mercoledì 13 maggio 2015

Tutti gli uomini devono morire. Di Valar Morghulis e pensieri simili.

Mentre voi crescevate consumati dall'angoscia della relazione sentimentale tra Ross e Rachel di "Friends", io mi guardavo roba tipo "Jarod il camaleonte" dove un bambino strappato alla propria famiglia e cresciuto in una struttura abominevole dove venivano effettuati esperimenti sulle facoltà cognitive dei ragazzini superdotati, diventava un adulto che ogni giorno poteva cambiare lavoro per aiutare gli altri. Tipo me che guadagno con i voucher e un giorno sono data manager, l'altro centralinista e ogni tanto sguattera.
Mentre voi stavate lì a rincoglionirvi con "Dexter" pensando di essere fighi a vedere tanta violenza e tanta vendetta, io mi guardavo le repliche di "Scrubs". Siete tutti impazziti con "Breaking Bad", io sono rimasta a "Malcolm in the middle".
Ho sempre avuto problemi a stare al passo con le serie tv. Uno scoglio non indifferente è sicuramente non avere l'abbonamento a Sky che trasmette tutte le serie e le anteprime. Altro scoglio è il non essere pratica di scaricamento, torrent o roba simile. Navigo in un mare di repliche, cofanetti e generosi "prestiti" di amici.

Così quando anni fa il mio amico A. mi "prestò" "Game of Thrones" giunsi ad una conclusione: non mi farò trascinare in questo vortice, è escluso, non mi ficco in una serie tv infinita dove tutti i personaggi migliori muoiono, riesco benissimo a farmi del male da sola in mille altri modi.
E siccome riesco a farmi benissimo male da sola, a distanza di 4 anni, ho deciso di entrare nel tunnel "Game of Thrones".

Se siete frequentatori abituali di questo spazio mortifero saprete meglio di mia madre tutti i guai e i dispiaceri, le disavventure e le sconfitte che ho subito dal 2012 ad oggi. Quando l'allegra banda di Lannister e Stark entrò nella mia quotidianità io ero una ragazza allergica ai drammi, ottimista e piena di meravigliose persone al mio fianco. Perché mai avrei dovuto rabbuiare la mia esistenza guardando una simile raffica di tragedie? Ecchissenefrega se muore Sean Bean, prevedibile quanto la pioggia a pasquetta tra l'altro.
No, niente merda, please.
Ma oggi, dopo la tempesta che mi ha sballottato in mare come una nave senza timone, ho ripreso in mano questa serie con la giusta dose di rabbia, di vita, di cazzimma (per il significato di questa splendida espressione lessicale curiosate qui).




"Valar Morghulis" significa "Tutti gli uomini devono morire". La frase viene pronunciata da un sacco di personaggi, in mille modi, con la piena rassegnazione al suo significato.
Per quanto mi riguarda l'ho scritto sulla porta della cantina come monito ai soliti razziatori di cianfrusaglie che mi hanno spaccato per la seconda volta le assi della suddetta.

Scherzi a parte (giuro che se vi becco toccare le assi vi spezzo la caviglia con il martello) "Valar Morghulis" ha sostituito la mia naturale paura del malaugurio: non sono mai stata capace di maledire qualcuno, mai di augurare la morte o la disgrazia. Non ce la farei, anche perché con l'immenso culo che ho mi ritornerebbe tutto indietro, come profetizza serena mia madre mentre mi guarda il voluminoso deretano. Così, "Valar Morghulis" ha sostituito l'acredine con la consapevolezza.
Tutti gli uomini devono morire. Tiè.

Così ora la sera me ne sto sdraiata sul letto avvolta dall'oscurità e recito come un mantra i nomi delle persone che mi hanno più ferita nell'animo negli ultimi tempi, salda al secondo posto la vecchia del sesto piano, sapendo che "Valar Morghulis" indica solo la consapevolezza del loro destino.
Ladri della cantina spaccatori di assi
"Valar Morghulis"
Vecchia acida del sesto piano
"Valar Morghulis"
Ex capa rovina fegato
"Valar Morghulis a Locarno"
Ex amico trafficone e linguacciuto
"Valar Morghulis"

Ho accettato le consapevolezze. Non ho nemmeno pianto alla morte di Sean Bean. Anche se mi manca.
Di certi momenti della propria vita, a volte, rimangono istantanee involontarie: un libro, un film, qualche puntata di un telefilm, un sorriso, una giornata, un paio di jeans. Rivedo momenti felici sotto forma di pantaloni beige, di J.D. e Turk che si abbracciano, di una marea calda di volumetti di Agatha Christie. Altri momenti, quelli difficili soprattutto, li rivivo attraverso le parole della Vargas, un paio di maglioni bucati, un sorriso nuovo.
Certamente del momento che sto vivendo ora mi rimaranno le cicatrici di un eczema, Tove Lo che mi canta "Stay High"e "Valar Morghulis".
Così, mentre lentamente mollo gli ormeggi e riparto, voglio riguardarmi indietro e pensare che alla fine, tutto sommato, così doveva andare, ma che sicuramente qualche cosa ho imparato, per esempio accettare le consapevolezze vuol dire anche essere un po' meno presente, un po più egoista, un po' meno credulona e un po' meno generosa. Basta vivere di promesse o speranze, ho voglia di aggredire la vita, anche se dovessi farmi qualche nemico, anche se dovessi perdere qualche conoscente.
"Valar Morghulis"

La lezione di oggi viene da Ned Stark, non è un a vera e propria lezione, nemmeno un monito, è una consapevolezza che portiamo nei nostri cuori gonfi e stanchi: "Some old wounds never truly heal, and bleed again at the slightest word"

Buon "Valar Morghulis" a tutti.

mercoledì 6 maggio 2015

Pillole di morte: caro amico duca di Buckingham

Puntata serale di pillole di morte dove vi racconto l'infame storia dei miei due infami inglesi preferiti:
Henry Stafford, secondo duca di Buckingham e Edward Stafford, suo figlio e successore.

Immaginatevi su un divano, spaparanzati comodi assieme ad un amico, mentre vi state guardando la terza puntata del vostro serial preferito. Pensate al giuramento che avete fatto: "nessuno dei due guarderà una puntata senza l'altro, niente anticipazioni, uniti nel destino della inconsapevolezza, assolutamente niente SPOILER". 
Eccovi lì, uno di fianco all'altro, la terza puntata sta per finire quando, all'improvviso, un assassino spuntato da un antro buio accoltella a morte la moglie /fratello/miglior amico del protagonista. 
Ecco.
Ci siete? Avete in mente la scena? Ora immaginate che il vostro amico vi guardi mentre siete a bocca aperta per lo stupore e la mancanza di una bestemmia appropriata sulla punta della lingua. 
Ecco.
In quel preciso istante il vostro amico vi appoggerà una mano sulla spalla e vi dirà: "See, se ti ha stupito questo figurati quando scoprirai che l'assassino è il suo gemello malvagio che ha sempre vissuto a Vertemate con Minoprio".
La sensazione è quella della pugnalata alla schiena o, se preferite, quella del cervello ghiacciato mentre ti stai mordendo un ghiacciolo. 

Non disperate, pensate a quel povero storpio del mio amico Riccardo III d'Inghilterra quando seppe che il suo fidato amico Henry si stava preparando ad attaccarlo. Avevano condiviso un sacco di cose insieme: avevano messo i principini nella Torre di Londra dalla quale mai uscirono, insieme li dichiararono illegittimi, immagino si prendessero per mano fischiettando madrigali simili a "I can't smile without you" di Barry Manilow. Poi, appena avuto un momento libero, Henry pensò bene di voltar gabbana e parteggiare per il rivale di Riccardo, Enrico di Richmond (il futuro Enrico VII Tudor), ma gli andò male, il re ottenne la sua testa, anche se non gli servì a molto: Enrico Tudor vinse comunque poco dopo. 
Anche a Riccardo venne il mal di testa da ghiacciolo, ma molto più acuto del vostro.




Ora, so che vi ho lasciato sbigottiti sul divano, ma vi spiego perché vi ho trascinato in mezzo ai duchi di Buckingham.
Il figlio del caro Henry, Edward, non se la cavò meglio del padre. A legger quello che scrive Scarisbrick, un mio caro amico storico, Eddie era uno smargiasso che non stava attento alle parole. Se ne andava bel bello in giro dicendo che avrebbe fatto al re quello che suo padre avrebbe voluto fare a Riccardo III: inginocchiarsi innanzi a lui per poi pugnalarlo. Tronfio e sgraziato, se ne andava qua e là a dire che esisteva una profezia per cui egli un giorno sarebbe stato re. Non fu molto furbo, soprattutto pensando che fu suddito di quel ragazzone per nulla permaloso di Enrico VIII, che per tutta risposta gli staccò la testa da quel collo da fagiano che si ritrovava.

Ora, non dico che dobbiate staccare la testa al vostro amico linguacciuto. 
Vi suggerisco solo di chiedervi se di fianco a voi sieda un amico o un duca di Buckingham.

La lezione di oggi è che su quel divano l'unica persona di cui vi potete fidare siete voi. 
O, nel mio caso, della mia migliore amica che non ha nemmeno idea di cosa sia lo spoileraggio e mi ha permesso la visione al cardiopalma di Broadchurch. 



mercoledì 29 aprile 2015

Cercando Battisti. Trovando la Morte.

Quando arriva la primavera si rispolvera la fastidiosa abitudine di sentirsi di nuovo giovani. 
Di solito si commisera la propria forma fisica in vista dell'estate, ci si mette in testa di fare un viaggio zaino in spalla attraverso i monti Sibillini e, nel migliore dei casi, ci si mette a cantare a squarciagola "Fiori rosa, fiori di pesco" pregustando la sera in cui, in riva al mare, canteremo "Acqua azzurra, acqua chiara", ben sapendo che quella sera non arriverà mai, l'abbiamo magari già vissuta, amata, vomitata, odiata e dimenticata.



Quando arriva la primavera, di solito, Lucio Battisti bussa alla mia porta. E come ogni primavera io ci casco come una pera cotta, eccomi lì, occhi chiusi, pugni stretti a urlare "noooooooooooo il sole quando sorge sorge piano e poiiiiiii, la luce si diffonde tutt'intorno a noiiiii, le ombre ed i fantasmi della notte sono alberi e cespugli ancora in fiore, sono gli occhi di una donna ancora piena d'amoreeeeeeeee"rapita e tremante, come se cantare quella canzone potesse in qualche modo avere su di me un effetto salvifico.

Lucio Battisti bussa e bussa forte, lì alla mia porta, incurante del fatto che non sempre io apra a tutte le povere anime. Si tratta semplicemente di affinità, tra me e Lucio non c'è nessun legame umano, nessun ricordo ci lega particolarmente l'uno all'altro, nessun amore solo consumo consapevole delle sue canzoni, niente affetto. Tipo me e Morrissey. O l'umanità intera e Morrissey.
Ho più affinità con Gianni Morandi quando canto "Non sarà solo una chiiiiimeeeeeeera": mi rivedo lì, piccola bambinetta seduta sul pavimento di casa della nonna ad ascoltare quella cassetta bianca trovata nel Dixan. Quanto amavo i sabati sera dalla nonna, mi sentivo grande ed indipendente avendo solo pochi anni in tasca. Il mondo cominciava e finiva di sabato, per me. La domenica non avrei più potuto ascoltare Gianni Morandi, ero già un'altra bambinetta qualsiasi.
Battisti (e Morrissey) è solo musica. Niente amore, solo sesso.

Battisti mi faceva da sottofondo mentre mi truccavo, a 20 anni, prima di uscire. Mi sentivo una di quelle donne maliziose e mortalmente sexy che facevano impazzire Mogol.
Non avevo amore, lo ascoltavo senza cura, una canzone dopo l'altra, Il tempo di morire, Non è Francesca, Dieci ragazze, Dolce di giorno.
Poi, con gli anni e la consapevolezza di sentirmi esattamente uguale ad ogni altro essere umano, senza trucco e senza tanta voglia di uscire, ho cominciato ad ascoltare per bene quello che diceva Lucio, quello che sapevo, ovvero che quando cade la tristezza  in fondo al cuore, come la neve, non fa rumore.
Mi sospirava in un orecchio: "chiudere gli occhi per fermare qualcosa che è dentro me ma nella mente tua non c'è".  Lucio era un novello Cristiano che cantava le parole che Mogol intrecciava come Cyrano.

Battisti è morto il 9 settembre del 1998, avvolto nel suo oscuro personaggio, si dice per un tumore.
Scrivere di lui non è facile. La sua famiglia è incazzosa come un grizzly e in più lanciano anatemi e querele come Zeus scatafasciava fulmini a destra e manca. Quindi siete costretti a beccarvi la solita nota autobiografica.

Lucio mi fa pensare alle ragazze di Non è la Rai e a quanto abusassero di minigonne, lupetti e colori abbaglianti mentre cantavano Il nastro rosa, Non è Francesca o Io vivrò con lo stesso pathos con il quale io passo l'aspirapolvere.
E basta.
Altre memorie non le ho. Ve l'ho detto che tra di noi non era una cosa seria.
Ma pensando a quali ricordi potessi avere legati a lui, mi è arrivato alle spalle il soffio gelido di colui che chiamerò Il mio Primo Grande Amore.
Stavo pensando alle serate sulla spiaggia a cantare nel vago tentativo di ricordare se si cantasse roba tipo "Acqua azzurra, Acqua chiara" ma mi fermavo ai vari campi parrocchiali (sì, doloroso pure questo come ricordo, ma ci arriveremo piano piano, un'esperienza traumatica alla volta), nei miei pensieri andati vedevo solo spiagge vuote e buie, tanto alcool e poi, lontano, sfuocato, la sagoma del mio Primo Grande Amore, colui che ha reso quelle spiagge fredde e la mia vita dai 17 ai 22 anni un deserto radioattivo d'insicurezza e goffaggine.
Vedo la sua carnagione olivastra, i suoi occhi scuri, quella risata nervosa e quei modi gentili e falsi come i soldi del Monopoli, la chitarra tra le dita e la perfida sicurezza dell'essere sempre nel giusto.
Lo vedo suonare per un'altra. Lo vedo chiamarmi con un altro nome mentre ci stringiamo sulla spiaggia. Lo vedo che inizia a strimpellare Battisti.
Mi sono costretta a riguardare le foto di quegli anni, a rileggere i messaggi. Niente. Sola col mio cuore enorme e l'amara consapevolezza del rifiuto di colui che tanto amavo, relegata in un angolo scomodo e scivoloso.
Non ho trovato nemmeno una foto di noi due insieme. Anche se a sentir la sua voce che rimbomba nel fondo del mio cranio, eravamo tanto amici, sempre amici, migliori amici.

Quindi scusa Lucio, ma anche se non c'entri nulla, non posso aprirti, non posso urlare "cieli immensi e immenso amoreeeee" perché ora ti ho legato al passato, ad un brutto passato.
Ti è andata peggio che a Morrissey.

La lezione di oggi è che non dovete mettervi a cercare nei ricordi nel tentativo di legarli a qualcosa o qualcuno. Vi ritrovereste in un mare nero.

Io non conosco quel sorriso sicuro che hai
Non so chi sei, non so più chi sei
Mi fai paura oramai
Purtroppo

Dedicato a C. 




giovedì 16 aprile 2015

Quando si dice "volare basso"

Mentre stavo colpevolmente sbranando un pezzo del mio fragrante plumcake alla cioccolata leggo una teoria complottistica su Andreas Lubitz, famosissimo co-pilota del volo Germanwings precipitato in Francia giusto il 24 marzo scorso.
Il complotto starebbe nel fatto che vogliono farci credere che Lubitz non era depresso, anzi. Le prove della sua Joie de vivre sarebbero che il caro Andreas si preparava a partecipare a non una ma a ben due competizioni sportive, aveva il frigo pieno, le piante erano state ben annaffiate ma soprattutto, cito "Non era obeso o trasandato, ma curava la propria forma fisica" e " La perquisizione nella abitazione del pilota ha portato alla luce una abitazione in ordine, pulita, con tutte le camice stirate e piegate al suo posto".

Stando a tutto ciò, unendo la mia disoccupazione e la mia condizione di appestata (le dermatiti sono dure a morire, loro), io mi sarei dovuta impiccare nel 2012.

Così, sorvolando i complotti, mi sono immersa nelle sciagure aeree.

La più devastante tragedia aerea per numero di vittime rimane il disastro di Tenerife del 1977 quando due velivoli si scontrarono sulla pista dell'aeroporto Los Rodeos con un bilancio di ben 583 vittime. Le ultime parole del comandante del KLM olandese, il mitico Jacob Louis Veldhuyzen Van Zanten, volto storico della compagnia KLM, incredibile sosia di Teo Teocoli, sono state "Oh Shit!".
Il patinatissimo capitano Van Zanten come volto simbolo KLM.

Incredibilmente a quel disastro orrendo, avviluppate dalle nebbie, sopravvissero 61 persone. Un'altro fatto che rende incredibile quel 27 marzo 1977 furono le due bombe nel vicino aeroporto di Las Palmas, piazzate dal gruppo per l'indipendenza dell'arcipelago delle Canarie che giocoforza virarono il traffico aereo dirottandolo sulla pista di Los Rodeos dove avvenne il disastro. Le bombe furono fatte esplodere dagli artificieri, nessuna vittima e pochi danni.
Almeno non in quell'aeroporto. I terroristi con più culo della storia, direi.

Se tutto ciò non fosse abbastanza allora rincaro la dose.

Il volo Air France 447 precipitò nell'Oceano Atlantico nel 2009, seminando ben 228 vittime, tra di loro anche un principe, un direttore d'orchestra, una famosa arpista turca, un attivista per il controllo delle armi illegali e tre trentini. Sì, tre trentini dell'associazione Trentini nel Mondo, per la regolamentazione e l'esportazione del famoso scioglilingua sui trentatré compatrioti avevano opportunamente mandato una piccola rappresentazione simbolica.
Scherzi di cattivo gusto a parte, leggere la lista dei passeggeri, le loro vite, la loro età, stringe il cuore. E stupisce vedere quante diverse vite c'erano sedute a pochi passi l'una dall'altra. A volte mi spuntava un sorriso amaro, come quando ho letto la motivazione del viaggio del signor Harald Maximillian Winner, che stava volando a rotta di collo verso la natia Germania per ottenere i documenti necessari per sposare la donna brasiliana di cui si era innamorato. Alcuni famigliari hanno pensato di aggiungere foto e video dei famigliari deceduti per ricordarli e per insegnarci a non dimenticare (vi lascio il link della lista passeggeri. Quando vi sentirete super felici o in preda a deliri di onnipotenza, questo link potrebbe fare al caso vostro: http://www.airfrance447.com/06/02/unofficial-air-france-447-passenger-list/).


Una delle vittime del volo AF 447

Nel 2011 fu pubblicata la trascrizione delle conversazioni in cabina dove emerge che ai comandi, di notte, durante una tempesta c'era il meno esperto dei 3 piloti. Il che mi sembra un buon punto di partenza per una tragedia. Si è poi chiarito che il comandante, il più esperto, era a dormirsela dopo una notte brava passata a Rio in compagnia di una hostess. E poi dicono che i luoghi comuni non uccidono.
Anche qui, le fatidiche ultime parole del povero pilota inesperto sono "Putain, on va taper... Merde c'est pas vrai!". Penso non serva la traduzione

Puoi essere in ottima forma fisica ma dentro avere il caos, la paura e la voglia determinata di farla finita.
Puoi essere il miglior pilota del mondo, il tuo volto sulle pubblicità della compagnia aerea, avere tutto sotto controllo, ma schiantarti contro il caso che ti aspetta beffardo come la pioggia nei week end.
Puoi pure fidarti degli altri, riposare i tuoi vizi, alleggerirti gli occhi di quel sonno festoso, ma le nuvole cariche di ghiaccio paralizzano anche i tuoi compagni più fidati, increduli nella morte quanto in vita.

Puoi volare come ti pare, ma devi, o perlomeno dovresti, preoccuparti di chi viaggia con te.
Puoi pure credere nelle statistiche che dicono che viaggiare in aereo sia 12 volte più sicuro che viaggiare in treno e 60 volte più dei viaggi in auto, ma avrai sempre paura di cadere.

Quindi, cari futuri passeggeri traumatizzati di velivoli, quando sarete con la testa tra le nuvole dovreste pensare all'amore. In tutti i sensi, compresa una buona performance sessuale che, a quanto pare, è utile per controllare l'ansia del volo (ah, se lo dice lui: http://www.internazionale.it/notizie/2015/04/02/superare-paura-volare).

Per quanto mi riguarda sto ancora digerendo quell'indigesta fetta di plumcake dell'inizio.
Volare mi terrorizza.
Ricordo ancora l'attacco di panico sul volo Malta-Milano Malpensa dove un povero signore inglese, di fronte alle mie lacrime e alla litania "moriremo tutti, moriremo tutti, moriremo male", non riuscì a far nulla di meglio se non offrirmi la sua coscia di pollo, avanzata dal magro pasto da refettorio che ci avevano gentilmente offerto. Solo nell'estate di quello stesso anno, il 2005, caddero 3 aerei.
Penso fosse quindi comprensibile il mio panico ad ogni turbolenza. Un po' meno l'offerta della coscia di pollo per farmi smettere di piangere.

Ma sono ancora qui. E ora andrò ad annaffiare le piante e a sistemare casa. Non si sa mai decida di suicidarmi, voglio farvi impazzire.

La lezione di oggi è che volare si può, volare si deve. Voliamo basso per non esagerare e voliamo alto se ce lo meritiamo. La paura, quella, la porteremo sempre con noi.
E menomale.

venerdì 3 aprile 2015

Pillole di morte: donare il corpo alla scienza

La primavera è sbarcata. E con lei le mie personalissime pillole di morte! Un bel condensato di sciagura e angoscia tascabili.

Parto spedita a raccontarvi di Bobby Darin, uno dei miei cantanti primaverili preferiti dall'altro ieri. 
Il caro Bob nasce nel 1936 e manifesta subito una salute precaria quanto l'equilibrio mentale di un ascoltatore medio dei Club Dogo, sin dall'infanzia infatti soffre di costanti febbri reumatiche che pensavo fossero debellate dal 1536 e di un anomalia cardiaca grave. Ciononostante il ragazzo cresce e si fa largo nel mondo musicale incidendo pezzi come "Dream Lover" e "Mack the Knife", essendo anche un belloccetto sposa la diva dell'adolescenza di mia madre, Sandra Dee. 



Da bambina adoravo mettermi lì a guardare i film di Sandra Dee, quei capelli vaporosi, quei violenti colori pastelli che t'insegnavano ad essere sempre spietatamente femminile, quei baci desiderati. Non potevo immaginare che "Una sposa per due" mi avrebbe insegnato come gestire gli uomini: tutto quello che basta ad una donna è un libro per addestrare cani ed un finto amante. Bobby Darin interpretava il marito fessacchiotto e innamoratissimo e io impazzivo pensando che sarei arrivata ad essere una moglie perfetta come Sandra Dee.
Ma la verità è diversa. 
Bobby e Sandra divorziarono nel 1967 e pochi anni dopo, nel 1973, a soli 37 anni, il povero Bobby, che anni prima si era sottoposto ad un delicato intervento per curare il suo cuore malandato, scorda di prendere l'antibiotico prima di una visita dentistica e schiatta per un' infezione che intacca seriamente una delle sue valvole cardiache.
Niente funerali però, Bobby decide di donare il proprio corpo alla scienza e i suoi resti sono all'UCLA Medical Center di Los Angeles. Forse hanno ancora difficoltà con le febbri reumatiche.

Vi lascio con un grande classico di Bobby, la mia canzone preferita, "Dream Lover".
La lezione di oggi è: prima che la vostra salute vi abbandoni cercate di realizzare i vostri desideri. E almeno ricordatevi di prendere l'antibiotico che male non fa.




venerdì 27 marzo 2015

Il mio amico Riccardo

Ho scritto e riscritto questo preambolo per ore. Sul serio.
Ora, dovete sapere che quando scrivo uso un sottofondo musicale adatto all'esigenza del caso.
Sono partita con i Roxette. Evidentemente mi sentivo anni '90. Ma scrivere con i Roxette che ti urlano nelle orecchie, oltre che controproducente, è altamente nocivo.
Non hanno funzionato nemmeno i madrigali inglesi. Troppo solenni. Troppo stucchevoli.
Per Riccardo III e questo specifico post ho dovuto rispolverare le mie emozioni musicali. Ho rievocato tutte quelle canzoni che mi han cresciuto a schiaffi in faccia.

Parto con "Love is all around" dei Wet Wet Wet. Che sì, fa anni '90 come i Roxette, ma in maniera più educata.

Riccardo III e io ci conosciamo da molto tempo, più o meno da quando lui rimaneva un gobbo bastardo e io una ragazzina felice. C'era intesa, avevamo feeling, con quel suo caschetto nero lo si può a pieno titolo definire il precursore di Severus Piton. E io ho un debole per i tipi cattivissimi che poi si scopre che hanno il cuore d'oro. Sapevo che dietro l'acrimonia di Shakespeare c'era la mano guantata e viscida dei Tudor, non mi sono mai fermata solo a quello che vedevo o leggevo. Altrimenti a quest'ora avrei tutta la filmografia di Mel Gibson.
Me ne restavo lì in camera mia con un cd dei Lagwagon nello stereo e un libro in mano, incastrata tra la lucida vendetta di Amleto e la perfidia pagliaccesca del mio Riccardo. E mi divertivo. Mi bastavo come i matti bastano a loro stessi.




(Ecco, qui passo a "Back to black" di Amy Winehouse. Si entra nel campo delle sepolture e dei momenti bui.)

Ricordo ancora quando nemmeno 3 anni fa scoprirono i suoi poveri resti in un parcheggio. Stava finendo l'estate, era già settembre, l'autunno incalzava tristemente sulle nostre teste, in particolare sulla mia e quella di Riccardo. Vedere quella schiena impietosamente scolpita dalla scoliosi, quel cranio fracassato, quella sconfitta impressa nella cartilagine.
Tutto urlava dolore.
Soprattutto io cadendo dalle scale la sera del mio trentesimo compleanno.
Tendo sempre a manifestare più empatia del dovuto.




(Mi s'inceppa Spotify su "1950" del Maestro Minghi. Operazione nostalgia.)

Alla fine salto sulla sedia domenica scorsa quando leggo per caso che giovedì ci sarebbe stato il rito funebre.
Così spunta una semplice bara di legno con sopra tre rose bianche, un composto silenzio, tanti cavalieri medievali che scortano il feretro. Comincia la febbrile attesa per dargli il mio saluto.
Quante serate a urlare "Un cavallo!Un cavallo!Il mio regno per un fottutissimo cavallo!" con in mano una Ceres e 17 anni addosso.
Sarei stata davanti al mio PC. Sarei stata lì, con gli occhi sgranati e un fazzoletto in mano. Ma questa volta, niente siti vietati.
Già mi ero commossa con il lontano discendente falegname canadese che con le sue mani ha levigato e smussato 530 anni di storia costruendo quella semplice bara di legno.
Sono nata per le celebrazioni, mi rivedo ancora lì, sul mio divano, in tacchi e cappello con veletta durante il matrimonio di Kate e William. Lì col mio sorriso beato e un ospite al mio fianco. Io come Riccardo e lui come il duca di Buckingham.
Perché se c'è una cosa che ho imparato dalla storia è che c'è sempre un duca di Buckingham pronto a fotterti.

(Parte a tradimento "Feeling Oblivion" dei Turin Brakes. Spazio alle lacrime. Scusate se mi rivolgo direttamente al defunto, ma gli devo una spiegazione)

E niente. Come solo la vita può stupirti, ho saltato il tuo funerale, Ric.
Non è stata colpa mia, per carità, avrei voluto esserci. Ma il mio arrapante senologo ha ritenuto di dovermi fare una biopsia, giusto per star sereni. E noi vogliamo star sereni, vero?
Abbiamo passato troppo tempo in balìa di persone che ci han recensito male e trattato peggio, mio caro Ric. Ora come ora sarà meglio ristabilire la verità storica: tu sei stato un buon re per quanto si potesse esser buoni nel medioevo e io son stata un po' troppo sfigata di recente.
I trentanni non sono facili per nessuno. C'è chi cerca di innamorarsi, chi un lavoro serio, chi di governare un paese.
Non pensare che dal 1485 qualcosa sia cambiato, per carità. I problemi sono gli stessi, a parte la dissenteria, di quella non si muore più. Almeno non qui. E per quanto mi riguarda, non ora.
Navighiamo sempre nell'incertezza di un futuro, non capendo nemmeno di chi possiamo fidarci, nemmeno in seno alla nostra famiglia. Che mica solo i tuoi fratelli erano strani. La differenza tra tuo fratello George e mia sorella è che mentre lui annegava nella malvasia, la mia consanguinea si dava al Cointreau.



Comunque la cerimonia è stata bella, l'ho vista e vissuta tramite qualche foto e qualche video. Muoio d'invidia per il fatto che Benedict Cumberbatch abbia recitato una poesia al tuo maledetto funerale. Al mio al massimo chiameranno Gianni Drudi. Che poi "Fiki Fiki" dal vivo rende benissimo. Dovrò trovare un collegamento genealogico tra me e Gianni a questo punto.
Spero che i prossimi 530 anni siano con te molto più clementi di questi ultimi, che la gente possa conoscere il tuo amore per la musica, le tue giuste misure a favore dei poveri del tuo regno, la tua sincera devozione per tua moglie. Lo spero. Gente come me, te e tanti altri ancora meritano redenzione.
La lezione questa volta l'abbiamo imparata.


Lascia che anche io ti dedichi qualche verso. Lo faccio attraverso una canzone che amo.
Ciao Riccardo, è stato un vero onore averti come amico.

"I used to be a little boy
So old in my shoes
And what i choose is my choice
What's a boy supposed to do?
The killer in me is the killer in you
My love
I send this smile over to you"


(e poi, finita "Disarm" mi parte improvvisa "Mr. Coffe" dei Lagwagon. Scusate, vado a ballare)


venerdì 20 marzo 2015

Di peste, eclissi e presagi

Carissimi e sanissimi lettori, eccoci qui.
Se avete interpretato l'eclissi di oggi come presagio di sventura, bravi, avete azzeccato: ecco infatti un nuovo appuntamento con Ars Moriendi!

Vi chiedo scusa in anticipo se troverete dei refusi grammaticali, ma sto scrivendo con un occhio solo. 
Sì, ho provato a guardare l'eclissi con uno scolapasta e gli occhiali da sole. 
Sono salita sul terrazzone al sesto piano, scolapasta alla mano e occhiali da sole sul naso, ho guardato l'eclissi per un mezzo secondo prima di accorgermi che il vicino del sesto piano suole lasciare il suo dobermann scorrazzare libero per sgranchirsi le zampe proprio su quel dannato terrazzo condominiale. Sì, lo so, avete detto in lungo e in largo di non farlo, ma vi giuro che ho guardato quel maledetto disco solare per pochissimi secondi. Al mare, per dire, da bambina lo guardavo fisso per lunghi secondi prima di fare il bagno. Ve l'ho già detto che ero una bambina particolare?

Beh, comunque, il mio occhio destro è andato. E comincio a pensare di essere un prodotto delle piaghe medievali. Nemmeno un mese  fa infatti mi trovavo al Pronto Soccorso per un problema di macchie sulla pelle. Io avevo sentenziato che si trattasse di peste bubbonica, ma quel dannato cerusico del Sant'Orsola mi disse che si trattava di un banale Eczema Microbico Migrante. 
Sarà banale, ma sta di fatto che è ancora con me. Continuo a pensare che sia peste.
E così, cercando qualche informazione sulla peste, mi sono imbattuta in una notizia che mi ha letteralmente travolta: A Londra hanno scoperto circa 3.000 scheletri mentre lavoravano alla costruzione della nuova struttura della stazione ferroviaria di Liverpool Street Station. 3.000 fottuti scheletri. Pare si tratti di molti appestati deceduti durante la grande epidemia del 1665 di cui, guarda caso, proprio quest'anno ricorre il 350° anniversario. Non avete idea dell'immenso lenzuolo di morte che ammanti ora quel luogo.



Ovviamente flotte di apprendisti ghostbusters e spiritisti sono andati sul luogo percependo ogni sorta di male e sventura. Per quello bastava venissero nel mio condominio.
Una sensitiva afferma senza dubbio che i passeggeri futuri si porteranno addosso il dolore e la tragedia dei defunti sulle loro spalle. Poveri pendolari.
Anche se ora mi spiego il perché della mia personale sciagura: in tanti anni di pellegrinaggio storico a Londra non ero mai transitata dalla Liverpool Street Station. Ma, coincidenza, ci sono passata proprio nel 2012, quando tutta la mia sfiga ha deciso di premere sull'acceleratore. Quindi, caro defunto che in quell'occasione hai deciso di appoggiarti a me, scavati gentilmente dalle palle che così vado avanti, che con la sfiga son bravissima da sola.

Se tutti questi morti non vi bastano allora sarà il caso di ricordarvi della povera Anna Neville che moriva 530 anni fa e lo faceva proprio durante una storica eclissi di sole. Anna Neville era la moglie del famosissimo  re Riccardo III (quello che svendeva il suo regno per un cavallo durante la battaglia di Bosworth field, per dire come stiamo messi) che, dopo una brevissima tubercolosi, lasciava il suolo terreno proprio mentre tutti i nasi d'Inghilterra stavano su a guardare quel curioso, quanto sciagurato, evento astronomico.



L'eclissi fu poi interpretata come il segno inequivocabile che la casa regnante di York era al capolinea. 
E certo, poi di fatto Riccardo III fu sconfitto e cominciò il periodo Tudor. Di male in peggio. Ma di lui parleremo più avanti, anche perché il fatto che il suo corpo sia stato trovato in un parcheggio mi fa veramente sbellicare. Gli unici morti che puoi trovare in un parcheggio, di solito, sono quelli che cercano posteggio davanti a te, all'IKEA, di sabato pomeriggio.
Quindi, se uniamo i 530 anni dall'eclissi e dal declino della casata York e i 350 anni dalla grande peste di Londra penso che tutto sommato per il Regno Unito questo sarà un anno molto croccante.

La lezione di oggi è palese: senza maschera da saldatore non si guarda l'eclissi. E, se per caso pensaste di avere la peste, fatevi prescrivere un antibiotico per una settimana e siete a posto.
Credo.