lunedì 13 maggio 2013

Il potere di un bacio.

Quando stamattina ero seduta in una buia biblioteca ad aspettare il mio turno per essere esaminata ad un concorso, gestivo e calmavo i picchi di angoscia e colite nervosa pensando al potere di un bacio.
Una cosa che mette di buonumore, ti fa brillare gli occhi e ti convince di avere il mondo in mano. Un semplicissimo ed innocuo bacetto.
Son fortunata, in questi giorni mi sto umettando le labbra incollandole a quelle di un bellissimo bolognese oversize e la vita mi sorride. Aldilà della sgradevole sensazione di paresi, me la sto godendo più che posso dopo i giorni che mi hanno devastato l'anima.
E un bacio cos'è se non il famoso apostrofo rosa tra le parole "T'azzomperei addosso"?
Bisognerebbe chiederlo a chi di baci ne sa ben più di me, il baciatore più noto della storia, il latin lover di Piazza Firenze.
Giulietto Andreotti.
Me l'avete chiesto in tanti un Ars Moriendi dedicato al gobbo romano che ha infestato le nostre sacrissime istituzioni per quasi 70 anni e io vi rispondo così, alla francese.
 
Poco importa della sua carriera lunghissima, delle sue emicranie, del medico che lo visitò da giovane e ne predisse la morte in giovane età (lungimiranza: tipo mia nonna che mi fece il corredo di nozze quando ero ancora un embrione), chissenefrega della gobba: quello che di Giulio m'interessa è l'ars amatoria. E, scansando il matrimonio con la signora Livia, il bacio più bello, dice qualche pentito, è stato quello tra lui e Totuccio Riina.
Ora, non ho mai pensato a Giulio Andreotti come ad un gran beccapassere, mica aveva il fascino delle labbra di Craxi o la chioma unta ma tremendamente sexy di De Michelis, ma sinceramente non avrei mai pensato a certe sue tendenze, soprattutto essendo un fervente cattolico.
M'immagino quel bacio proibito, la musica in sottofondo come nel film di Sorrentino, gli occhi che si chiudono un po' per la vergogna e un po' per il desiderio. Zam! Una scossa, una scintilla, il suggello su un patto d'amore stato-mafia.
In 94 anni Andreotti ha fatto e vissuto cose straordinarie. Sette volte Presidente del Consiglio, otto volte ministro della Difesa, padre di quattro figli, nonno di "diversi" nipoti (nemmeno a Wikipedia è dato di sapere esattamente "quanti" nipoti avesse Andreotti), un processo durato 11 anni con ben 286 udienze, un fratello e una sorella, un bacio omosessuale e molte frasi celebri tra cui "A pensar male si fa peccato ma s'indovina".
Ecco Giulio, proprio per questo penso male.
 
 
 
E se Biagi diceva "Andreotti per non compromettersi non ha mai baciato neppure sua moglie", io scommetto che sotto sotto un pelo di verità ci sia anche in questa frase sardonica. La povera signora Livia che per anni ha sopportato l'assenza del marito, le accuse, il peso dell'educazione dei figli (tra l'altro 'sta cosa che anche Andreotti si sia riprodotto mi da un certo senso di vuoto del concetto di "la gravidanza come grande dono") ora dovrà rassegnarsi anche ad essere la moglie tradita. Al suo posto, Giulio, ha preferito la faccia rugosa di un anziano siciliano. Non è stata abbandonata a favore dell'abnegazione al lavoro o alla lotta al malcostume, no, ma per la gioia pura di un intrallazzo proibito.
 
La lezione di oggi è questa: mai scrivere post quando l'ispirazione mi viene dettata dal bassisimo e flaccido ventre corroso da una sana ventata di ormoni primaverili. E, se volete, anche che le cosiddette acque chete oltre a tirare giù i ponti li ricostruiscono con appalti mafiosi.

martedì 23 aprile 2013

Doo be doo be doo: ovvero come resistere agli urti della vita essendo Frank Sinatra.

Partendo dal fatto che non ho gli occhi blu, quindi già parto svantaggiata, avrei sempre voluto essere Frank Sinatra.
Sempre. Sin da quella volta, a 7 anni, chiusa dentro l'ascensore con mia madre, al buio, intrappolata, in cui mi misi a cantare "Strengers in the naaaaaaait memparinenscionsee". Sapendo solo quel pezzo lo cantai all'infinito, lacerando il cuore della mia povera mamma e dei poveri operai che si prodigavano nell'impresa di estrarci da quel maledetto aggeggio di latta che ancora oggi, intatto, continua a fare su e giù nel mio palazzo. Giurai di non prenderlo mai più se ne fossi uscita.
 
Sorvolando sul fatto che nemmeno costretta da Satana in persona farei mai 5 piani di scale e che quindi l'aggeggio di latta mi salva dall'enfisema tra le due e le quattro volte al giorno, io, quella sera buia illuminata dalle torce, pensavo di essere Frank a Las Vegas.
E d'altronde come non pensarlo? L'Italia degli anni '80, Bettino Craxi e Ezio Greggio, gli "yuppies" e il muro di Berlino, gli anni '90 alle porte, l'adolescenza che sarebbe esplosa.
E basta riguardare l'aggeggio di latta ora, 23 anni dopo. Solo la pulsantiera è stata cambiata. Del resto tutto, graffiti, vetri incisi, "Maresca stronzo" scritto sul muro tra un piano e l'altro.
Le grandi promesse di prosperità e amore sono lì, intrappolate tra "Maresca stronzo" e la pulsantiera nuova. E chiaramente non possiedo nemmeno l'alluce del figlio di Frank Sinatra.
 
 
 
Lui era scintillante, attento ai problemi razziali, colluso con poteri oscuri, ammaliante, seducente, intelligente e soprattutto il miglior amico che si potesse avere.
4 mogli, 3 figli, 2 Oscar e milioni di dischi venduti.
E io che pensavo di emularlo cantando "Strangers in the night" in ascensore. La mia attuale vita non mi permetterebbe nemmeno di avere tempo per essere "attenta ai problemi razziali". E soprattutto non ho il cuore di Frank. Non flirto con Ava Gardner o Mia Farrow, non ammalio nemmeno il pakistano che mi vende a prezzo pieno i braccialetti di stoffa anni '90. E l'unico potere oscuro con cui sono collusa attualmente è la macchinetta mangiasoldi che eroga caffè al primo piano del padiglione B dell'ospedale in cui lavoro.
In questo momento mi duole anche pensare che come amica non sfioro nemmeno la giacca di Frank. Al massimo potrei essere Dean Martin, anche come quantità di alcool ingerite.
Ma due Oscar me li merito. L'Oscar per la straordinaria forza di volontà nel non buttarsi sotto ad un camion di provole guidato da un pugliese avvinazzato e l'Oscar per la stupida persistenza a farmi mettere i piedi in testa da chiunque pensi di poterlo fare senza pagarne alcuna conseguenza.
 
Ma è l'onestà che ci rimette in piedi. E io voglio essere onesta: le ultime parole di Frank furono "I'm losing", "Sto perdendo" e guardacaso sono anche le mie.
Sta di fatto però che ora, in questo preciso momento, l'unica scelta obbligata è di lasciare quelle parole dentro l'ascensore che mi/ci intrappola e pensare alla frase sulla semplice, piccola, lapide di Frank :
"The best is yet to come"
 

sabato 30 marzo 2013

Mexico e nuvole: sintesi di un ospedale, di una bella ragazza morta e di un medico cantante.

Trovo lavoro. E lo trovo a stretto contatto con la morte.
Lavoro in un ospedale. Meno genericamente nel reparto di oncologia. Ancor meno genericamente mi trovo immersa in Glioblastomi e tumori cerebrali. Di quelli che non fai in tempo ad avere mal di testa che il mese dopo sei sdraiato in un comodo lettino di seta bianca truccato come Priscilla la regina del deserto.
E la vita, siccome cerca sempre di fotterti in tutti i modi stile gang bang su You Porn, decide di farti parlare con una di queste persone. E la morte, che tranquilla se ne sta seduta a limarsi le unghie, ti sorride "Non ridi più eh, stronzetta? Io scrivo un blog sulla morte! Ma che brava, che originale, adesso comunque son cazzi tuoi."
La signora al telefono ha poche manciate di settimane davanti a sé. Non riesce a muoversi. Ma caparbia vuole un appuntamento con il dottore, "sa, per fare un'altra cura". La mia collega scuote la testa. La tranquillizzo e le dico di chiamare più avanti, posto c'è.
 
E così sì, lavoro con la morte. Anzi, lavoro con il confine. Un giorno ci sei e il giorno dopo no. Ed è proprio così con i malati di cancro.
Il mio primo giorno di lavoro ho mandato un fax ad un comune per sapere se Tal dei Tali era vivo. E lo era in data 21 marzo. Ma ieri, un necrologio sul giornale annuncia la sua morte. Tal dei Tali è morto due giorni dopo il fax.
 
Subdolo il cancro questa settimana si è portato via una bellissima e splendida ragazza di 38 anni di nome Marzia. Io Marzia non l'ho mai conosciuta. Conosco il marito, Matteo. E lo conosco come chiunque di voi conosce il proprio uomo delle letture del gas. L'ultima volta che l'ho visto è stato dieci anni fa, indossava una maglia di rete nera e così tanto rimmel da farmi sentire struccata e in pigiama. Un carattere, uno stile di vita, e una moglie splendida. L'amore, quello sincero, quello che smuove letteralmente le montagne. E poi arriva il cancro. Troppo presto, come quando aspetti il bus e hai appena acceso una sigaretta e quello fa capolino dalla curva e tu devi spegnere quella sigaretta. Quella sigaretta che non vedevi l'ora di goderti. Via.
Quella donna che era il tuo perfetto incastro. Quel sentimento che hai raccontato tante volte e di cui eri fiero. Via.
E ora rimane il silenzio.
 
 
 
Rimane il ricordo anche di Enzo Jannacci, a 77 anni lascia questo mondo, la sua Milano. Uno di quei cazzo di geni che con la sua laurea in medicina era riuscito ad entrare nell'equipe di Barnard, quello del primo trapianto di cuore. Quello che cantava "Vengo anch'io! No tu no". Quello che è morto di cancro, giusto iersera. Milioni di persone condividono i suoi video su Facebook. Io pure.
"Mexico e nuvole", accanto a me un, due, tre, bicchieri di vino e la consapevolezza che la vita è splendida e triste. La morte pure.
 
La lezione di oggi è: Ama. Canta. Sorridi. Bevi. Nulla potrà andare storto. Nel bene e nel male avrai dato il massimo.
E il massimo, comunque vada, non basterà.
Post triste, ma guardate il tempo, guardate la pioggia nei miei occhi.
Che potete volere di più da me?
 


venerdì 8 marzo 2013

Mozart e Salieri: di una storia di disinformazione.

Ogni tanto trovo il coraggio di affrontare la mia carta d'identità. Dolorosamente sbircio la foto dove sembro una no-global appena tornata da Genova e do una rapida occhiata alla mia data di nascita.
Poche pippe, ho 30 anni. E a 30 già sapete che sognavo: un marito passivo, un marmocchio in pancia e un lavoro retribuito (pensare che la scala degli aggettivi riguardanti il lavoro son passati da "dei miei sogni", "gratificante", "ben retribuito" a "retribuito"). A 30 anni già sapete la mia condizione: un bel tipo con cui esco, colite a manetta, e, forse, un lavoro.
Niente male. Ma a 30 anni ho cominciato a pensare anche ad altro visto che nella mia vita da 20enne ho pensato solo a studiare sul serio e a progettare un futuro sentimentale che ci si è sbriciolato nelle mani dopo solo un mese dai miei 30. Mi son guardata intorno sviluppando la sindrome di Fantozzi sotto elezioni. Febbrilmente eccitata dalla mobilitazione generale elettiva, mi son letta programmi, riso a crepapelle leggendo la lettera per il famigerato rimborso IMU ("Guarda, 'fanculo, i soldi piuttosto glieli metto io ma op op a votare PDL") e mi sono pacificamente rassegnata a votare.
 
Mai avrei immaginato, a 30 anni, di venire minacciata. E non giriamoci intorno.
All'indomani della stracciante vittoria del M5S, mentre addetti delle pulizie delle principali sedi PD italiane si preoccupavano di smandibolare gli sconcertati rappresentanti di lista, elettori, simpatizzanti e vecchi di passaggio, io m'interrogavo.
 
La prima lite con uno del M5S risale a questa stramaledetta estate che ribattezzerò "l'estate dei lunghi coltelli", quando un accolito grillino mi riempiva la testa di "piattaforme liquide", di "Ma se non voti quello, cosa voti?", "Ah, se vuoi che il paese vada in rovina". Chiaro, Federica, una ragazza sui 30, disoccupata, che legge gialli di Agatha Christie fa parte del "gomblotto" per mandare in rovina il paese. Chiudete le edicole, abbattete le sedi dei principali quotidiani, fermate la caccia, l'abbiamo trovata!
 
Di liti e incomprensioni politiche ne ho avute tante nella mia vita: da quando mi presentai nel 1995 ad una Festa dell'Unità con la spilletta di Berlusconi per manifestare contro il malcostume della polenta fredda, al mio primo e unico raduno marxista-leninista dove non capì una beneamata fava ma mi sentì partecipe di qualcosa, dal famigerato giorno di quell'estate del 2001 dove piansi il morto sbagliato al giorno in cui vidi mio padre disperato per la situazione politica italiana. Ma mai ho fomentato odio, mai fatto minacce, mai sprangato nessuno. Ho solo fatto domande, posto obiezioni, ridicolizzato Berlusconi (chi non l'ha mai fatto?) e sbattuto i pugni sul tavolo imprecando contro ogni De Gregorio che mangiava nel mio piatto.
Così eccoci al post 25 febbraio. Un New World Order che cresce e che non da sicurezza.
Forse siamo assuefatti da anni di politica stagnante, una vera palude di mostri acquatici e ora abbiamo paura di questi strani uccelli acquatici ammaestrati. E lo ammetto, sono un essere ignobile amante della carta stampata, adepta di Montanelli, incuriosita da Maltese e Sabatini, leggo i giornali. E diffondo quello che leggo, cerco confronti, mi faccio risate. Come facevo con le magagne alla Berlusconi, le lacrime per la politica alla Cameron, l'odio degenerante per Gamberini e Alfano.
Ed ecco che conosco lo squadrone. Sberleffi, spiate, umiliazioni. E velatissime (nemmeno tanto) minacce. E l'accusa: porti disinformazione.
 
 
 
Recentemente mi sono riguardata in tv "Amadeus"di Milos Forman. In breve: Mozart viene umiliato e avvelenato da Salieri che troppo tardi riconosce il valore e il genio di Mozart, lo invidia e lo fa impazzire. Il mediocre Salieri scredita il nuovo che avanza, costruisce intorno a lui trappole, lo umilia. Mozart soccombe ma il suo genio vince. Salieri sarà troppo scarsamente ricordato.
 
Mio Dio, sono forse un Salieri? Non riconosco il vero valore di tutti questi piccoli grilli che friniscono insieme? Devo inchinarmi al genio di Mozart e soccombere? Tacere in nome del genio.
 
Ma va là.
 
La disinformazione ha radici lontane, fu Puskin a mettere in giro la voce che Salieri, invidioso e ottuso, avvelenasse fino alla morte il povero Mozart. Voce sulla quale Forman ha basato il suo film e vinto 8 oscar.
Nella realtà i rapporti tra i due compositori furono cordiali, magari di facciata, ma ben lontani dai toni drammatici e da tragedia greca che hanno assunto man mano che la storia ha fatto il suo corso.
Quindi sì, Mozart è morto, non si sa nemmeno di preciso di cosa. Ma non fu certo Salieri ad ammazzarlo.
 
Tirando le somme: se volete darmi del Salieri, urlate al complotto, mi minacciate di voler diffondere amenità e falsità per screditare il vostro Mozart, ricordate che era solo disinformazione. Io sono Salieri e critico il vostro Mozart come e quando voglio senza per questo avvelenarlo. Esattamente come faceva Mozart criticando Salieri.
 
Piccolo inciso: a me le minacce piacciono solo nei film con Eddie Murphy, dove le frasi "non te la faccio passare liscia" o "ti stai infilando in un brutto vicolo cieco"le recita il solito energumeno scemo che sa solo minacciare.
 
 
 
 

martedì 5 marzo 2013

Stalin e Gaia.

Ammettiamolo: siamo in un momento delicato.
Dopo le recenti elezioni siamo tutti qui a pestarci i piedi e a darci contro con così tanta foga che se per caso avessimo impiegato tutta questa energia nella corsa al nucleare a quest'ora potremmo aver sbriciolato tranquillamente il deretano di Ahmadinejad.
Mi ci metto pure io, eccomi, ammetto le mie colpe. In queste settimane mi sono mangiata il fegato, ho digrignato i denti ad ogni stupidaggine detta o scritta, ho sbattuto i pugni e sghignazzato in preda a non so quale potentissimo demone. L'ultima volta che ricordo di essere caduta in questo stato risale alla vittoria di Povia a Sanremo e il seguente martellamento di palle dovuto alla continua trasmissione della sua canzone in tutte le radio e i canali televisivi. Ho ancora i brividi a pensarci.
Per non parlare dei continui sogni erotici che mi vedono protagonista assieme a Matteo Renzi: io che indosso la costituzione e lui che mi rottama in ogni posizione. Brrrr.
 
Così per calmarmi sono tornata dai miei amati morti, ho ascoltato in loop una sola canzone di Bruno Mars che su di me ha un effetto devastantemente calmante e ho comprato delle candele profumate.
E chiudendo gli occhi vedo lui, vedo Baffone.
 
 
 
Stalin, ovvero Iosif Vissarionovič Džugašvili, mi sta davanti grosso ed imponente. Chissà che penserebbe lui di tutto questo casino all'italiana. Ce lo vedo mentre vota per alzata di mano, lì seduto per terra, un maglioncino greige (per quelli srilisticamente arretrati un misto tra grigio e beige) pantaloni di vigogna, con il braccio che svetta verso l'alto mentre parla con la solita casalinga di Voghera dei problemi che dovrà affrontare il Movimento ora che sono approdati a Roma.
Ce lo vedo mentre manda a quel paese i giornalisti, o mentre ordina l'assassinio del suo psichiatra. Mai dire a Stalin "Secondo me lei soffre di sindrome paranoide", voglio dire, allora andiamo a Napoli a urlare che il sangue di san Gennaro non si è sciolto e che Maradona è una pippa e aspettiamo pacifici la morte, perchè sarebbe l'unica cosa certa.
 
Ma Stalin sguazzerebbe come un maiale nel guano in questo paese, lui che adorava purgare qui si troverebbe con la merda fino al collo. E non c'è un Gianni Morandi che tenga.
Avrebbe adorato la parola "complotto", lui la usava spessissimo durante i suoi spettacolari piani quinquennali che portavano la popolazione russa ad evolversi. E avrebbe adorato urlare "Tutti a casaaaaa", slogan che probabilmente pronunciava  con tipica foga stalinista mentre ammazzava i suoi vecchi amici del Politburo, quei vecchi compagni d'arme di Lenin e gran parte dei comandanti dell'Armata Rossa.
 
Io la vedo una nuova troika composta da Grillo, Casaleggio e Stalin, li vedo lì a pianificare "Gaia". Iosif sarebbe contrariato dalla Grande Guerra Est-Ovest (vinta ovviamente da chi ha internet anche se ci metteranno ben 20 anni per vincerla), ma sarebbe deliziato dalle enormi e conseguenti restrizioni della persona e della personalità. Senza contare il passaggio "le organizzazioni segrete verranno proibite", un vero e proprio orgasmo dittatoriale del III millennio. Salvo poi essere epurato per aver concesso un'intervista a Ballarò.
 
 
 
Ai funerali di Stalin morirono quasi 500 persone nella calca per porgere l'ultimo commosso saluto al loro prezioso vate. Quelli erano bei tempi, in cui un funerale era il mezzo ideale per sfoltire un po' il pianeta da gente potenzialmente inutile: zac!500 in un sol colpo. Baffone se ne andò a causa di un colpo apoplettico che lo colpì durante la notte, ma le guardie davanti alla sua camera non ebbero l'ardire di sfondare la porta aggravando le condizioni del dittatore che il mattino dopo vedeva inesorabile la morte avvicinarsi: l'agonia durò qualche giorno, fino a spegnersi definitivamente il 5 marzo. E se recentemente hanno creato una statua raffigurante la salma di Lenin che respira beato stile sonnellino (http://video.repubblica.it/mondo/scandalo-in-russia-per-il-lenin-che-respira/120803/119288) , so che i potenti mezzi russi riporteranno in vita Baffone.
 
Chi lo sa, magari ce lo ritroviamo in parlamento, con il suoi Ipad, che sfrutta il Wi Fi, che propone petzioni e disegni di legge mentre aggiorna Facebook, twitta pernacchie a La Russa e chatta con una 15enne con il nick BaffoneRosso1879.
 
La lezione di oggi: certe ideologie son dure a morire. Certe altre son proprio cagate. Basta che voi rispettiate le mie, io cercherò di non ridere delle vostre. Al massimo mi faccio di valeriana, cado in un sonno profondo e vado alla copula con Renzi.

mercoledì 27 febbraio 2013

Brega vs Nicheli

Inutile che stiam qui a tergiversare: o si è Brega o si è Nicheli. E io, ahimé, l'ho capito tardivamente a 30 anni.
Sperando che dopo questo incipit siate lì ad arrovellarvi se sia meglio la romanità aggressiva e sboccata di un Brega salumiere o la milanesità composta e spocchiosa di un Nicheli imprenditore nel settore, guarda caso,  salumi & cotechini, io procedo alla rapida riflessione personale.
 
Trovo impagabile il fatto che mia madre ora sia a Roma per vedere, per l'ultima lacrimevole volta, papa Ratzinger in udienza generale. Lui che sfreccerà nella sua papamobile salutando i fedeli che urleranno robe tipo "Le vogliamo bene santitàààààààà" o "Preghi per noiiiiiiii" tipo Vasco a San Siro. E lì, annidata in mezzo ai fedeli intransigenti, con mezzo chilo di fondotinta e gioielli d'oro in bella vista su un golfino blu da suora laica, ecco mia madre, "la Santa", che mistica come santa Teresa D'Avila comincerà a piangere lacrime purificatrici per poi consolarsi a vino bianco e porchetta in un vicolo, cominciando a cantare stornelli romani imprecando e bestemmiando per il dolore ai diverticoli, vanificando il tour apostolico in meno di due minuti.
E così sì, da parte di madre, ho preso la vena cosiddetta "Brega": quando m'infervoro (e in questi giorni, con un clima politico rovente, le palle spianate dalla più totale e inerme disoccupazione e la gente che banalmente, scusate il francesismo, "nun si fa li cazzi sua" e mi tampina su ogni social network possibile ed immaginabile per indottrinarmi su nuovi Movimenti politici) mi esce la bile e comincio a chiamare tutti in strani modi: rapportandomi con un uomo X di nome Luca sarà difficile rivolgermi a lui non chiamandolo "A Lù". Di conseguenza Fabio diventa "A Fabiè", Francesca "A Francè" e così via, continuando le frasi con espressioni da cotica romanesca che mi contraddistinguono nei momenti difficili e rabbiosi della mia tenera vita.
 
 
 
Mario Brega era così, uno che "je menava", addirittura sul set di un film western "Buffalo Bill l'eroe del far west", atterrò con un gancio l'attore americano Gordon Scott, vincitore del Guanto d'Oro, ambizioso premio americano per pugili. Mario è morto nel 1994 stroncato da un infarto. Ettecredo. Stai a magnà, stai a bebe, stai a'mprecà aaLazio, è n'attimo.
 
 
 
E nel frattempo, sfruttando le vacanze romane di mia madre, mio padre scorazza per Bologna e provincia sulla sua Golf grigio metallizzata, orologio sul polsino, occhiali da sole graduati che lo rendono un po' cumenda un po' boss mafioso anni '80, alla ricerca di archivi inviolati, stemmi da fotografare e volumi polverosi da sfogliare. Non una roba da "Sole, whisky e sei in pole position", lo capisco, ma l'atteggiamento da piccolo imprenditore c'è. Un bel maglioncino celeste, calzini a rombi Burlington, 24 ore arancio che lo rende un po' il Lapo Elkann dell'archivio di stato. Impeccabile, audace, pilota stile "Alboreto is nothing".
La vena "Nicheli", quella che ti da la (finta) classe da medio imprenditore abbronzato anche il 27 febbraio, la sfodero solo quando sono tranquilla e paciosa, seduta davanti ad uno spritz a parlare con i miei amici. Allora esplode un trionfo di "Wè animaleeee", "Nooo, impossibol!": il segreto sta nel mischiare parole inglesi con altre italiane facendo costantemente la faccia sorpresa e felice. Non a caso il marchio Italia Indipendent di Lapo è un mix di italiano e inglese. I cumenda raramente sono incazzati, al massimo amareggiati, risentiti, ma sistemano sempre tutto a parole e soldi. Per questo motivo, in queste settimane, con i miei 4 euro e 40 sul conto corrente, è difficile che mi senta pulsare la vena Nicheli.
 
 
 
Guido Nicheli, "il cumenda" per eccellenza, ha recitato in molti film la stessa stolida parte da imprenditore milanese col Mercedes. Ma pochi sanno che fosse un amico di Dalì e anche un odontotecnico apprezzato. E anche lui è passato a miglior vita nel 2007 a causa di un ictus che lo ha portato via mentre giocava a carte con gli amici del paese. La chicca assoluta è che sulla sua lastra tombale campeggia la frase tipica del cumenda: "SEE YOU LATER"
 
Che voi siate un Brega o un Nicheli ricordate sempre che un "A 'nfamee" risolve più cose di un "Wè, calmino boy". A meno che non siate ormeggiati con lo yacht a Cannes. Allora, SEE YOU LATER.

martedì 26 febbraio 2013

La mamma morta.

Immaginatevi un funerale.
Siete lì, al cimitero. Davanti a voi quattro uomini che portano sulle spalle una bara pesante.
E' morta la loro mamma.
Il primo uomo sulla sinistra piange lacrime amare. Mica l'aveva capito che la mamma stesse così male. Era tutto attento a biasimare i fratelli più esuberanti che non si è accorto che mamma voleva discutere, parlare, voleva averlo accanto sicuro e forte. Ma lui, un po' consigliato male, un po' impaurito, scelse di far vedere a mamma che era un bravo ometto, coraggioso e solerte: sarebbe andato nella tana di un animale pericoloso e l'avrebbe addirittura smacchiato. Eh mamma, come sarai fiera di me. Anche se me ne sto qua zitto sono in grado di farcela, dammi fiducia. Mamma la fiducia gliele voleva pure dare, ma sta roba del giaguaro un po' la intimoriva. Il piccolo era sempre spesato, capiva in ritardo i bisogni delle vecchia genitrice e si faceva fregare, spesso e volentieri, dagli altri fratelli.
 
L'uomo sulla destra ha addosso un broncio severo. Ma in realtà, sotto sotto, se la ride. Lui mamma la faceva sempre ridere. Le raccontava barzellette, le faceva le corna nelle foto, le diceva che era bellissima. Mamma lo amava di un amore cieco e con l'andare avanti capì che quel suo figliolo era anche un gran bugiardo e puttaniere. E che le barzellette facevano pure schifo. Se ne stava sempre lì a cantare, a promettere fantomatiche restituzioni di cose e sentimenti. Ma in fondo una parte di mamma lo amava. Forse era la parte colpita da alzheimer e poca istruzione. Mamma, ti prometto che danzerai al chiaro di luna e sarai bellissima. Ma prima dammi i tuoi orecchini d'oro che devo comprarmi un metro cubo di capelli.
 
Il terzo uomo dietro lo "smacchiatore" era il figlio più piccolo e ribelle. Era quello che mamma temeva e adorava allo stesso tempo. Al contrario del figliolo scaltro e affabulatore con crescita di capelli istantanea, questo figlio era un po' come un testimone di Geova: sfruttava subdolamente il malcontento di mamma verso i due figli maggiori promettendole che lui sarebbe stato diverso. Senza poi spiegarle come. Ma il come non era importante! Paradossalmente questo pargolo le portava tutte le riviste preferite e le regalava i dolci più squisiti ignorando che la mamma non potesse leggere senza occhiali  e nemmeno mangiare senza dentiera. Mamma, alla dentiera e agli occhiali arriveremo, intanto tutti a casa quei figli che non ti fanno felice! Sì figliolo, sospirava mamma, ma intanto i giornali e i dolci son capace di comprarmeli pure io, tu mi devi aiutare a leggerli e a mangiarli. E se non sai come fare, beh, sei inutile come gli altri due.
 
 
 
Per ultimo un austero signore con gli occhiali e la faccia smunta. Era il figlio meno amato di mamma. Era quello che prospettava sempre austerità e sacrificio. Quello che era vecchio dentro e faceva invecchiare pure mamma. Ma in fondo al cuore la poveretta sapeva che non aveva tutti i torti. I suoi figlioli facevano sempre caos e lui cercava di mettere una pezza, ma poi si faceva sempre aiutare da ragazzacci in doppiopetto e 24 ore e se ne andava in ferie nel Club Bilderberg. Mamma, la situazione è critica, ma conosco persone che possono accordarci fiducia. Guarirai con po' di sacrificio.
 
Mamma, che di figlioli ne ha tanti (un magistrato rivoluzionario, un dandy che insegue lauree e master, una ragazzotta romana giovane e malDestra, un signore distinto che crede nel Futuro e nella Libertà.) si è lasciata morire ieri notte. E oggi, noi, siam qui a piangerla. E dietro, imbarazzati e confusi, tutti i suoi figli.
 
Perché si sa, la mamma dei cretini è sempre incinta.