mercoledì 16 ottobre 2013

La ruota gira per tutti. E a volte esce il Cento.

Ve la ricordate Iva Zanicchi a "Ok il prezzo è giusto"?
In particolare, vi ricordate il fatidico momento in cui i concorrenti si accingevano, madidi di sudore e speranza, a girare la gigantesca ruota colorata piena di numeri mentre il pubblico urlava "CENTO,CENTO,CENTO,CENTO" ?
Ecco, alcuni di loro vedevano sgretolarsi le loro illusioni quando la ruota si ferma sul 20, altri, giulivi bastardi, godono con un 85. E poi ci sono gli eletti, quelli del 100. 



Ma non sempre fare 100 è un gran colpo. 
Magari per Erich Priebke fare 100, e qui parlo dei suoi anni,  è stato il coronamento di una vita che lui considerava immacolata e giusta. Più o meno come se io considerassi la mia alimentazione salutare e variegata.
Per un uomo i cui numeri sono stati fondamentali nella vita (ricorderei per primi quei 5 rastrellati in più nell'eccidio delle Fosse Ardeatine) almeno quanti gli anni, arrivare alla geriatria più estrema, dev'essere stato un puro godimento.
Ma adesso che se n'è andato e vorrei sentire il silenzio della decenza, assaporare la giusta ed indignata indifferenza che si deve ai vili ecco che sono infastidita dal solito trambusto all'italiana. Un enorme carrozzone guidato da lefebvriani ringalluzziti, trainato da neofascisti ubriachi e animato dalle nostre sacre istituzioni deliranti che non sanno dove nascondere il corpo di un nazista centenario. Roba che Riina te lo murava in un pilone di cemento in meno di due minuti, ma se così fosse stato allora ecco che avremmo assistito all'eco di polemiche sterili sulla fattura del cemento, la posizione poco strategica del pilone (va bene il pilone, ma non a Roma, ma il pilone Henningdorf non lo vuole, si può bruciare il pilone?) le manifestazioni neofasciste attorno al pilone, e così via. 

L'unica vicenda della vita di Priebke, ed in generale della società italiana, che non mi convince è la sua partecipazione come giudice della giuria del concorso di bellezza "Star of the Year" nel 2008. Fu il presidente della giuria, ma solo in via telematica (pazzesco), della finale del prestigioso concorso tenutosi a Gallinaro, Frosinone. Manco a dirlo, l'edizione del 2008 non ha filmati disponibili su YouTube. 
Pare che il giudice Priebke non abbia potuto sollevare la paletta per dare un voto alle ragazze, un 5 di disapprovazione o un gustoso 9, ma almeno ha mandato un videomessaggio in cui bacia e abbraccia tutte le giovani donne del concorso.
La degna conclusione dell'evento fu una pioggia torrenziale stile scena iniziale di "C'era un cinese in coma".



Lasciamo che Priebke marcisca velocemente. Lasciamocelo alle spalle. D'altronde gli abbiamo concesso 100 anni per parlare, non esprimersi a favore o contro qualcosa, essere accigliato e scontroso, andare a lavoricchiare dal suo giudice. 
Non ricordiamo lui, ricordiamo quei 335 che non sono potuti arrivare a spegnere la centesima candelina. Quelli che, per intenderci, non hanno girato la ruota.

La lezione di oggi è: la vita, come dice sempre quell'illuminata di mia madre, è una ruota che gira. Ma per qualcuno, se esce il 100, la ruota si ferma e il male ristagna.


domenica 22 settembre 2013

Una pagina scritta.

Vi avevo lasciato con una pagina bianca. Giuro, non era un'uscita da diva. Era solo un momento di sconforto.
E tanti mi hanno confortato. E sconfortato.
Mi son sentita dire che il vero dolore, io, non so nemmeno cosa sia.
Vero.
Se devo essere sincera, la morte non ha mai sfiorato la mia famiglia in modo palpabile. I miei sono ammaccati ma ancora in piedi, gli mancano alcuni organi, alcune funzioni allegoriche, ma tutto sommato se ne stanno lì granitici e non c'è giorno in cui io non ringrazi una divinità a scelta per averli ancora qui, vicino a me. Anche se l'amore è rarefatto e l'affetto è accennato, vederli mi fa sentire semplicemente viva.
Le mie nonne poi son talmente vive che mi sento più vecchia di loro. 
Mi hanno dato della depressa.
Vero.
Ma evito la solita tiritera "Sfido a passare un anno come il mio bla bla bla". Sapete, ognuno passa i propri guai. E alcuni di noi sono riservati, nascondono i loro dolori tra le pieghe delle loro giornate. Io le pieghe le spiano, scuoto i lenzuoli che avvolgono i miei giorni, li stendo e li faccio vedere a tutti, logori e strappati o bianchi e splendenti. Non ne faccio un vanto. Anzi. Mi sento peggio di un tronista di "Uomini e Donne". Colpevolmente vi parlo della mia vita. Nel bene e nel male, nel sorriso sincero dei miei amici e nei silenzi pieni di angoscia del mio lavoro. Negli occhi unici e strabici dell'unica persona che mi sopporta. E che sopporto, quasi come la Pina sopporta Fantozzi o Dudù il cane  il suo padrone Silvio B.
Mi è stato detto che la colpa è mia. O forse me lo son detta da sola. 
Falso.
La colpa di questo dolore che mi attanaglia e mi fa respirare dentro ad un polmone d'acciaio non è SOLO mia. E' colpa della natura che fa fermentare le cisti dentro al mio rene destro. E' colpa del mondo del lavoro e del mercato della cultura che mi ha relegato a rispondere al telefono a malati terminali che non sanno o non vogliono sapere di esserlo. E' colpa delle persone e delle loro insicurezze che non gli permettono di notare la splendida creatura che sono. E' colpa di questo buco dell'ozono.



Christopher Reeve era Superman. Poi, come un Zorro qualsiasi, cadde da cavallo e rimase tetraplegico per oltre nove anni prima di andarsene per sempre. Quello che Reeve c'entra con questo post è che la vita va avanti anche senza il nostro corpo, ma a che pro? 
A volte anche senza il nostro pensiero. Pensate a Eluana Englaro. Pensate alla trappola, rimanere imprigionati nel proprio corpo e nel proprio respiro. Pensate di avere polmoni così rattrappiti da non poter muoversi o un cuore che si ferma perchè ormai è vuoto.

Provocatoriamente il senso di questo post è: Respirate solo se potete essere vivi e coscienti per farlo, camminate e correte verso il futuro, non tornate indietro se non per studiare il passato. 
E soprattutto, non giudicate la gente. Aspettate che sia morta per farlo.



domenica 25 agosto 2013

Una pagina bianca

Domani torno al lavoro.
Le ferie son finite. In effetti 5 giorni di vacanza logorerebbero chiunque. Ma le mie sono cominciate con un funerale e oggi tiro le somme.

Da quando a febbraio dell'anno scorso ho aperto questo piccolo spazio mortifero, la mia vita si è in fretta abituata al grigiore del trapasso e al dolore della perdita, nemmeno avessi aperto una pompe funebri self service. E' come se questo blog fosse ammantato e avvolto da una maledizione sottile che negli ultimi 12 mesi mi ha tolto una vicina di casa, due professori straordinari ai quali ero legata, Amy Winehouse e un Grande Amore.
Ogni volta che le mie dita tozze e stanche battono sui tasti nell'incessante tentativo di rendere digeribile la pietanza indigesta della morte, mi sento leggera. Scrivo per me, scrivo per te, scrivo soprattutto per non scordarmi come si fa (la prova dell'esercizio è una costante da non sottovalutare. La frase "E' come andare in bicicletta" è una frase del menga: io, sebbene passassi le mie giornate fanciullesche sulla preziosissima Graziella di mia nonna, ora son peggio di un reduce del Vietnam, manco so salirci su un trabiccolo a due ruote.) e l'argomento è sul serio l'unico di cui possa vantare conoscenza illimitata, fin da bimba so come si svolge il processo crematorio grazie alle riviste della So. Crem a cui era abbonato per oscuri motivi mio nonno e che da ragazzina divoravo quanto un buon Topolino; mia madre trovava sfizioso raccontare e sviscerare la tematica "funerale" all'ora di pranzo, ancora adesso esprime il suo desiderio di essere cremata e soprattutto che la cerimonia e il tutto, anche i minimi particolari, siano curati dalla sua pompe funebri preferita.

Ma continuare a scrivere diventa un esercizio troppo doloroso dopo l'ennesima perdita, l'ennesimo shock. Tutto mi sembra diventare fin troppo reale, il dolore, la sopraffazione, il tornare ad una vita normale. Io mi arrampico da più di 400 giorni e da 400 giorni cado e mi rialzo. E i miei glutei purtroppo non ne traggono giovamento. 
Son qui per gettare la spugna.
Non riesco ad essere più una buona compagna se mai qualcuno volesse che lo fossi.
Non riesco a lavorare in modo eccellente. Tutt'al più in modo approssimativo e decente. 
Non riesco a non essere piagnucolosa e lamentosa. Provate voi a cadere tutti i giorni per terra e poi guardatevi la faccia allo specchio.
Forse non riesco nemmeno più a scrivere. Ma questa dev'essere la maledizione di questo Ars Moriendi.

Questa volta la lezione vorrei me la deste voi. 
Cosa si fa quando non si riesce più a rimettersi in piedi dopo una caduta?

Per ora, io qui lascio una pagina bianca.

giovedì 22 agosto 2013

Qualcosa che non puoi rimpiazzare.

Ognuno di noi ha la propria storia. La nostra vita scorre veloce, le nostre giornate sono come pagine di un libro, che tipo di libro lo decidiamo noi. Il mio ad esempio sarebbe un album da disegno Disney intervallato da romanzetti rosa anni '50 e picchi di tensione alla Daphne du Maurier.

C'è una persona che ha scritto le pagine del suo libro in un linguaggio antico e ha speso la sua vita a spiegare agli altri come decifrarlo. 
Questa persona mi ha accolto nel primo giorno della mia vita nuova almeno 10 anni fa.



Nella vita si sbaglia, e io che sono campionessa mondiale di magagne, tanti anni fa mi ritrovai in una nuova università con l'imperativo morale di farcela, di dimostrare a me stessa che nonostante la fallimentare condotta scolastica delle scuole superiori una volta arrivata a varcare la soglia universitaria la storia sarebbe cambiata. Non successe così la prima volta: una città inospitale, un corso non adatto a me, pochi compagni con cui condividere appunti, risate e frustrazioni.
Decisi di riprovarci, di tornare alla vera passione. Di seguire il cuore, e quello, manco a dirlo, correva all'indietro verso cavalieri, dame, castelli e maghi.
Così eccomi lì, in un nuova università, circondata da volti nuovi e giovani, di fronte a quell'aula ancora semivuota con un groppo in gola e la paura di sbagliare ancora, ma sul mio personalissimo diario quel giorno di ottobre era segnato come l'inizio di qualcosa di nuovo, in rosso con un pennarello sottile avevo scritto : "Domani prima lezione di STORIA MEDIEVALE! Si comincia con paleografia!!!", abusando di punti esclamativi come avrebbe fatto qualsiasi adolescente innamorata.
Fu davvero l'inizio di qualcosa. In quell'aula trovai Eldorado. Un emozione più grande che ritrovare il Sacro Graal in cantina, il cuore che si risana dai buchi degli sbagli, il sorriso che si allarga come un arco teso e il cervello riempito di nuova, incredibile materia su cui costruire la propria futura identità culturale.
Fu lui, quello scrittore sconosciuto dal linguaggio misterioso, ad accogliermi, ad accogliere molti di noi. Insegnò la sua materia come un direttore d'orchestra al concerto di Capodanno: deciso ma giusto, simpatico e sornione, gentile e puntuale, giovane ma competente e preparato.
Ci guidò nelle prove più complicate senza mai farci sentire inadeguati o sciocchi. 
Bastava guardarlo dritto negli occhi per sentirsi sicuri. Era divertente seguirlo nei suoi borbottii contro questo o quel ciarlatano. 

Uno scrittore che ha finito di scrivere il suo libro sul più bello lasciandoci senza strumenti e a bocca aperta. 

Sui tanti visi bagnati dalle lacrime ieri, al suo saluto, si leggeva l'incredulità e lo smarrimento. Ci ha lasciati con il suo passato, ha rotto il presente e ora il nostro futuro ricomincia a coprirsi di buchi, la trama delle nostre pagine comincerà a essere meno comprensibile, più frastagliata e difficile da comprendere, almeno per un po'.

Ma sono sicura che ritroveremo il coraggio di riprendere in mano quello che ci ha insegnato e come giovani amanuensi saneremo le ferite e riempiremo di nuovo quei buchi con le nostre gioie e le nostre vittorie, con la leggerezza di un sorriso o la caparbietà che riverseremo in un nuovo progetto. 

Perché in fondo avevi ragione, la paleografia, da ieri, è diventata leggenda.
Ciao Giovanni.

(E siccome youtube o Blogger.com han deciso di non farmi condividere la sua canzone preferita allora vi passo il link:  http://youtu.be/S9lem-HuTrY )





mercoledì 14 agosto 2013

Pillole di morte: Casi umani del Club 27.

Il Club 27 è quel club esclusivo a cui appartengono giganti della musica morti prematuramente a 27 anni, nell'apice della loro carriera  e vita, i cui "membri fondatori" furono Brian Jones dei Rolling Stones, Jimi Hendrix, quella matta di Janis Joplin e il tenebroso Jim Morrison, che in comune avevano anche la lettera "J" nel nome o nel cognome.
Poi arrivarono gli altri.
Tipo Kurt Cobain e Amy Winehouse.
Ma c'è un sottobosco di casi umani che popola il Club 27.
Ad esempio il caro Jon Erik Hexum, modello e cantante, che nel 1984 non trovò di meglio da fare che puntarsi alla tempia una pistola caricata a salve e fare bang! ignorando che, sebbene fosse a salve, l'impatto col cranio gli provocasse lesioni tali da ucciderlo dopo una lenta agonia di ben 4 giorni. Una sorta di Roulette Russa soft-core per modelli imbecilli, altro che Christopher Walken ne "Il Cacciatore"al massimo un Renato Pozzetto in "Un povero ricco".
O il dannato Robert Johnson, morto nel 1938 a forza di scolarsi whisky ripieni di stricnina, gentile omaggio del barman particolarmente offeso dal fatto che il giovane bluesman s'inzaborrasse ripetutamente la signora barman. Di lui esistono 3 tombe, molte leggende su come vendette l'anima al diavolo per suonare divinamente la chitarra e qualche buona incisione.
Ma quello che più ha segnato la mia vita è (momento di suspance derivato dal fatto che pronunziare o scrivere il suo nome mi procurerà immani sciagure) Richard James Edwards, dei Manic Street Preachers.
Quello che mi sconvolse fu sapere che Rich uscì dal suo albergo di Londra in una fredda mattina di febbraio del 1995 per scomparire nel nulla più spietato. Trovarono la sua macchina su un ponte noto ai suicidi, tipo il balcone di Giulietta per gl'innamorati o un negozio Prada qualsiasi per i giapponesi. Fu dichiarato morto nel novembre del 2008.
Da allora infesta i miei momenti neri.
Il solo nominarlo o vedere un video dei Manic Street Preachers mi ha fatto rompere piatti, buttare all'aria relazioni sentimentali, ha mandato in crash intere partite dei Sims durate anni, lacrime e sangue.




La lezione è che benchè tu faccia parte di un Club, anche il più esclusivo, ciò non significa che tu sia per forza un figo.
Buon ferragosto a tutti, state lontani da droga, ponti, barman o pistole a salve. Al massimo fate come il PD: puntate ai vostri coglioni e fate fuoco.

mercoledì 7 agosto 2013

E poi non mi accorgo che alcuni muoiono.

Non so nemmeno come ci sono arrivata a guardare su youtube i video "In Memoriam" delle varie edizioni degli Oscar. Anzi sì, mi è venuto in mente. Cercavo qualche chicca su Law and Order, uno dei miei caposaldi in fatto di serie tv, e mi sono imbattuta in Jerry Orbach.
Dai, Jerry Orbach, il papà di Baby.
Dai, Baby, quella di "Nessuno può mettere Baby in un angolo".
Ecco, il papà di Baby era Jerry Orbach. Ma io voglio ricordarmelo come, il poliziotto, l'ex alcolista, l'irlandese, il pluridivorziato, tutto in un unico personaggio: Lennie Briscoe.
 
 
 
Sapevo della sua dipartita. Ma mi sono accorta, guardando i vari video, che mi sono persa un sacco di altre, croccanti, dipartite.
Tipo.
Ma voi lo sapevate che era morto Michael Chricton, lo scrittore di Jurassic Park, Congo e E.R.?
E Dennis Hopper? Cristo, Dennis Hopper. E' morto e io me lo sono perso.
E il Maestro Miyagi.
Così mi son guardata tutti i video, tutti i volti, tutte quelle persone che ballavano, piangevano, ridevano.
E mi sono intristita.
Naturale, se guardi immagini di gente morta prima o poi dovrai intristirti. Non è mica come guardare Max Pezzali afono piangere, quello rallegra i cuori e i timpani.
Sarà la musica classica o Celin Dion che canta col suo naso adunco e quegli occhi da cucciola bastonata, sarà Bologna d'agosto che mi tiene prigioniera, sarà il mio futuro che mi sembra quello di un'altra, ma tutte quei personaggi le cui vite son state spalmate in 3 minuti di video mi han reso triste
Gli applausi che impennano su un Marlon Brando o una Liz Taylor e si smorzano su visi sconosciuti poi, beh quelli mi stringono il cuore.
 
 
 
E' vero, non possiamo ricordarci di tutti, ci ricordiamo i migliori.
E a volte, come è capitato a me, ti scordi anche di loro.
 
Mi aggiro nei corridoi del reparto di oncologia dove lavoro come uno zombie sorridente. Uno zombie sorridente di 70 chili, rallentata nei movimenti e in pieno stato catatonico.
Guardo i volti di quelle persone e mi sembrano tutti uguali: le parrucche sono sempre le stesse biondo cenere con meches scure (un vero trend a quanto pare), le cicatrici scavate nel cranio, i cappelli e gli occhiali scuri che nascondono teste pelate e occhi pieni di sconforto.
Sono quasi indifferente al loro dolore. Non voglio conoscerne i nomi e le storie.
So che non potrò ricordarmi di tutti nel momento in cui la luce se ne andrà.
Forse è per questo che ho rimosso Dennis Hopper.
Forse è per questo che continuo a pensare che mia zia Olga sia ancora viva o che Lady Diana e Madre Teresa siano zompettanti tra un campo minato e uno slum indiano.
Non ho più spazio nel mio cervello, ma soprattutto nel mio cuore.

Concludo solo dicendo che forse dovrei lavorare come fioraia in un angolo solitario del mondo, che dovrei vedere più vita, vivere meglio e morire meno.

La lezione di oggi è che il mio cervello è chiuso per ferie mentre il mio corpo è costretto a lavorare: non sarò divertente, ma la morte non può essere sempre divertente.
Almeno non quanto i video "In memoriam".

sabato 13 luglio 2013

La Posta del Cuore: Abelardo ed Eloisa

Capita che nella vita, sventuratamente, ci s'innamori.
O perlomeno che ci si arrivi vicino, tanto da sfiorare quel momento d'inesplicabile gioia che dipende da altro rispetto a noi stessi. Fosse anche un dannatissimo Magnum al cioccolato bianco.
Capita dunque che si perda la testa, la cognizione anche minima dei classici doveri giornalieri. Ci si perde in un mondo di nebbia rosa e cuoricini svolazzanti. Salvo poi sbattere il muso a terra alle prime avvisaglie di quelli che sono i pericoli e le insidie dell'amore.
Oggi mi dedicavo all'edificante lettura di un settimanale femminile consigliatomi dal mio edicolante del venerdì sera (quello a cui di solito chiedo L'Espresso e che di solito mi suggerisce Gioia o Grazia o Rakam - Speciale punto croce) e rabbrividivo.
Leggevo la lettera sconsolata di una giovane 22enne che si lamentava che il suo ragazzo 23 anni non le dicesse mai "Ti amo", a lui bastava dirle "se son qua vuol dire che ci tengo, no?". Abbastanza agghiacciata dalla dimostrazione d'affetto maschile, dolce come la classica Kleenex di carta vetrata sui genitali, leggo la risposta dell'esperta (la qualifica di esperta mi basisce sempre un po': esperta de che? De limoni in macchina? Di amore coniugale over 50? Fanno dei corsi da "Esperta di posta del cuore"? Fosse per me risponderei a tutte, sempre, con raffiche di link di Pornhub)
L'esperta consiglia di "educare" il fidanzato al romanticismo a suon di film, libri, letterine d'amore.
Allora, manco un Dobermann potrebbe patire tale "educazione", andrebbe soppresso per i latrati da sofferenza dopo il primo film con Julia Roberts. Ma poi, perchè "educare" qualcuno a qualcosa per cui non si è portati? Sarebbe come provare ad educare Paris Hilton all'uso delle mutande.



La verità è che le letterine d'amore funzionano quando si è separati, lontani.
Come facevano quei due gagliardi di Abelardo ed Eloisa.
Lui, giovane figo chierico dalla carriera illustre di teologo, lei giovane pischella intelligente e colta quanto basta per essere donna nel 1116.
La storia comincia con lui che fa da precettore a lei, da cosa nasce cosa, baci di qui, baci di lì, una mano su una tetta e tac! Eloisa e Abelardo si amano illecitamente, scappano, si sposano in gran segreto, ma per evitare scandali, derivati soprattutto dal fatto che Abelardo nella sua condizione di chierico non potesse contrarre matrimonio, quest'ultimo decide di allontanare Eloisa mandandola in convento.
I parenti di lei non gradiscono questa sorta di "ripudio" e pensano bene di evirare Abelardo.
 
Così, i due sventurati amanti, passano il resto delle loro vite lontani l'uno dal corpo dell'altro.
Ma Eloisa, sempre perduta nell'amore per Abelardo, gli scriverà struggenti lettere d'amore ricordando i tempi della loro grande passione.
A lei mancava quel "momento d'inesplicabile gioia che dipende da altro rispetto a noi stessi".
A lui mancava soprattutto il pene.
Abelardo la riporta ai suoi doveri di badessa, le ricorda di pregare e studiare, di smettere di rivangare quei momenti (tutti quei turbamenti sessuali dovevano agitare il moncherino del povero chierico stile coda mozzata di un boxer felice di vedere il padrone).
Lei allora, mordendosi le labbra dal pianto e dal desiderio, gli scriverà le righe più forti che una donna possa scrivere ad un uomo:
«Perché la sublimazione si dovrebbe raggiungere soltanto annichilendo i sensi e il sentimento d'amore che si prova verso un'altra persona?»
Da quel momento smetterà di scrivere al suo amato. Per orgoglio, per rabbia o forse solo per rassegnazione.
 
Abelardo dopo la sua morte verrà sepolto nel monastero di Eloisa, che a sua volta esprimerà il desiderio di essere sepolta col suo amato al momento della sua morte. Leggenda vuole che al momento dell'inumazione di Eloisa, le braccia del cadavere di Abelardo si schiudessero in dolce abbraccio accogliente.
 
Quindi, mia cara sventurata innamorata 22enne lascia perdere le letterine.
Fosse per me, ripeto, comincerei ad esplorare qualche sezione di Pornhub col tuo fidanzato. Magari non avrai un "Ti amo", ma fidati di me, avrai rilassatezza, fedeltà e una roccia solida e dura su cui appoggiarti.
 
La lezione di oggi è che a volte bisogna sapere quando frenarsi. Altre volte bisogna usare tutto il cuore che si ha. Prima che diventi anche quello un moncherino.

«Non ho voluto soddisfare la mia volontà e il mio piacere, ma te e il tuo piacere, lo sai bene».
Eloisa