venerdì 27 marzo 2015

Il mio amico Riccardo

Ho scritto e riscritto questo preambolo per ore. Sul serio.
Ora, dovete sapere che quando scrivo uso un sottofondo musicale adatto all'esigenza del caso.
Sono partita con i Roxette. Evidentemente mi sentivo anni '90. Ma scrivere con i Roxette che ti urlano nelle orecchie, oltre che controproducente, è altamente nocivo.
Non hanno funzionato nemmeno i madrigali inglesi. Troppo solenni. Troppo stucchevoli.
Per Riccardo III e questo specifico post ho dovuto rispolverare le mie emozioni musicali. Ho rievocato tutte quelle canzoni che mi han cresciuto a schiaffi in faccia.

Parto con "Love is all around" dei Wet Wet Wet. Che sì, fa anni '90 come i Roxette, ma in maniera più educata.

Riccardo III e io ci conosciamo da molto tempo, più o meno da quando lui rimaneva un gobbo bastardo e io una ragazzina felice. C'era intesa, avevamo feeling, con quel suo caschetto nero lo si può a pieno titolo definire il precursore di Severus Piton. E io ho un debole per i tipi cattivissimi che poi si scopre che hanno il cuore d'oro. Sapevo che dietro l'acrimonia di Shakespeare c'era la mano guantata e viscida dei Tudor, non mi sono mai fermata solo a quello che vedevo o leggevo. Altrimenti a quest'ora avrei tutta la filmografia di Mel Gibson.
Me ne restavo lì in camera mia con un cd dei Lagwagon nello stereo e un libro in mano, incastrata tra la lucida vendetta di Amleto e la perfidia pagliaccesca del mio Riccardo. E mi divertivo. Mi bastavo come i matti bastano a loro stessi.




(Ecco, qui passo a "Back to black" di Amy Winehouse. Si entra nel campo delle sepolture e dei momenti bui.)

Ricordo ancora quando nemmeno 3 anni fa scoprirono i suoi poveri resti in un parcheggio. Stava finendo l'estate, era già settembre, l'autunno incalzava tristemente sulle nostre teste, in particolare sulla mia e quella di Riccardo. Vedere quella schiena impietosamente scolpita dalla scoliosi, quel cranio fracassato, quella sconfitta impressa nella cartilagine.
Tutto urlava dolore.
Soprattutto io cadendo dalle scale la sera del mio trentesimo compleanno.
Tendo sempre a manifestare più empatia del dovuto.




(Mi s'inceppa Spotify su "1950" del Maestro Minghi. Operazione nostalgia.)

Alla fine salto sulla sedia domenica scorsa quando leggo per caso che giovedì ci sarebbe stato il rito funebre.
Così spunta una semplice bara di legno con sopra tre rose bianche, un composto silenzio, tanti cavalieri medievali che scortano il feretro. Comincia la febbrile attesa per dargli il mio saluto.
Quante serate a urlare "Un cavallo!Un cavallo!Il mio regno per un fottutissimo cavallo!" con in mano una Ceres e 17 anni addosso.
Sarei stata davanti al mio PC. Sarei stata lì, con gli occhi sgranati e un fazzoletto in mano. Ma questa volta, niente siti vietati.
Già mi ero commossa con il lontano discendente falegname canadese che con le sue mani ha levigato e smussato 530 anni di storia costruendo quella semplice bara di legno.
Sono nata per le celebrazioni, mi rivedo ancora lì, sul mio divano, in tacchi e cappello con veletta durante il matrimonio di Kate e William. Lì col mio sorriso beato e un ospite al mio fianco. Io come Riccardo e lui come il duca di Buckingham.
Perché se c'è una cosa che ho imparato dalla storia è che c'è sempre un duca di Buckingham pronto a fotterti.

(Parte a tradimento "Feeling Oblivion" dei Turin Brakes. Spazio alle lacrime. Scusate se mi rivolgo direttamente al defunto, ma gli devo una spiegazione)

E niente. Come solo la vita può stupirti, ho saltato il tuo funerale, Ric.
Non è stata colpa mia, per carità, avrei voluto esserci. Ma il mio arrapante senologo ha ritenuto di dovermi fare una biopsia, giusto per star sereni. E noi vogliamo star sereni, vero?
Abbiamo passato troppo tempo in balìa di persone che ci han recensito male e trattato peggio, mio caro Ric. Ora come ora sarà meglio ristabilire la verità storica: tu sei stato un buon re per quanto si potesse esser buoni nel medioevo e io son stata un po' troppo sfigata di recente.
I trentanni non sono facili per nessuno. C'è chi cerca di innamorarsi, chi un lavoro serio, chi di governare un paese.
Non pensare che dal 1485 qualcosa sia cambiato, per carità. I problemi sono gli stessi, a parte la dissenteria, di quella non si muore più. Almeno non qui. E per quanto mi riguarda, non ora.
Navighiamo sempre nell'incertezza di un futuro, non capendo nemmeno di chi possiamo fidarci, nemmeno in seno alla nostra famiglia. Che mica solo i tuoi fratelli erano strani. La differenza tra tuo fratello George e mia sorella è che mentre lui annegava nella malvasia, la mia consanguinea si dava al Cointreau.



Comunque la cerimonia è stata bella, l'ho vista e vissuta tramite qualche foto e qualche video. Muoio d'invidia per il fatto che Benedict Cumberbatch abbia recitato una poesia al tuo maledetto funerale. Al mio al massimo chiameranno Gianni Drudi. Che poi "Fiki Fiki" dal vivo rende benissimo. Dovrò trovare un collegamento genealogico tra me e Gianni a questo punto.
Spero che i prossimi 530 anni siano con te molto più clementi di questi ultimi, che la gente possa conoscere il tuo amore per la musica, le tue giuste misure a favore dei poveri del tuo regno, la tua sincera devozione per tua moglie. Lo spero. Gente come me, te e tanti altri ancora meritano redenzione.
La lezione questa volta l'abbiamo imparata.


Lascia che anche io ti dedichi qualche verso. Lo faccio attraverso una canzone che amo.
Ciao Riccardo, è stato un vero onore averti come amico.

"I used to be a little boy
So old in my shoes
And what i choose is my choice
What's a boy supposed to do?
The killer in me is the killer in you
My love
I send this smile over to you"


(e poi, finita "Disarm" mi parte improvvisa "Mr. Coffe" dei Lagwagon. Scusate, vado a ballare)


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