venerdì 22 febbraio 2013

La tragica somiglianza dei bellunesi

"Oh, Fede, è morto Tavasani, dovresti fargli un Ars come minimo!".
Venghino signori venghino, avete un necrologio da fare? Blocco dello scrittore causa telegramma di condoglianze? Ma venite da me che vi riempio di idee, dovrebbero assumermi in una di quelle aziende che fanno biglietti augurali per ogni evenienza (sì, tipo quella di "500 giorni insieme", film spettacolare sulle relazioni tra uomini e fighe-di-legno-che-non-vogliono-una-relazione-con-te-per-tipo-un-anno-e-poi-ti-lasciano-e-dopo-solo-due-mesi-si-sposano-con-un-altro).
Così eccomi qui, causa neve ed impraticabilità di ogni strada nemmanco fossimo in Kamcatka, a casa, davanti al computer con l'arduo compito di scrivere un bel coccodrillo per Tavasani.
Partiamo dall'inizio.
 
2011, grigia scrivania del glorioso Ufficio Stampa MotorShow. Ci siamo spostati tutti in fiera. La scrivania rimane grigia. Siamo in un ufficietto con le porte a vetri, davanti a noi passano loro, i giornalisti. Alcune vecchie cariatidi con la macchina fotografica al collo, ragazze bellissime che si rifanno il trucco mentre camminano su tacchi vertiginosi, cameramen stanchi e curvi. I giornalisti fanno la spola dalla Sala Stampa al bar, passando inesorabilmente davanti a noi.
Ogni tanto entrano impauriti, guardano la mia collega Chantal o la cara compagna di scrivania, Lilla, ignari, ma nemmeno tanto, di trovarsi di fronte a Cerbero: tre teste, sei stomaci, palle lunghe fino allo stand della Wolksvagen.
Tra di loro, composto, alto e allampanato, c'era Tavasani.
Tavasani era semplicemente Tavasani. Un giornalista di quelli da salvare. Uno di quelli che si accampavano in sala stampa ma almeno un paio di buoni articoli sul Motor Show li scriveva. Era l'essere mitologico che era riuscito ad accaparrarsi l'ultima shopper rossa che regalavano allo stand di Enel. Tavasani si presentava anche alle conferenze stampa, non aveva richieste assurde ed era, sì, era un... Giornalista Gentile.
Si è spento qualche giorno fa qui, nella sua adottiva Bologna.
A parte la passione per tutto ciò che fosse "aereo" (piste d'atterraggio, aerei, hostess e quant'altro lo rendevano felice, commentano i suoi colleghi de Il Resto del Carlino, testata per cui lavorava), di Tavasani mi ha colpito la foto. Sorridente ma non ridanciano, occhi piccoli ma espressivi, composto.
Poi leggo: "Nato a Belluno [...]dove il padre guidava il birrificio Pedavena". Un segno divino.
A parte amare la birra Pedavena quasi quanto la Ceres, Tavasani è legato a doppio nodo con tanti miei ricordi. Come quella volta in campeggio a Farra d'Alpago, vicino a Belluno, dove mi slogai la caviglia appoggiandola di merda sulle panche legnose e lisce del birrificio Pedavena. Bellissima vacanza. La ricordo tuttora con orrore e rabbia, un po' per l'infermità forzata provocata da una postura da ubriaca e un po' per la compagnia, che sdegnosa si rifiutava di credere al mio infortunio nostante la caviglia a forma di Hindenburg post incidente.
E poi, sì, più guardo la foto, più mi viene in mente il caro amico Denis.
 
 
 
(Anche il caro amico Denis era di Belluno, anzi, precisamente di Soverzene, un paesino idilliaco sopra il Vajont. Come Tavasani, Denis incarnava la fisicità craniale dei bellunesi: sorriso stretto, occhi acquosi, capello composto. No, lo sapete quanto me che il buon Denis non è deceduto, ma si è trasferito in Svizzera. E per certuni la sua partenza ha assunto i contorni di una vera e propria dipartita. Vedere la foto di Tavasani mi ha ricordato che in un certo senso, nemmeno Denis è più con "Noi".)
Leggere di tutti gli aperitivi e i brindisi che avevano coinvolto quel bontempone di Tavasani dagli anni sessanta fino al giorno della sua morte mi ricorda la vena tipica dei veneti, sempre inclini alla risata, alla presa in giro e alla malinconia del ricordo. Mi viene in mente Feltre, la fisionomia del veneto verde e prezioso, le scale mobili che ti portano a Belluno.
Ma drammatizzo i miei ricordi, perchè Tavasani era bolognese di adozione, lui a 8 anni se ne va da Belluno manina nella manina con papà e mamma e viene a vivere qui per i suoi restanti 63 anni.
Altro che Pedavena, altro che scale mobili o demenzialità soverzenese, qui siam sempre nella nostra, nella sua Bologna.
E allora addio Tavasani, mostra agli angeli la borsa rossa dell'Enel come il trofeo del tuo penultimo
Motor Show, quando i gadget erano fighi e le strappone sulle macchine erano più gnocche.
 
Lezione di oggi: non anneghiamo nei ricordi cercando perchè o percome. Se la foto di un uomo buono veneto ti fa venire in mente un altro uomo buono veneto, allora è tempo di riderci su e andare avanti. Bevendo Pedavena.
 

giovedì 14 febbraio 2013

Tra San Valentino e San Romolo.

Svegliarsi la mattina di San Valentino. Sola.
Nel mio letto King Size 6 posti a fianco a me c'è il mucchio di panni in attesa di essere stirato. E non è proprio sexy e ammaliante. E nemmeno carico d'amore. Mi tiro su tipo sacco di patate e invio gentili bestemmie verso i bambini del piano di sopra che, per tutta risposta, sbattono i piedi e inviano bestemmie a loro volta. I bambini di oggi. E le loro stupide madri.
Tiro su la tapparella e fuori mi aspetta un bellissimo cielo grigio melange.
Mentre faccio colazione guardo la tv. E in tv c'è il mio ginecologo. Già, pare che Cielo stamattina faccia la maratona di tal programma chiamato "Reparto Maternità". Mi vengono i brividi e cambio canale più in fretta di Bolt.
Mi stiracchio, stendo e metto in ordine. Una giornata come tutte le altre. Fosse altro che è la festa degli innamorati. E c'è chi ha pensato di festeggiarla con il botto. Tipo Oscar Pistorius che ha scambiato la sua ragazza per un ladro e ha ben deciso di spararle.
Ora.
Parliamone.
La storia non è chiara. Questa poveraccia entra in casa e Pistorius (chissà se indossava le protesi. No perchè se no è premeditazione. Altrimenti te ne stavi a letto, protesi al chiodo e addio al secchio che ti accorgevi del "ladro") gli ha scaricato addosso 4 colpi di pistola.
Non uno stile "'ndo cojo cojo", sparando alla cieca. No, 4 colpi, di cui uno dritto in testa. Pistorius potrebbe seriamente pensare di cambiare disciplina olimpica.
 
 
 
Questi santi infestano sempre febbraio che di per sè sarebbe un mese tranquillo. Odio Sanremo e il Festival che ammorba la città. Cantanti, o pseudo tali, riesumati dalle loro bare, sverminati e insaccati dentro completi illustrinati e luccicanti. Miliardi di finti commentatori che intasano i social network con i loro pareri non richiesti che arrivano puntuali ad ogni esibizione, pubblicità, ospite speciale.
Sanremo mi sdrena. Ma è un evento che catalizza l'attenzione di tutti gli italiani più o meno medi, per certi artisti Sanremo è l'unica volta all'anno che possono sfruttare per ingannare il totomorto (ad esempio pensavo che Toto Cutugno fosse trapassato, ma, come ho letto, si è presentato scortato dal coro dell'Armata Rossa. Abbiamo afferrato il concetto, Toto).
I Ricchi e Poveri dovevano cantarcele di santa ragione, ma all'ultimo il figlio del "baffo" Franco è deceduto nella sua casa, pare ucciso dallo stress (Pare. Stress. A 26 anni. Pare.).
L'ironia sta anche nel fatto che San Remo, come santo, non esiste. Anzi, il patrono di Sanremo è, guarda che proprio l'han fatto apposta, San Romolo.
 
Mi spunta un sorriso mentre scrivo. Ogni giorno veniamo bombardati da milioni di opinioni, su tutto. Oggi sarà il trionfo dell'acidità dei singles, dei cuoricini  e delle speranze degli innamorati, degli chicconi snob che non lo festeggiano ma in cuor loro speran sempre in qualche sorpresa.
 
Io oggi ho ricevuto un bacio più grande di quelli che ricevo di solito. E non mi lamento.
Guarda cos'è successo alla ragazza di Pistorius.
 
La lezione di oggi è: Amatevi, amate, siate dolci e melensi. Spegnete la tv che Sanremo è morto. E soprattutto se andate a casa di Pistorius, suonate il campanello. 
 
 

mercoledì 13 febbraio 2013

Pillole di morte: la sorella di Coulthard

David Coulthard, famoso pilota di Formula 1 e mascella quadrata peggio di Ridge, sta per partecipare ad una trasmissione mattutina della BBC1 , è sabato e deve stare in una finta cucina mentre il solito presentatore babbeo gli chiede le solite cose sul solito circo della Formula 1. Tutto sommato non gli va male. Poi, poco prima di entrare in quella finta cucina, qualcuno gli sussurra piano che sua sorella Lynsay è morta.
 
 
 
David Coulthard è seduto su uno sgabello e guarda un tipo cicciotto vestito di nero preparare una pastella. Il tipo cicciotto, guarda caso, gli fa domande sulla Formula 1 e David, elegante e casual allo stesso tempo vestito in giacca nera e camicia bianca, risponde velocemente con il suo tipico accento scozzese. Nel frattempo, in Scozia, a Crossmichaels, la sorella Lynsay giace senza vita nella sua deliziosa casetta, con la polizia e il coroner intorno a lei. E David si tiene stretto nella mascella il dolore e lo sgomento, lì, a chilometri da lei, davanti ad una pastella.
 
Lynsay Coulthard aveva 35 anni, una bambina di otto mesi, un marito rubicondo, un lavoro come infermiera e la totale dedizione al fratello di cui gestiva il museo a lui dedicato a Twynholm.
 
In tutto questo, oltre al dolore, c'è una verità che mi gela il sangue: qualcuno ha dedicato un museo a Coulthard. Poco importa sia stata la stessa Lynsay.
 
Le lezioni di oggi sono poche ma semplici: non importa quanto veloce corra la tua vita, arriverà il momento in cui ti dovrai fermare. E forse non sarà piacevole.
La vita è breve. Mi sembra suoni abbastanza chiaro il concetto ogni volta che mi trovo a scrivere questo blog. La vita è breve per starsene seduti su un divano a crucciarsi. Un giorno fai visite guidate in un museo dedicato a tuo fratello e il giorno dopo sei distesa per terra a bocconi.
 
Alziamoci dal divano e aspettiamo che dedichino a noi un museo.

martedì 12 febbraio 2013

Morto un papa se ne fa un altro. Più o meno.

Ed eccomi lì tranquilla a guardare Deejay chiama Italia (sì, lo confesso, ho un assoluto ed ingiustificabile debole sessuale per Nicola Savino) quando, da una rapida occhiata su Twitter e Facebook, scopro l'inimmaginabile: Papa Ratzinger si dimette.
La faccia di Joseph è sempre la stessa, abbattuta, un po' imbarazzata. "Non ho più le forze".
E devo dire che ieri ne ho lette di tutti i colori. E sì, ammetto candidamente che ho riso molto per certe foto e certi commenti.
Ma uno in particolare mi ha urtato, ha cozzato contro le mie ossicina. Un commento fastidioso come una zanzara, ma soprattutto ammantato di quel tono nazionalpopolare-ipocrita-buonista che mi fa rizzare i capelli. Così stamattina ho subito cercato quelle parole sciolte e senza intelligenza. Volevo commentare a mia volta. Niente. Non ho trovato nemmeno un punto di quella frase. Proverò comunque a ripeterne il non-senso.
Il sedicente intellettuale nazionalpopolare polemizzava sulla caratura morale di Ratzinger, lo infamava sottilineando la mollezza fisica e morale di fianco all'immenso sacrificio del predecessore, un pontefice umile e immenso.
 
Certe volte dimentichiamo di essere umani. Certe volte dimentichiamo che siamo TUTTI esseri umani, tolta forse l'infermiera Patrizia dell'ASL di Casalecchio addetta all'analisi delle urine, lei no, lei è un cazzo di cyborg.
Siamo esseri umani dunque, abbiamo delle scelte da compiere ogni giorno, pensate alla classica Casalinga di Voghera e a Benedetto XVI. La lucidità, l'impegno e la forza fisica consentiranno sia alla Casalinga che a Benedetto di compiere azioni giuste nel modo giusto o anche di compiere azioni sbagliate, moralmente discutibili, prendere posizioni non condivisibili, nel modo giusto. Per la Casalinga si tratterà di un tradimento sessuale sadomaso ai danni del marito ragioniere con l'idraulico/falegname/ciappinaro di turno mentre per Benedetto si parlerà di lotte intestine al Vaticano, di decisioni per il futuro della Chiesa Cattolica e di scandali ora da coprire, ora da affrontare. Senza lucidità o impegno o forza fisica, entrambi compiranno azioni sbagliate nel modo sbagliato.
E ci scordiamo, e si scorda il sedicente intellettuale nazionalpopolare, che a volte portare una croce e guidare un gregge allo stesso tempo richiede lucidità, impegno e forza fisica. Benedetto è sempre stato un teologo, sempre in biblioteca a studiare, a scrivere e teorizzare mentre magari un branco di cardinali seduti in fondo alla biblioteca faceva casino che non si riusciva nemmeno a leggere in pace, guarda te. Un uomo del genere, un freddo teologo, un dialogatore, pensa a guidare lucidamente le persone che lo attorniano. Un uomo così non è adatto al martirio fisico, è un uomo che riconosce i propri limiti, soprattutto fisici, di anziano. Perchè ad 86 anni, chiunque, tranne la regina Elisabetta (cyborg), ha bisogno di fermarsi, fisicamente. Benedetto non voleva essere un cieco che guida altri ciechi, riconosciamogli dunque l'onestà intellettuale.
Giovanni Paolo II era diverso. Lasciate stare la facciata da tenero labrador indifeso che lo ha contraddistinto. Giovannino era un duro, un eroe, uno di quelli che combatteva le iniquità in un italo-polacco da far paura anche a Skeletor. Da eroe se n'è voluto andare. Fino all'ultimo respiro è stato lì, presente. O assente. Devastato dal Parkinson, fisicamente una carcassa, Giovannino non ha mollato. Nel bene e nel male.
 
 
 
La mia laurea in storia medievale m'insegna che i papi di allora erano molto più goliardici e compagnoni e che per fare un nuovo papa non per forza si doveva aspettare che quello in carica fosse morto. Addirittura il povero papa Formoso un anno dopo la sua morte  fu  riesumato e condannato per malefatte che , forse, aveva compiuto durante il suo pontificato. Uno scheletro di un passato che si voleva abiurare, nascondere e sprofessare, adagiato con tutti i paramenti su uno scranno. Che spettacolo osceno. Un po' come guardare Andreotti in Senato. 
 
Questo paragone Ratzinger-Giovanni Paolo mi ricorda le storie d'amore. Paragonare il papa precedente al papa che abbiamo ora è sbagliato. A volte ci possono mancare le gentilezze e le carinerie, l'impetuosa voglia di viaggiare per il mondo o l'amore per gli animali, ma ogni papa che viene eletto porta con se nuovi modi di gestire il proprio mondo, qualche decisione ci lascerà l'amaro in bocca, qualche altra ci regalerà sorrisi ed emozioni imparagonabili ad altre mai vissute. Puoi solo sperare che non molli il pontificato, come Ratzinger. E' questo che significa "morto un papa se ne fa un altro", accettare il fatto che il cambiamento, quando arriverà, potrà non piacerci o spaventarci, ma sempre di cambiamento si tratta. Una nuova fase della nostra vita. Da fedeli o non.
 
La lezione di oggi è che morto un papa se ne fa un altro. Senza il bisogno di disseppellire il predecessore per fare paragoni o accuse. Speriamo che questo papa non molli.

martedì 5 febbraio 2013

Pillole di morte: Il condono tombale.

Da oggi si apre la stagione della gioia. O almeno ci provo.
Basta con le lacrime da abbandono, basta con tutta questa tristezza che mi ammanta stile pelliccia Annabella di Pavia.
Oggi si sorride, complice il bel sole e le cazzate di Berlusconi.
Ebbene sì, Ars Moriendi si schiera fieramente dalla parte dei morti, non certo da quella dei non-morti.
A parte la restituzione dell'IMU (cose che, bene chiarirlo qui, è una cosa possibile come possibile è la glaciazione del regno degl'inferi. E per molti, il regno degl'inferi, manco esiste.) la cosa più esilarante è stato l'accenno al cosiddetto "Condono Tombale".
 
 
 
Ora, qui ci occupiamo di morte quotidianamente, e il condono tombale, già dal nome, ci porta ad una questione inerente al decesso: la morte della nostra dignità, morale e fiscale.
In sostanza, se avete compilato male la vostra dichiarazione dei redditi perchè il vostro commercialista è scappato a Courmayer con i vostri soldi o se voi siete il commercialista scappato a Courmayer e non vi sognate nemmeno di fare la dichiarazione dei redditi, ecco allora che per voi arriva il Condono Tombale, in meno di un minuto mia Nonna che ha sbagliato a redigere una voce e un Briatore a caso che si è accidentalmente scordato di informare lo stato dei suoi svariegati SUV, yachts, Trillionaire e Apprendisti, sono magicamente lindi, puliti e senza macchia di fronte alla macchina fiscale.
Come il vecchio paragone della madre che ruba una mela per sfamare i suoi bambini e il milionario ingordo che froda i poveri. Uguali.
 
L'unica cosa che adoro del Condono Tombale è l'aggettivo Tombale.
Perchè chi lo propone dovrebbe pensare piuttosto ad una Lastra Tombale. La sua, possibilmente.
 
La pillola di oggi è: il silenzio tombale è la risposta migliore a chi propone un condono tombale. Magari non avrete indietro l'IMU, ma avrete salva l'anima.
 

lunedì 4 febbraio 2013

Sepolti in casa.

E' proprio vero.
Quando tutto volge al meglio, quando sembra quasi che la tua vita stia per prendere una direzione non del tutto marcia, allora è lì che succede qualcosa che stoppa il processo di evoluzione verso la serenità.
Un conto infatti è vedere gli scatoloni che si accalcano in casa tua manco fossi nel magazzino dell'Oviesse, un altro è sentire il tuo coinquilino pronunciare la frase "Lunedì me ne vado".
 
E così ti rannicchi in un angolo del divano, piangi pensando ad ogni singolo momento degli ultimi 8 anni passati con lui, li rivedi nitidi ma al rallentatore. Ogni fotogramma, più vai avanti, più t'induce conati di vomito e spasmi asmatici. Pensavi di esser forte abbastanza per stare sola ad affrontare 55 mq. Di giorno è facile. E la notte si dorme. E' la sera che frega.
 
Le case intrappolano. Real Time ci ha fatto un programma dal titolo molto esplicito "Sepolti in casa".
Ma Real Time ha anche 18 programmi diversi sull'essere obesi, quindi mi sembra che non sappia bene cosa voglia dire essere "Sepolti in casa".
 
Ma come sempre, partiamo dal principio. E il principio si chiama Alexis Vidakis.
Sì, sì, lo so, allusioni al fuoco, alla carne e all'ardente desiderio associato alla sua morte son stati di cattivo gusto, chiedo venia. Ma come solevo dire a 3 anni "Sono solo un essere umano" (mia madre va pazza di questo piccolo aneddoto).
Alexis Vidakis io lo conoscevo attraverso i racconti di un'Amica. Schivo, taciturno, produttore di documentari per la RAI. Ecco quel che so di lui. E che sa di lui la mia Amica, che pure con lui aveva parlato per questioni condominiali.
Alexis Vidakis è morto nel rogo della sua casa insieme alla madre. Come raccontano i quotidiani, la casa era invasa da cumuli di giornali, scartoffie, sporcizia. Armadi vuoti ma pavimenti pieni di qualsiasi cosa, vestiti, libri, ricordi.
Alexis Vidakis era un uomo colto, possedeva i diritti di distribuzione di opere di Tarkovsky e di Sergej M. Ejzenštejn, eppure nessuno lo vedeva da anni. Alcuni erano convinti fosse partito per la Grecia o per la Russia. Il regista Bellocchio lo aveva ringraziato nei titoli di coda di un suo film. Aveva prestato la sua Fiat 600 ad Enrico Ghezzi, che ovviamente gliela restituì incidentata.
 
Perchè una vita così piena è rimasta soffocata tra quattro mura?
Di case, Vidakis e mamma, ne avevano 3. Due erano vuote. Una delle due è vuota, fredda, senza finestre o rubinetti. Lo so, me lo ha detto la mia Amica. Due case vuote e una strapiena, straripante di ricordi, frammenti di vita, quotidianità.
In un attimo le fiamme hanno divorato due esistenze, due tipi diversi di memoria del passato, un enorme bagaglio di esperienze sparse alla rinfusa tra il loro cuore ed il loro pavimento. E' così quando le cose t'intrappolano. Quando non riesci a fare ordine nella tua vita perchè dentro di te sei esploso e i pezzettini del tuo io son sparsi tra la milza, i reni e il condotto lacrimale.
Tutto quel fumo e tutte quelle fiamme hanno risparmiato solo un gatto. Il gatto dei Vidakis. La creaturina si era rintanata sotto una pletora di cuscini. Salvando la pellaccia ed esaurendo una delle sue 7 vite.
 
 
 
Così ora riguardo quel mio angolo di divano e penso che sia meglio farsi un giretto sotto questo splendido sole di ghiaccio piuttosto che rintanarsi nella propria casa nascondendo il dolore ed accumulando ricordi per terra o assemblandoli in tanti fotogrammi di disperazione stile scalinata di Odessa ne "La corazzata Potemkin".
 
La lezione di oggi è che per superare un dolore che ci rimane attaccato come una macchia di vaselina su un vestito beige di H&M da 7 euro e 95 cent, bisogna uscire dalle tenaglie delle trappole, togliere le foto di un passato ormai andato e sorridere al futuro pensando ai propri amici, al lavoro, alla propria casa e, nel mio caso, ad un "ciccione" che mi vuole molto bene.
Per la macchia di vaselina attendo consigli.
 
Fra, questo post è per te. Sono sicura che ora sentirai meno freddo provenire dalla casa di fianco. E comunque tra un po' è estate.
 
 

martedì 29 gennaio 2013

Quando tutto segue la corrente, perfino un cane.

Ho aperto questo scoppiettante 2013 con una marea di cose buone.
Io e il mio coinquilino ci vediamo al massimo due ore al giorno, facciamo delle sane chiacchiere mentre impacchetta la sua roba e intanto progetto come riempire armadi, cassetti, vani della libreria con tutte le mie amatissime cianfrusaglie.
Il mio incessante bisogno di essere amata/apprezzata/coccolata/spronata come al solito non attecchisce su mia madre, ma in compenso trovo che mio padre si stia appliccando molto su questo aspetto. Posso concludere che il 50% dei miei genitori è sano. L'altro 50 è trattabile.
I miei amici sono sempre lì, fermi, granitici, alle prese con le solite cose: squadre omicidi, quadri di Schiele, aerei della Ryanair, dottorati e dottorate.
Ho trovato anche una trastullante occupazione che mi ha allontanato da questo mio splendido parlar di trapassi ma che ha riempito il mio conto corrente.
E poi sì, diciamo che c'è qualcuno che mi fa ridere. E ridere è una delle cose che voglio fare di più quest'anno. E ridere con qualcuno che riesce ad esser più stupido di te è impagabile. Quindi grazie mio piccolo stupido fan.
 
Finito di scrivere sciocchezze da adolescente innamorata, passiamo a noi.
Di carne sul fuoco ce n'è a volontà, potrei ad esempio parlarvi della morte di Alexis Vidakis, produttore televisivo e cinematografico morto nel rogo della sua casa domenica proprio qui a Bologna. E mi rendo conto rileggendo che "di carne sul fuoco ce n'è a volontà" rende l'idea. Ma no, non oggi. Vi lascio ardere dalla curiosità.
 
Oggi vi parlo del Labrador di George Michael.
Poco tempo fa, non ricordo nemmeno perchè, stavo leggendo delle biografie su Wikipedia. Grandi personaggi della storia inglese, che hanno reso la Gran Bretagna un paese forte e non convenzionale, tipo Elton John, Jay Kay, i Five. E lui, Georgios Kyriacos Panayiotou, ovvero George Michael.
 
 
 
George Michael, tutti ce lo ricordiamo in "Last Christmas" con quei suoi vaporosi capelli biondi, quello sguardo ammaliatore nascosto da un cappuccio di pelliccia, quei suoi amici con addosso plaid e tovaglie che evidentemente negli anni '80 venivano usati come giacconi, e il povero Andy Ridgeley, altro sconosciuto membro degli Wham!, conciato come Milo Infante.
Come dimenticare la misuratezza delle mises di Georgios in "Wake me up before you go-go": mutande contenitive spacciate per pantaloncini bicolor, guanti gialli alla Topolino e maglia da profeta new age che anticipa gli anni '90 con scritto "Choose Life". E glissiamo sul cappellino da fronte abissino che han fatto mettere al povero Andy.
George Michael era energia pura in quegl'anni. Le donne, ignare dell'orientamento sessuale di Georgie, lo adoravano. Ecco. Io magari non ero adolescente  negli anni '80, ma qualche domanda me la sarei fatta comunque. Magari guardando il trionfo della cultura gay presente in "Club Tropicana", dove vieni accolto da un uomo baffuto, simbolo del macho gay e da un Georgie in slippino bianco in posa impossibile anche per un contorsionista bulgaro, che placido sorseggia un drink con l'ombrellino. In questo bel video, che posterò qui, Georgie viene ribaltato dallo stesso materassino, nella stessa piscina, almeno una ventina di volte. C'è anche un chiaro elogio ai ricci selvaggi e alle gite sul mulo. Andy sfoggia le meches bionde.
 
 
 
Tutto è un trionfo.
Ma poi Georgie vuol fare di testa sua e da solo canta "Careless Whisper". Si sa, quando all'inizio di una canzone parte il sax allora è tutto scritto: o sta per partire un incontro amoroso stile Beautiful o qualcuno sta per cantare un pippone romantico che scalerà le classifiche.
Ed eccoci qui. Da allora Georgie ha partorito milioni di canzoni e video geniali ("Let's go outside" domineddio è il video più geniale di tutti i tempi), ha fatto concerti in ogni dove e finalmente è uscito allo scoperto.
Ma si sa, la depressione e lo stress sono in agguato.
E così Georgie comincia ad abusare di Cannabis, comincia ad abusare di farmaci e abusa anche di qualche cespuglio dove sfogare la sua esuberante mascolinità.
Così qualcuno gli suggerisce di prendersi un Labrador, i cuccioli si sa, rilassano, amano incondizionatamente e sono pazienti. E a quanto pare si gettano nel Tamigi.
L'oscura vicenda del suicidio del labrador di Georgie è alquanto misteriosa. Wikipedia accenna: "Sebbene il cantante abbia tentato di sfuggire ai suoi problemi di depressione con l'uso di Prozac e marijuana oppure acquistando un Labrador Retriever (che poi, però, morì nel Tamigi)[...]".
Tutto qui. Ora, come diavolo avrà fatto un Labrador, quel Labrador a finire nel Tamigi?
La vita di Georgie faceva schifo, nessun singolo in uscita, pillole e caffè tutto il giorno. E il Labrador che ti abbandona. Nel modo più orribile.
Eccoci al nodo cruciale.
Vogliamo essere il Labrador o George? Vogliamo abbandonarci al destino o combattere?
 
Le lezioni di oggi, sì avete capito bene lezioni al plurale, sono le seguenti:
1) Mai nascondere ciò che si è. A meno che non siate come Andy Ridgeley.
2) Mai affidarsi ciecamente a qualcuno. Anche i Labrador hanno una pazienza, a quanto pare.
3) Scegliete come rialzarvi ma fatelo, io lo sto facendo.
 
E tra essere il Labrador o George io scelgo l'impossibile: essere il fiume Tamigi.