lunedì 29 ottobre 2012

Gene Wilder non è morto.

V'insegno a non ingigantire gli avvenimenti ma, viceversa, a usare la curiosità positiva per capire la realtà e le emozioni che si nascondono dentro.
No, non è il titolo di un manuale di self-help, per esserlo dovrebbe avere qualche parola scurrile nel mezzo tipo "seghe mentali" o "meravigliosa stronza". No.
Giusto qualche giorno fa mia madre pensava fossi morta sbranata da un branco di pitbull solo perchè avevo il cellulare silenzioso. Giusto sabato mia nonna pensava che mia sorella fosse morta sbranata da un branco di pitbull solo perchè non rispondeva al telefono. Poco importa che io avessi dimenticato il cellulare silenzioso o che mia sorella avesse l'influenza e volesse solo innocentemente dormire.
Noi eravamo morte. Sepolte. Violentate da necrofili naziskin e tumulate in un cantiere della TAV. Morte.
 
La realtà era diversa ma a nessuno importava. Un po' come Gene Wilder, ve lo ricordate vero, Gene Wilder?
Che fosse Willy Wonka (il cui faccione sorridente ora imperversa su Facebook contornato da frasi sarcastiche come il mio metatarso) o il mitico Professor Frederick Frankenstein, l'insicuro Teddy Pierce de "La signora in rosso" o il sordissimo Dave di "Non guardarmi: non ti sento", Gene Wilder mi ha sempre fatto sganasciare.
Poi, ad un tratto, scomparve.
Dai, avanti, chapeau a chi ricorda un film di Wilder posteriore al 1991.
 
Così, una sera parlando con amico cinefilo salta fuori che Wilder è morto. Ma va là, figurati, questa è come la storia che James Stewart sarebbe il nonno di Kim Rossi Stuart (avere un nipote di nome Kim dev'essere devastante. Soprattutto trattandosi di un uomo. Che ha fatto "Fantaghirò").
No caro amico, Wilder è vivo. E non perchè mia nonna fosse preoccupata di non vederlo dal 1991, ma perchè l'ho visto in tv poco tempo fa, lo stavano intervistando. 
E' lì che ho scoperto dov'era finito.
 
Uno non fa nulla dal 1991 e pensano sia morto. Tsk.
Un lutto, Wilder, lo sopportò. E fu devastante.
Gilda Radner in Wilder, chiese al marito Gene di aiutarla, di farla uscire dall'ospedale dov'era ricoverata per un tumore in fase terminale alle ovaie, perchè lei lo sapeva, non sarebbe sopravvissuta alla Tac. Ad una banale Tac. Il buon Gene la rabbonì, "vedrai che andrà tutto bene, ci vediamo qui, dopo". Tornò dalla Tac in coma. Per 3 giorni rimase lì, incosciente. Per poi morire dopo lunghi, agonizzanti rantoli. E Gene era al suo fianco, con il cuore rotto dall'impossibilità di dirle addio, stroncato da quel destino beffardo che gli aveva impedito di salutarla per un'ultima volta.
E così, piano piano, Gene Wilder è scomparso. Il mondo, il cinema, noi andavamo avanti mentre lui diventava un puntino alle nostre spalle. Un puntino triste, solo, senza amore. Morto-non-morto.
 
 
 
Lo abbiamo lasciato solo e abbiam pensato fosse morto.
Abbiamo ingigantito la realtà come la mia tv ingigantisce le cosce di Christina Aguilera, lo abbiamo ucciso e rimosso per non doverci preoccupare di lui e dei suoi guai, per poi magari dire "Mica è colpa mia! E' lui che è morto!".
Già. Esattamente come fanno mia madre e mia nonna. Esattamente come facciamo noi con i problemi scomodi, gli amici scomodi, gli amori scomodi.
 
La lezione di oggi è che magari, prima di trarre conclusioni, di escludere un'opzione, di darci per morti durante un conflitto a fuoco a Scampia, fermiamoci.
Ascoltiamo le persone che amiamo. Loro sanno se son morte o meno.
 
 
 
 

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