportamenti sessuali di Silvio Berlusconi.
Quindi quando oggi mi è giunta all'orecchio la notizia dell'ingabbio di Paolini, subito il pensiero è volato al caro, vecchio, amico Frajese.



Lontano negli orizzonti del passato, si palesa di fronte a me quel momento speciale, respiro quell'aria frizzante e giocosa. Siamo in Francia, siamo nel 1998 e ci sono i mondiali di calcio. In radio Ricky Martin imperversava con "La Copa De La Vida", da cui ricaverà altri 754 pezzi simili, in tv c'è il nuovo, immancabile, spot della Nike con il solito mucchio di calciatori che si sollazzano tirando calci ad un pallone qua e là nel globo e tutto, serpeggiando nella calura e nell'afa tipicamente italiana, urla e gronda CALCIO. I mondiali sono lì, nell'odiatissima Francia, che per l'occasione brulica di italiani assetati di vino, gnocca e pallone. Tra di loro, Gabriele Paolini, "il disturbatore", sbarcato oltralpe per non chiare ragioni. 

L'occasione si sa, fa l'uomo ladro. E Paolini vede un nugolo di persone attorno ad una telecamera, si avvicina, pensa di fare il suo solito, impunito, show. Sbircia, si appoggia ad uno quegli "irriducibili tifosi", scivola e lo travolge. Il tifoso si rialza e prende inavvertitamente contro al conduttore del servizio, spinto sempre dall'incontenibile ego sovversivo del Paolini.

Ecco che scatta, improvvisa e rapida, la risposta del serio e compito giornalista. 
Una scarica di calcioni nel culo scagliati senza ritegno, ma con classe: per tutta l'aggressione l'inviato del TG1 tiene la mano sull'auricolare non tradendo l'aplomb da gentiluomo di altri tempi dato anche dalla sua cravatta regimental.
E alla fine riprende la diretta con un deciso "Chiedo scusa". A terra, fuori dall'inquadratura, un Paolini neutralizzato come mai, purtroppo, si rivedrà.



Caro buon Frajese, ora tu forse saresti il primo a dare la notizia dell'arresto di Paolini, ma purtroppo non sei più tra noi. La tua calma annoiata, il tuo giornalismo non urlato, i tuoi commenti pacati mentre ci raccontavi il palio di Siena ci mancano molto( Il palio è una metafora, è lo specchio della vita e della morte). Ci piace, ora che finalmente il disturbatore ci risparmierà per un po', ricordare che una volta, fuori da denunce e ridicolo giornalismo sensazionalistico, un paio di sberloni ben assestati male non facevano.


La lezione del giorno è che a volte un paio di calci nel deretano riassestano equilibri che nessun armistizio, tavola rotonda, salotto della D'urso, buona parola di Signorini o tregua possano mai rimettere al loro posto.
Agite di conseguenza. Ma indossate sempre ottime cravatte.

P.S. : oh, visto che Paolini di recente si è buttato nel porno, spero in un film che veda protagonisti lui e la prima moglie del buon Frajese: Marina Hedman Bellis alias Marina Lotar, una delle prime pornostar del cinema italiano. Quanto je roderebbe al buon Paolo!