L'unico spazio dove la morte può essere maestra di vita. Prendetevi da bere, sedetevi e leggete perché la vostra vita fa meno schifo di quel che pensate. Possono spiegarvelo Amy Winehouse, Vincent Van Gogh o Caterina d'Aragona, se volete. L'importante è che non crediate ai miracoli: solo vita e morte.
That's it!
David Coulthard, famoso pilota di Formula 1 e mascella quadrata peggio di Ridge, sta per partecipare ad una trasmissione mattutina della BBC1 , è sabato e deve stare in una finta cucina mentre il solito presentatore babbeo gli chiede le solite cose sul solito circo della Formula 1. Tutto sommato non gli va male. Poi, poco prima di entrare in quella finta cucina, qualcuno gli sussurra piano che sua sorella Lynsay è morta.
David Coulthard è seduto su uno sgabello e guarda un tipo cicciotto vestito di nero preparare una pastella. Il tipo cicciotto, guarda caso, gli fa domande sulla Formula 1 e David, elegante e casual allo stesso tempo vestito in giacca nera e camicia bianca, risponde velocemente con il suo tipico accento scozzese. Nel frattempo, in Scozia, a Crossmichaels, la sorella Lynsay giace senza vita nella sua deliziosa casetta, con la polizia e il coroner intorno a lei. E David si tiene stretto nella mascella il dolore e lo sgomento, lì, a chilometri da lei, davanti ad una pastella.
Lynsay Coulthard aveva 35 anni, una bambina di otto mesi, un marito rubicondo, un lavoro come infermiera e la totale dedizione al fratello di cui gestiva il museo a lui dedicato a Twynholm.
In tutto questo, oltre al dolore, c'è una verità che mi gela il sangue: qualcuno ha dedicato un museo a Coulthard. Poco importa sia stata la stessa Lynsay.
Le lezioni di oggi sono poche ma semplici: non importa quanto veloce corra la tua vita, arriverà il momento in cui ti dovrai fermare. E forse non sarà piacevole.
La vita è breve. Mi sembra suoni abbastanza chiaro il concetto ogni volta che mi trovo a scrivere questo blog. La vita è breve per starsene seduti su un divano a crucciarsi. Un giorno fai visite guidate in un museo dedicato a tuo fratello e il giorno dopo sei distesa per terra a bocconi.
Alziamoci dal divano e aspettiamo che dedichino a noi un museo.
Ed eccomi lì tranquilla a guardare Deejay chiama Italia (sì, lo confesso, ho un assoluto ed ingiustificabile debole sessuale per Nicola Savino) quando, da una rapida occhiata su Twitter e Facebook, scopro l'inimmaginabile: Papa Ratzinger si dimette.
La faccia di Joseph è sempre la stessa, abbattuta, un po' imbarazzata. "Non ho più le forze".
E devo dire che ieri ne ho lette di tutti i colori. E sì, ammetto candidamente che ho riso molto per certe foto e certi commenti.
Ma uno in particolare mi ha urtato, ha cozzato contro le mie ossicina. Un commento fastidioso come una zanzara, ma soprattutto ammantato di quel tono nazionalpopolare-ipocrita-buonista che mi fa rizzare i capelli. Così stamattina ho subito cercato quelle parole sciolte e senza intelligenza. Volevo commentare a mia volta. Niente. Non ho trovato nemmeno un punto di quella frase. Proverò comunque a ripeterne il non-senso.
Il sedicente intellettuale nazionalpopolare polemizzava sulla caratura morale di Ratzinger, lo infamava sottilineando la mollezza fisica e morale di fianco all'immenso sacrificio del predecessore, un pontefice umile e immenso.
Certe volte dimentichiamo di essere umani. Certe volte dimentichiamo che siamo TUTTI esseri umani, tolta forse l'infermiera Patrizia dell'ASL di Casalecchio addetta all'analisi delle urine, lei no, lei è un cazzo di cyborg.
Siamo esseri umani dunque, abbiamo delle scelte da compiere ogni giorno, pensate alla classica Casalinga di Voghera e a Benedetto XVI. La lucidità, l'impegno e la forza fisica consentiranno sia alla Casalinga che a Benedetto di compiere azioni giuste nel modo giusto o anche di compiere azioni sbagliate, moralmente discutibili, prendere posizioni non condivisibili, nel modo giusto. Per la Casalinga si tratterà di un tradimento sessuale sadomaso ai danni del marito ragioniere con l'idraulico/falegname/ciappinaro di turno mentre per Benedetto si parlerà di lotte intestine al Vaticano, di decisioni per il futuro della Chiesa Cattolica e di scandali ora da coprire, ora da affrontare. Senza lucidità o impegno o forza fisica, entrambi compiranno azioni sbagliate nel modo sbagliato.
E ci scordiamo, e si scorda il sedicente intellettuale nazionalpopolare, che a volte portare una croce e guidare un gregge allo stesso tempo richiede lucidità, impegno e forza fisica. Benedetto è sempre stato un teologo, sempre in biblioteca a studiare, a scrivere e teorizzare mentre magari un branco di cardinali seduti in fondo alla biblioteca faceva casino che non si riusciva nemmeno a leggere in pace, guarda te. Un uomo del genere, un freddo teologo, un dialogatore, pensa a guidare lucidamente le persone che lo attorniano. Un uomo così non è adatto al martirio fisico, è un uomo che riconosce i propri limiti, soprattutto fisici, di anziano. Perchè ad 86 anni, chiunque, tranne la regina Elisabetta (cyborg), ha bisogno di fermarsi, fisicamente. Benedetto non voleva essere un cieco che guida altri ciechi, riconosciamogli dunque l'onestà intellettuale.
Giovanni Paolo II era diverso. Lasciate stare la facciata da tenero labrador indifeso che lo ha contraddistinto. Giovannino era un duro, un eroe, uno di quelli che combatteva le iniquità in un italo-polacco da far paura anche a Skeletor. Da eroe se n'è voluto andare. Fino all'ultimo respiro è stato lì, presente. O assente. Devastato dal Parkinson, fisicamente una carcassa, Giovannino non ha mollato. Nel bene e nel male.
La mia laurea in storia medievale m'insegna che i papi di allora erano molto più goliardici e compagnoni e che per fare un nuovo papa non per forza si doveva aspettare che quello in carica fosse morto. Addirittura il povero papa Formoso un anno dopo la sua morte fu riesumato e condannato per malefatte che , forse, aveva compiuto durante il suo pontificato. Uno scheletro di un passato che si voleva abiurare, nascondere e sprofessare, adagiato con tutti i paramenti su uno scranno. Che spettacolo osceno. Un po' come guardare Andreotti in Senato.
Questo paragone Ratzinger-Giovanni Paolo mi ricorda le storie d'amore. Paragonare il papa precedente al papa che abbiamo ora è sbagliato. A volte ci possono mancare le gentilezze e le carinerie, l'impetuosa voglia di viaggiare per il mondo o l'amore per gli animali, ma ogni papa che viene eletto porta con se nuovi modi di gestire il proprio mondo, qualche decisione ci lascerà l'amaro in bocca, qualche altra ci regalerà sorrisi ed emozioni imparagonabili ad altre mai vissute. Puoi solo sperare che non molli il pontificato, come Ratzinger. E' questo che significa "morto un papa se ne fa un altro", accettare il fatto che il cambiamento, quando arriverà, potrà non piacerci o spaventarci, ma sempre di cambiamento si tratta. Una nuova fase della nostra vita. Da fedeli o non.
La lezione di oggi è che morto un papa se ne fa un altro. Senza il bisogno di disseppellire il predecessore per fare paragoni o accuse. Speriamo che questo papa non molli.
Da oggi si apre la stagione della gioia. O almeno ci provo.
Basta con le lacrime da abbandono, basta con tutta questa tristezza che mi ammanta stile pelliccia Annabella di Pavia.
Oggi si sorride, complice il bel sole e le cazzate di Berlusconi.
Ebbene sì, Ars Moriendi si schiera fieramente dalla parte dei morti, non certo da quella dei non-morti.
A parte la restituzione dell'IMU (cose che, bene chiarirlo qui, è una cosa possibile come possibile è la glaciazione del regno degl'inferi. E per molti, il regno degl'inferi, manco esiste.) la cosa più esilarante è stato l'accenno al cosiddetto "Condono Tombale".
Ora, qui ci occupiamo di morte quotidianamente, e il condono tombale, già dal nome, ci porta ad una questione inerente al decesso: la morte della nostra dignità, morale e fiscale.
In sostanza, se avete compilato male la vostra dichiarazione dei redditi perchè il vostro commercialista è scappato a Courmayer con i vostri soldi o se voi siete il commercialista scappato a Courmayer e non vi sognate nemmeno di fare la dichiarazione dei redditi, ecco allora che per voi arriva il Condono Tombale, in meno di un minuto mia Nonna che ha sbagliato a redigere una voce e un Briatore a caso che si è accidentalmente scordato di informare lo stato dei suoi svariegati SUV, yachts, Trillionaire e Apprendisti, sono magicamente lindi, puliti e senza macchia di fronte alla macchina fiscale.
Come il vecchio paragone della madre che ruba una mela per sfamare i suoi bambini e il milionario ingordo che froda i poveri. Uguali.
L'unica cosa che adoro del Condono Tombale è l'aggettivo Tombale.
Perchè chi lo propone dovrebbe pensare piuttosto ad una Lastra Tombale. La sua, possibilmente.
La pillola di oggi è: il silenzio tombale è la risposta migliore a chi propone un condono tombale. Magari non avrete indietro l'IMU, ma avrete salva l'anima.
Quando tutto volge al meglio, quando sembra quasi che la tua vita stia per prendere una direzione non del tutto marcia, allora è lì che succede qualcosa che stoppa il processo di evoluzione verso la serenità.
Un conto infatti è vedere gli scatoloni che si accalcano in casa tua manco fossi nel magazzino dell'Oviesse, un altro è sentire il tuo coinquilino pronunciare la frase "Lunedì me ne vado".
E così ti rannicchi in un angolo del divano, piangi pensando ad ogni singolo momento degli ultimi 8 anni passati con lui, li rivedi nitidi ma al rallentatore. Ogni fotogramma, più vai avanti, più t'induce conati di vomito e spasmi asmatici. Pensavi di esser forte abbastanza per stare sola ad affrontare 55 mq. Di giorno è facile. E la notte si dorme. E' la sera che frega.
Le case intrappolano. Real Time ci ha fatto un programma dal titolo molto esplicito "Sepolti in casa".
Ma Real Time ha anche 18 programmi diversi sull'essere obesi, quindi mi sembra che non sappia bene cosa voglia dire essere "Sepolti in casa".
Ma come sempre, partiamo dal principio. E il principio si chiama Alexis Vidakis.
Sì, sì, lo so, allusioni al fuoco, alla carne e all'ardente desiderio associato alla sua morte son stati di cattivo gusto, chiedo venia. Ma come solevo dire a 3 anni "Sono solo un essere umano" (mia madre va pazza di questo piccolo aneddoto).
Alexis Vidakis io lo conoscevo attraverso i racconti di un'Amica. Schivo, taciturno, produttore di documentari per la RAI. Ecco quel che so di lui. E che sa di lui la mia Amica, che pure con lui aveva parlato per questioni condominiali.
Alexis Vidakis è morto nel rogo della sua casa insieme alla madre. Come raccontano i quotidiani, la casa era invasa da cumuli di giornali, scartoffie, sporcizia. Armadi vuoti ma pavimenti pieni di qualsiasi cosa, vestiti, libri, ricordi.
Alexis Vidakis era un uomo colto, possedeva i diritti di distribuzione di opere di Tarkovsky e di Sergej M. Ejzenštejn, eppure nessuno lo vedeva da anni. Alcuni erano convinti fosse partito per la Grecia o per la Russia. Il regista Bellocchio lo aveva ringraziato nei titoli di coda di un suo film. Aveva prestato la sua Fiat 600 ad Enrico Ghezzi, che ovviamente gliela restituì incidentata.
Perchè una vita così piena è rimasta soffocata tra quattro mura?
Di case, Vidakis e mamma, ne avevano 3. Due erano vuote. Una delle due è vuota, fredda, senza finestre o rubinetti. Lo so, me lo ha detto la mia Amica. Due case vuote e una strapiena, straripante di ricordi, frammenti di vita, quotidianità.
In un attimo le fiamme hanno divorato due esistenze, due tipi diversi di memoria del passato, un enorme bagaglio di esperienze sparse alla rinfusa tra il loro cuore ed il loro pavimento. E' così quando le cose t'intrappolano. Quando non riesci a fare ordine nella tua vita perchè dentro di te sei esploso e i pezzettini del tuo io son sparsi tra la milza, i reni e il condotto lacrimale.
Tutto quel fumo e tutte quelle fiamme hanno risparmiato solo un gatto. Il gatto dei Vidakis. La creaturina si era rintanata sotto una pletora di cuscini. Salvando la pellaccia ed esaurendo una delle sue 7 vite.
Così ora riguardo quel mio angolo di divano e penso che sia meglio farsi un giretto sotto questo splendido sole di ghiaccio piuttosto che rintanarsi nella propria casa nascondendo il dolore ed accumulando ricordi per terra o assemblandoli in tanti fotogrammi di disperazione stile scalinata di Odessa ne "La corazzata Potemkin".
La lezione di oggi è che per superare un dolore che ci rimane attaccato come una macchia di vaselina su un vestito beige di H&M da 7 euro e 95 cent, bisogna uscire dalle tenaglie delle trappole, togliere le foto di un passato ormai andato e sorridere al futuro pensando ai propri amici, al lavoro, alla propria casa e, nel mio caso, ad un "ciccione" che mi vuole molto bene.
Per la macchia di vaselina attendo consigli.
Fra, questo post è per te. Sono sicura che ora sentirai meno freddo provenire dalla casa di fianco. E comunque tra un po' è estate.
Ho aperto questo scoppiettante 2013 con una marea di cose buone.
Io e il mio coinquilino ci vediamo al massimo due ore al giorno, facciamo delle sane chiacchiere mentre impacchetta la sua roba e intanto progetto come riempire armadi, cassetti, vani della libreria con tutte le mie amatissime cianfrusaglie.
Il mio incessante bisogno di essere amata/apprezzata/coccolata/spronata come al solito non attecchisce su mia madre, ma in compenso trovo che mio padre si stia appliccando molto su questo aspetto. Posso concludere che il 50% dei miei genitori è sano. L'altro 50 è trattabile.
I miei amici sono sempre lì, fermi, granitici, alle prese con le solite cose: squadre omicidi, quadri di Schiele, aerei della Ryanair, dottorati e dottorate.
Ho trovato anche una trastullante occupazione che mi ha allontanato da questo mio splendido parlar di trapassi ma che ha riempito il mio conto corrente.
E poi sì, diciamo che c'è qualcuno che mi fa ridere. E ridere è una delle cose che voglio fare di più quest'anno. E ridere con qualcuno che riesce ad esser più stupido di te è impagabile. Quindi grazie mio piccolo stupido fan.
Finito di scrivere sciocchezze da adolescente innamorata, passiamo a noi.
Di carne sul fuoco ce n'è a volontà, potrei ad esempio parlarvi della morte di Alexis Vidakis, produttore televisivo e cinematografico morto nel rogo della sua casa domenica proprio qui a Bologna. E mi rendo conto rileggendo che "di carne sul fuoco ce n'è a volontà" rende l'idea. Ma no, non oggi. Vi lascio ardere dalla curiosità.
Oggi vi parlo del Labrador di George Michael.
Poco tempo fa, non ricordo nemmeno perchè, stavo leggendo delle biografie su Wikipedia. Grandi personaggi della storia inglese, che hanno reso la Gran Bretagna un paese forte e non convenzionale, tipo Elton John, Jay Kay, i Five. E lui, Georgios Kyriacos Panayiotou, ovvero George Michael.
George Michael, tutti ce lo ricordiamo in "Last Christmas" con quei suoi vaporosi capelli biondi, quello sguardo ammaliatore nascosto da un cappuccio di pelliccia, quei suoi amici con addosso plaid e tovaglie che evidentemente negli anni '80 venivano usati come giacconi, e il povero Andy Ridgeley, altro sconosciuto membro degli Wham!, conciato come Milo Infante.
Come dimenticare la misuratezza delle mises di Georgios in "Wake me up before you go-go": mutande contenitive spacciate per pantaloncini bicolor, guanti gialli alla Topolino e maglia da profeta new age che anticipa gli anni '90 con scritto "Choose Life". E glissiamo sul cappellino da fronte abissino che han fatto mettere al povero Andy.
George Michael era energia pura in quegl'anni. Le donne, ignare dell'orientamento sessuale di Georgie, lo adoravano. Ecco. Io magari non ero adolescente negli anni '80, ma qualche domanda me la sarei fatta comunque. Magari guardando il trionfo della cultura gay presente in "Club Tropicana", dove vieni accolto da un uomo baffuto, simbolo del macho gay e da un Georgie in slippino bianco in posa impossibile anche per un contorsionista bulgaro, che placido sorseggia un drink con l'ombrellino. In questo bel video, che posterò qui, Georgie viene ribaltato dallo stesso materassino, nella stessa piscina, almeno una ventina di volte. C'è anche un chiaro elogio ai ricci selvaggi e alle gite sul mulo. Andy sfoggia le meches bionde.
Tutto è un trionfo.
Ma poi Georgie vuol fare di testa sua e da solo canta "Careless Whisper". Si sa, quando all'inizio di una canzone parte il sax allora è tutto scritto: o sta per partire un incontro amoroso stile Beautiful o qualcuno sta per cantare un pippone romantico che scalerà le classifiche.
Ed eccoci qui. Da allora Georgie ha partorito milioni di canzoni e video geniali ("Let's go outside" domineddio è il video più geniale di tutti i tempi), ha fatto concerti in ogni dove e finalmente è uscito allo scoperto.
Ma si sa, la depressione e lo stress sono in agguato.
E così Georgie comincia ad abusare di Cannabis, comincia ad abusare di farmaci e abusa anche di qualche cespuglio dove sfogare la sua esuberante mascolinità.
Così qualcuno gli suggerisce di prendersi un Labrador, i cuccioli si sa, rilassano, amano incondizionatamente e sono pazienti. E a quanto pare si gettano nel Tamigi.
L'oscura vicenda del suicidio del labrador di Georgie è alquanto misteriosa. Wikipedia accenna: "Sebbene il cantante abbia tentato di sfuggire ai suoi problemi di depressione con l'uso di Prozac e marijuana oppure acquistando un Labrador Retriever (che poi, però, morì nel Tamigi)[...]".
Tutto qui. Ora, come diavolo avrà fatto un Labrador, quel Labrador a finire nel Tamigi?
La vita di Georgie faceva schifo, nessun singolo in uscita, pillole e caffè tutto il giorno. E il Labrador che ti abbandona. Nel modo più orribile.
Eccoci al nodo cruciale.
Vogliamo essere il Labrador o George? Vogliamo abbandonarci al destino o combattere?
Le lezioni di oggi, sì avete capito bene lezioni al plurale, sono le seguenti:
1) Mai nascondere ciò che si è. A meno che non siate come Andy Ridgeley.
2) Mai affidarsi ciecamente a qualcuno. Anche i Labrador hanno una pazienza, a quanto pare.
3) Scegliete come rialzarvi ma fatelo, io lo sto facendo.
E tra essere il Labrador o George io scelgo l'impossibile: essere il fiume Tamigi.
Datemi una trombetta, un cappellino idiota e ballerò sulla carcassa di questo lurido e fetido anno fino a farmi scoppiare i piedi.
Il 2012 se ne va. Datemi uno scrollone perchè ancora non ci credo.
E invece.
Ci sono cose che sembrano non finire mai.
Soprattutto quelle brutte. Come la pulizia dei denti, la telefonata di tua nonna e l'elenco dei suoi mali, il muso delle persone a cui vuoi bene, Centovetrine. Il 2012 sembrava infinito ma siamo giunti al suo ultimo, pidocchioso giorno.
Quello che se ne va è un anno in più sul mio groppone. Il trentesimo, per la precisione. Ed è stato l'ultimo della Montalcini. Già. 103 anni.
Chissà quanti 2012 ha avuto nella sua vita la grande Rita. Tra sfuggire ai nazisti negli anni della guerra, conseguire grandi risultati nella ricerca scientifica e sostenere il movimento femminista, qualche anno defecante l'avrà passato pure lei. Magari non quelli della sua carica a senatore a vita. No, magari quelli son stati più rilassanti.
Mentre lei strappava arti dagli embrioni dei pulcini io son qui a pensare che vita orrenda ho passato in questi mesi. Sì, sono egoriferita. Sì, è morto un premio Nobel e io son qui a pensare a capodanno.
Ma alla fine, che volete che vi racconti sulla Montalcini? Un gran cervello, studi che non capiremmo mai neanche a metà nemmeno se c'impiegassimo la nostra inutile esistenza, donò una parte del denaro ricevuto con il Nobel alla sua comunità, quella ebraica, sebbene si professasse atea. Il fatto che tu non creda in qualcosa non significa che tutti debbano pensarla come te, e le persone forti ed intelligenti come lei lo sanno.
Non si sposò mai. Non ebbe mai un compagno. O una compagna. Sopportò tutto senza avere una spalla. E le spalle sono importanti. Quando ridi hai bisogno di una spalla comica e quando sei triste allora te ne serve una su cui piangere. 103 anni e nemmeno una spalla. O forse tante spalle, amici, fratelli e sorelle, colleghi, simpatizzanti, magari tutti tranne Storace, quel simpaticone che la definì decrepita. Come definirlo intelligente.
Eccoci qui, l'infido 2012 ci porta via una donna forte. Una donna sola. Una donna con un gran cervello. Una donna vecchia.
Da domani avremo un nuovo anno su cui appuntare le nostre ansie, per superare i nostri limiti, per innamorarci di nuovo, per prendere il coraggio a due mani e dire alla vicina del piano di sopra di controllare l'uretra dei suoi gatti affinchè la smettano di pisciarmi sulle lenzuola.
Io son ancora qui, indecisa se guardarmi vivere o se farlo sul serio. Per ora ho il cuore che regge con lo scotch, ginocchia che sostengono un corpo stile Dresda nel '45 e occhi pieni zeppi di lacrimoni trattenuti.
Il mio radioso coinquilino ha deciso di farsi una cultura in merito. Quindi mi aggiro per casa schivando fumetti di "The walking dead", dvd di "the walking dead" e, dulcis in fundo, "Zombie story"un bel libro sul genere.
Circondata.
Ma è Natale e il mio spirito bonario e gongolante fa sì che accetti tutte le sregolatezze e le stramberie del caso. In loop nella mia testa gira da giorni "Do they know it's Christmas?"versione 1984. Imbarazzante chiedersi se in Africa siano a conoscienza del fatto che sia Natale (penso che Mbele del Congo piuttosto si domandi dove siano finiti suoi machete), ma non abbastanza visto che l'abominio si è ripetuto anche pochi anni fa con una "Do they know it's Christmas? 20 years later".
A parte tutto però son qui ad aspettare, come una povera bambina scema, le reminiscenze che hanno reso i miei Natali passati una goduria. "Una poltrona per due" o "Il canto di Natale di Topolino" (affermo convinta dopo 20 anni che sia più giusto chiamarlo "Il canto di Natale di Zio Paperone"), le lucine di Natale che sbrilluccicano sull'albero, la promessa di qualche cartone di Asterix o il salame al cioccolato di mia madre che mi aspetta.
E son qui. A scrivere di Morte. La cosa che mi colpisce di più è la gente che odia il Natale.
Quelle, per capirci, che odiano chi ama il Natale, odiano gli addobbi, gli auguri, la programmazione televisiva. Avrebbero bisogno di un Canto di Natale alla Dickens, un qualcosa che gli faccia rimuovere lo slogan "odiare il Natale fa figo". Un'esperienza che gli faccia capire cosa muore dentro qualcuno quando si resettano i ricordi che fanno bene al cuore, che fanno sopravvivere in un pessimo presente e sperare in un bel futuro.
Già. Vedo Freddie Mercury in tuta bianca Adidas in veste di fantasma dei Natali passati, fare capolino dalla porta della mia sala mentre tutt'intorno l'atmosfera cambia.
Stessa casa, stesso salotto, io che mi rimpicciolisco mentre vedo il miserissimo alberello di Natale troneggiare beffardo sulla scrivania di mio padre. Il gatto, che resterà poco con noi, che si smangiucchia tutte le pecorelle del presepe. Un Natale in cui sono ancor più piccola, la sala al buio, solo le luci multicolore dell'albero, i miei genitori che mi guardano mentre sgrano gli occhioni sulla mia prima Barbie. Il calore, l'affetto. Le piccole cose che ci rendevano felici.
Già. Poi vedo Carlèn, il mio urologo, farmi da cicerone nel mio attuale Natale.
L'alberello illuminato, più grande, lo stesso panorama fuori dalla finestra da oltre 20 anni, una puntata di Poirot in tv, il mio coinquilino che ronfa sul divano. Vivo di nuovo qui, tra un po' sarò sola. La salute è precaria, l'amore è precario, il lavoro non c'è (ed era l'unico per cui avrei sorriso all'aggettivo "precario") e la fortuna evidentemente è andata a Bangkok a fare sesso a pagamento.
Già. E poi eccolo lì, l'oscuro cocchiere della Morte. Il mio fantasma dei Natali futuri. Nel terrore delle mie fantasticherie m'immagino Justin Bieber con la falce e 47 chili in più, manto nero chiazzato di ketchup e calvizie incipiente.
Cosa mi riservano i Natali futuri? Il plurale di Natale è Natali? Piena di dubbi chiudo gli occhi e penso. Sarò sola, la vigilia di Natale? Forse a cucinarmi tagliolini al salmone e mestizia? O forse spacchetterò regali auto-regalati, mangerò tortellini auto-tortellinati.
Non mi vedo con una banda di marmocchi sbavanti e un marito con un orrendo maglioncino natalizio che scatta foto da mandare a mia suocera, una donna orrenda come Enzo Paolo Turchi e cattiva come mia nonna Satana che mi regala solo saponette o libri di ricette dietetiche.
No. Del resto non mi vedo nemmeno sola, attaccata alla bottiglia, devastata dal dolore della vita e magari con 4 gatti persiani e un cucciolo di carlino. No. Anche se la mia casa avrebbe un delizioso odore di piscio di gatto e disperazione.
Già. Chissà.
Intanto son qui a ringraziare le persone che hanno reso splendido il mio Natale since 1982. Anche quelli che leggono libri sugli zombie sapendo che ne sono fobica. Grazie.
La lezione di oggi è che non solo quell'avaro e misantropo di Scrooge ha bisogno di un canto di Natale. Tutti noi dovremmo ricordarci del passato, osservare il presente e sperare nel futuro. Altrimenti saremmo morti dentro.