giovedì 16 aprile 2015

Quando si dice "volare basso"

Mentre stavo colpevolmente sbranando un pezzo del mio fragrante plumcake alla cioccolata leggo una teoria complottistica su Andreas Lubitz, famosissimo co-pilota del volo Germanwings precipitato in Francia giusto il 24 marzo scorso.
Il complotto starebbe nel fatto che vogliono farci credere che Lubitz non era depresso, anzi. Le prove della sua Joie de vivre sarebbero che il caro Andreas si preparava a partecipare a non una ma a ben due competizioni sportive, aveva il frigo pieno, le piante erano state ben annaffiate ma soprattutto, cito "Non era obeso o trasandato, ma curava la propria forma fisica" e " La perquisizione nella abitazione del pilota ha portato alla luce una abitazione in ordine, pulita, con tutte le camice stirate e piegate al suo posto".

Stando a tutto ciò, unendo la mia disoccupazione e la mia condizione di appestata (le dermatiti sono dure a morire, loro), io mi sarei dovuta impiccare nel 2012.

Così, sorvolando i complotti, mi sono immersa nelle sciagure aeree.

La più devastante tragedia aerea per numero di vittime rimane il disastro di Tenerife del 1977 quando due velivoli si scontrarono sulla pista dell'aeroporto Los Rodeos con un bilancio di ben 583 vittime. Le ultime parole del comandante del KLM olandese, il mitico Jacob Louis Veldhuyzen Van Zanten, volto storico della compagnia KLM, incredibile sosia di Teo Teocoli, sono state "Oh Shit!".
Il patinatissimo capitano Van Zanten come volto simbolo KLM.

Incredibilmente a quel disastro orrendo, avviluppate dalle nebbie, sopravvissero 61 persone. Un'altro fatto che rende incredibile quel 27 marzo 1977 furono le due bombe nel vicino aeroporto di Las Palmas, piazzate dal gruppo per l'indipendenza dell'arcipelago delle Canarie che giocoforza virarono il traffico aereo dirottandolo sulla pista di Los Rodeos dove avvenne il disastro. Le bombe furono fatte esplodere dagli artificieri, nessuna vittima e pochi danni.
Almeno non in quell'aeroporto. I terroristi con più culo della storia, direi.

Se tutto ciò non fosse abbastanza allora rincaro la dose.

Il volo Air France 447 precipitò nell'Oceano Atlantico nel 2009, seminando ben 228 vittime, tra di loro anche un principe, un direttore d'orchestra, una famosa arpista turca, un attivista per il controllo delle armi illegali e tre trentini. Sì, tre trentini dell'associazione Trentini nel Mondo, per la regolamentazione e l'esportazione del famoso scioglilingua sui trentatré compatrioti avevano opportunamente mandato una piccola rappresentazione simbolica.
Scherzi di cattivo gusto a parte, leggere la lista dei passeggeri, le loro vite, la loro età, stringe il cuore. E stupisce vedere quante diverse vite c'erano sedute a pochi passi l'una dall'altra. A volte mi spuntava un sorriso amaro, come quando ho letto la motivazione del viaggio del signor Harald Maximillian Winner, che stava volando a rotta di collo verso la natia Germania per ottenere i documenti necessari per sposare la donna brasiliana di cui si era innamorato. Alcuni famigliari hanno pensato di aggiungere foto e video dei famigliari deceduti per ricordarli e per insegnarci a non dimenticare (vi lascio il link della lista passeggeri. Quando vi sentirete super felici o in preda a deliri di onnipotenza, questo link potrebbe fare al caso vostro: http://www.airfrance447.com/06/02/unofficial-air-france-447-passenger-list/).


Una delle vittime del volo AF 447

Nel 2011 fu pubblicata la trascrizione delle conversazioni in cabina dove emerge che ai comandi, di notte, durante una tempesta c'era il meno esperto dei 3 piloti. Il che mi sembra un buon punto di partenza per una tragedia. Si è poi chiarito che il comandante, il più esperto, era a dormirsela dopo una notte brava passata a Rio in compagnia di una hostess. E poi dicono che i luoghi comuni non uccidono.
Anche qui, le fatidiche ultime parole del povero pilota inesperto sono "Putain, on va taper... Merde c'est pas vrai!". Penso non serva la traduzione

Puoi essere in ottima forma fisica ma dentro avere il caos, la paura e la voglia determinata di farla finita.
Puoi essere il miglior pilota del mondo, il tuo volto sulle pubblicità della compagnia aerea, avere tutto sotto controllo, ma schiantarti contro il caso che ti aspetta beffardo come la pioggia nei week end.
Puoi pure fidarti degli altri, riposare i tuoi vizi, alleggerirti gli occhi di quel sonno festoso, ma le nuvole cariche di ghiaccio paralizzano anche i tuoi compagni più fidati, increduli nella morte quanto in vita.

Puoi volare come ti pare, ma devi, o perlomeno dovresti, preoccuparti di chi viaggia con te.
Puoi pure credere nelle statistiche che dicono che viaggiare in aereo sia 12 volte più sicuro che viaggiare in treno e 60 volte più dei viaggi in auto, ma avrai sempre paura di cadere.

Quindi, cari futuri passeggeri traumatizzati di velivoli, quando sarete con la testa tra le nuvole dovreste pensare all'amore. In tutti i sensi, compresa una buona performance sessuale che, a quanto pare, è utile per controllare l'ansia del volo (ah, se lo dice lui: http://www.internazionale.it/notizie/2015/04/02/superare-paura-volare).

Per quanto mi riguarda sto ancora digerendo quell'indigesta fetta di plumcake dell'inizio.
Volare mi terrorizza.
Ricordo ancora l'attacco di panico sul volo Malta-Milano Malpensa dove un povero signore inglese, di fronte alle mie lacrime e alla litania "moriremo tutti, moriremo tutti, moriremo male", non riuscì a far nulla di meglio se non offrirmi la sua coscia di pollo, avanzata dal magro pasto da refettorio che ci avevano gentilmente offerto. Solo nell'estate di quello stesso anno, il 2005, caddero 3 aerei.
Penso fosse quindi comprensibile il mio panico ad ogni turbolenza. Un po' meno l'offerta della coscia di pollo per farmi smettere di piangere.

Ma sono ancora qui. E ora andrò ad annaffiare le piante e a sistemare casa. Non si sa mai decida di suicidarmi, voglio farvi impazzire.

La lezione di oggi è che volare si può, volare si deve. Voliamo basso per non esagerare e voliamo alto se ce lo meritiamo. La paura, quella, la porteremo sempre con noi.
E menomale.

venerdì 3 aprile 2015

Pillole di morte: donare il corpo alla scienza

La primavera è sbarcata. E con lei le mie personalissime pillole di morte! Un bel condensato di sciagura e angoscia tascabili.

Parto spedita a raccontarvi di Bobby Darin, uno dei miei cantanti primaverili preferiti dall'altro ieri. 
Il caro Bob nasce nel 1936 e manifesta subito una salute precaria quanto l'equilibrio mentale di un ascoltatore medio dei Club Dogo, sin dall'infanzia infatti soffre di costanti febbri reumatiche che pensavo fossero debellate dal 1536 e di un anomalia cardiaca grave. Ciononostante il ragazzo cresce e si fa largo nel mondo musicale incidendo pezzi come "Dream Lover" e "Mack the Knife", essendo anche un belloccetto sposa la diva dell'adolescenza di mia madre, Sandra Dee. 



Da bambina adoravo mettermi lì a guardare i film di Sandra Dee, quei capelli vaporosi, quei violenti colori pastelli che t'insegnavano ad essere sempre spietatamente femminile, quei baci desiderati. Non potevo immaginare che "Una sposa per due" mi avrebbe insegnato come gestire gli uomini: tutto quello che basta ad una donna è un libro per addestrare cani ed un finto amante. Bobby Darin interpretava il marito fessacchiotto e innamoratissimo e io impazzivo pensando che sarei arrivata ad essere una moglie perfetta come Sandra Dee.
Ma la verità è diversa. 
Bobby e Sandra divorziarono nel 1967 e pochi anni dopo, nel 1973, a soli 37 anni, il povero Bobby, che anni prima si era sottoposto ad un delicato intervento per curare il suo cuore malandato, scorda di prendere l'antibiotico prima di una visita dentistica e schiatta per un' infezione che intacca seriamente una delle sue valvole cardiache.
Niente funerali però, Bobby decide di donare il proprio corpo alla scienza e i suoi resti sono all'UCLA Medical Center di Los Angeles. Forse hanno ancora difficoltà con le febbri reumatiche.

Vi lascio con un grande classico di Bobby, la mia canzone preferita, "Dream Lover".
La lezione di oggi è: prima che la vostra salute vi abbandoni cercate di realizzare i vostri desideri. E almeno ricordatevi di prendere l'antibiotico che male non fa.




venerdì 27 marzo 2015

Il mio amico Riccardo

Ho scritto e riscritto questo preambolo per ore. Sul serio.
Ora, dovete sapere che quando scrivo uso un sottofondo musicale adatto all'esigenza del caso.
Sono partita con i Roxette. Evidentemente mi sentivo anni '90. Ma scrivere con i Roxette che ti urlano nelle orecchie, oltre che controproducente, è altamente nocivo.
Non hanno funzionato nemmeno i madrigali inglesi. Troppo solenni. Troppo stucchevoli.
Per Riccardo III e questo specifico post ho dovuto rispolverare le mie emozioni musicali. Ho rievocato tutte quelle canzoni che mi han cresciuto a schiaffi in faccia.

Parto con "Love is all around" dei Wet Wet Wet. Che sì, fa anni '90 come i Roxette, ma in maniera più educata.

Riccardo III e io ci conosciamo da molto tempo, più o meno da quando lui rimaneva un gobbo bastardo e io una ragazzina felice. C'era intesa, avevamo feeling, con quel suo caschetto nero lo si può a pieno titolo definire il precursore di Severus Piton. E io ho un debole per i tipi cattivissimi che poi si scopre che hanno il cuore d'oro. Sapevo che dietro l'acrimonia di Shakespeare c'era la mano guantata e viscida dei Tudor, non mi sono mai fermata solo a quello che vedevo o leggevo. Altrimenti a quest'ora avrei tutta la filmografia di Mel Gibson.
Me ne restavo lì in camera mia con un cd dei Lagwagon nello stereo e un libro in mano, incastrata tra la lucida vendetta di Amleto e la perfidia pagliaccesca del mio Riccardo. E mi divertivo. Mi bastavo come i matti bastano a loro stessi.




(Ecco, qui passo a "Back to black" di Amy Winehouse. Si entra nel campo delle sepolture e dei momenti bui.)

Ricordo ancora quando nemmeno 3 anni fa scoprirono i suoi poveri resti in un parcheggio. Stava finendo l'estate, era già settembre, l'autunno incalzava tristemente sulle nostre teste, in particolare sulla mia e quella di Riccardo. Vedere quella schiena impietosamente scolpita dalla scoliosi, quel cranio fracassato, quella sconfitta impressa nella cartilagine.
Tutto urlava dolore.
Soprattutto io cadendo dalle scale la sera del mio trentesimo compleanno.
Tendo sempre a manifestare più empatia del dovuto.




(Mi s'inceppa Spotify su "1950" del Maestro Minghi. Operazione nostalgia.)

Alla fine salto sulla sedia domenica scorsa quando leggo per caso che giovedì ci sarebbe stato il rito funebre.
Così spunta una semplice bara di legno con sopra tre rose bianche, un composto silenzio, tanti cavalieri medievali che scortano il feretro. Comincia la febbrile attesa per dargli il mio saluto.
Quante serate a urlare "Un cavallo!Un cavallo!Il mio regno per un fottutissimo cavallo!" con in mano una Ceres e 17 anni addosso.
Sarei stata davanti al mio PC. Sarei stata lì, con gli occhi sgranati e un fazzoletto in mano. Ma questa volta, niente siti vietati.
Già mi ero commossa con il lontano discendente falegname canadese che con le sue mani ha levigato e smussato 530 anni di storia costruendo quella semplice bara di legno.
Sono nata per le celebrazioni, mi rivedo ancora lì, sul mio divano, in tacchi e cappello con veletta durante il matrimonio di Kate e William. Lì col mio sorriso beato e un ospite al mio fianco. Io come Riccardo e lui come il duca di Buckingham.
Perché se c'è una cosa che ho imparato dalla storia è che c'è sempre un duca di Buckingham pronto a fotterti.

(Parte a tradimento "Feeling Oblivion" dei Turin Brakes. Spazio alle lacrime. Scusate se mi rivolgo direttamente al defunto, ma gli devo una spiegazione)

E niente. Come solo la vita può stupirti, ho saltato il tuo funerale, Ric.
Non è stata colpa mia, per carità, avrei voluto esserci. Ma il mio arrapante senologo ha ritenuto di dovermi fare una biopsia, giusto per star sereni. E noi vogliamo star sereni, vero?
Abbiamo passato troppo tempo in balìa di persone che ci han recensito male e trattato peggio, mio caro Ric. Ora come ora sarà meglio ristabilire la verità storica: tu sei stato un buon re per quanto si potesse esser buoni nel medioevo e io son stata un po' troppo sfigata di recente.
I trentanni non sono facili per nessuno. C'è chi cerca di innamorarsi, chi un lavoro serio, chi di governare un paese.
Non pensare che dal 1485 qualcosa sia cambiato, per carità. I problemi sono gli stessi, a parte la dissenteria, di quella non si muore più. Almeno non qui. E per quanto mi riguarda, non ora.
Navighiamo sempre nell'incertezza di un futuro, non capendo nemmeno di chi possiamo fidarci, nemmeno in seno alla nostra famiglia. Che mica solo i tuoi fratelli erano strani. La differenza tra tuo fratello George e mia sorella è che mentre lui annegava nella malvasia, la mia consanguinea si dava al Cointreau.



Comunque la cerimonia è stata bella, l'ho vista e vissuta tramite qualche foto e qualche video. Muoio d'invidia per il fatto che Benedict Cumberbatch abbia recitato una poesia al tuo maledetto funerale. Al mio al massimo chiameranno Gianni Drudi. Che poi "Fiki Fiki" dal vivo rende benissimo. Dovrò trovare un collegamento genealogico tra me e Gianni a questo punto.
Spero che i prossimi 530 anni siano con te molto più clementi di questi ultimi, che la gente possa conoscere il tuo amore per la musica, le tue giuste misure a favore dei poveri del tuo regno, la tua sincera devozione per tua moglie. Lo spero. Gente come me, te e tanti altri ancora meritano redenzione.
La lezione questa volta l'abbiamo imparata.


Lascia che anche io ti dedichi qualche verso. Lo faccio attraverso una canzone che amo.
Ciao Riccardo, è stato un vero onore averti come amico.

"I used to be a little boy
So old in my shoes
And what i choose is my choice
What's a boy supposed to do?
The killer in me is the killer in you
My love
I send this smile over to you"


(e poi, finita "Disarm" mi parte improvvisa "Mr. Coffe" dei Lagwagon. Scusate, vado a ballare)


venerdì 20 marzo 2015

Di peste, eclissi e presagi

Carissimi e sanissimi lettori, eccoci qui.
Se avete interpretato l'eclissi di oggi come presagio di sventura, bravi, avete azzeccato: ecco infatti un nuovo appuntamento con Ars Moriendi!

Vi chiedo scusa in anticipo se troverete dei refusi grammaticali, ma sto scrivendo con un occhio solo. 
Sì, ho provato a guardare l'eclissi con uno scolapasta e gli occhiali da sole. 
Sono salita sul terrazzone al sesto piano, scolapasta alla mano e occhiali da sole sul naso, ho guardato l'eclissi per un mezzo secondo prima di accorgermi che il vicino del sesto piano suole lasciare il suo dobermann scorrazzare libero per sgranchirsi le zampe proprio su quel dannato terrazzo condominiale. Sì, lo so, avete detto in lungo e in largo di non farlo, ma vi giuro che ho guardato quel maledetto disco solare per pochissimi secondi. Al mare, per dire, da bambina lo guardavo fisso per lunghi secondi prima di fare il bagno. Ve l'ho già detto che ero una bambina particolare?

Beh, comunque, il mio occhio destro è andato. E comincio a pensare di essere un prodotto delle piaghe medievali. Nemmeno un mese  fa infatti mi trovavo al Pronto Soccorso per un problema di macchie sulla pelle. Io avevo sentenziato che si trattasse di peste bubbonica, ma quel dannato cerusico del Sant'Orsola mi disse che si trattava di un banale Eczema Microbico Migrante. 
Sarà banale, ma sta di fatto che è ancora con me. Continuo a pensare che sia peste.
E così, cercando qualche informazione sulla peste, mi sono imbattuta in una notizia che mi ha letteralmente travolta: A Londra hanno scoperto circa 3.000 scheletri mentre lavoravano alla costruzione della nuova struttura della stazione ferroviaria di Liverpool Street Station. 3.000 fottuti scheletri. Pare si tratti di molti appestati deceduti durante la grande epidemia del 1665 di cui, guarda caso, proprio quest'anno ricorre il 350° anniversario. Non avete idea dell'immenso lenzuolo di morte che ammanti ora quel luogo.



Ovviamente flotte di apprendisti ghostbusters e spiritisti sono andati sul luogo percependo ogni sorta di male e sventura. Per quello bastava venissero nel mio condominio.
Una sensitiva afferma senza dubbio che i passeggeri futuri si porteranno addosso il dolore e la tragedia dei defunti sulle loro spalle. Poveri pendolari.
Anche se ora mi spiego il perché della mia personale sciagura: in tanti anni di pellegrinaggio storico a Londra non ero mai transitata dalla Liverpool Street Station. Ma, coincidenza, ci sono passata proprio nel 2012, quando tutta la mia sfiga ha deciso di premere sull'acceleratore. Quindi, caro defunto che in quell'occasione hai deciso di appoggiarti a me, scavati gentilmente dalle palle che così vado avanti, che con la sfiga son bravissima da sola.

Se tutti questi morti non vi bastano allora sarà il caso di ricordarvi della povera Anna Neville che moriva 530 anni fa e lo faceva proprio durante una storica eclissi di sole. Anna Neville era la moglie del famosissimo  re Riccardo III (quello che svendeva il suo regno per un cavallo durante la battaglia di Bosworth field, per dire come stiamo messi) che, dopo una brevissima tubercolosi, lasciava il suolo terreno proprio mentre tutti i nasi d'Inghilterra stavano su a guardare quel curioso, quanto sciagurato, evento astronomico.



L'eclissi fu poi interpretata come il segno inequivocabile che la casa regnante di York era al capolinea. 
E certo, poi di fatto Riccardo III fu sconfitto e cominciò il periodo Tudor. Di male in peggio. Ma di lui parleremo più avanti, anche perché il fatto che il suo corpo sia stato trovato in un parcheggio mi fa veramente sbellicare. Gli unici morti che puoi trovare in un parcheggio, di solito, sono quelli che cercano posteggio davanti a te, all'IKEA, di sabato pomeriggio.
Quindi, se uniamo i 530 anni dall'eclissi e dal declino della casata York e i 350 anni dalla grande peste di Londra penso che tutto sommato per il Regno Unito questo sarà un anno molto croccante.

La lezione di oggi è palese: senza maschera da saldatore non si guarda l'eclissi. E, se per caso pensaste di avere la peste, fatevi prescrivere un antibiotico per una settimana e siete a posto.
Credo.


giovedì 12 marzo 2015

Retrospettiva vacanziera: Mango e i suoi fratelli

Se proprio vogliamo parlarne seriamente, allora sì: ho un problema con le vacanze, che siano estive, invernali, improvvisate, negate, io ho un problema mortifero con le vacanze.

Ricordo nitidamente che da bambina accoglievo tutti coloro che tornavano da qualche settimana all'estero elencando i morti eccellenti di quelle settimane estive grondanti di afa e noia. Era un rituale, mi mettevo lì e li travolgevo con chiacchiere e necrologi. La vittima usuale era mia sorella, povera creatura, che tornava frastornata da ore di jet lag e trasferte in paesi dove regolarmente saltavano in aria autobus, i colpi di stato erano frequenti come il sottocosto del Conad e gli animali meno pericolosi erano tarantole di 30 centimetri. Il mio "bentornata" suonava un po' come "Sei voluta andare in Sri Lanka 3 settimane? Cazzi tuoi, mo' ti becchi la pagina delle necrologie del Carlino cantata".

Poi si cresce. E la storia cambia. Un po' come quando da bambino svegli i tuoi genitori ad orari mattutini improbabili e appena compi 17 anni ti dimentichi del fatto che esistano le ore 6 del mattino. Tu te lo scordi. I tuoi genitori no. Nel mio caso mia madre annunciava al mondo che erano le 8 del mattina di domenica accendendo l'aspirapolvere che probabilmente aveva acquistato nel 1985 ad una rivendita di reattori della NASA. Così avevo lasciato perdere i miei annunci mortuari estivi, ma la gente non aveva smesso di morire.

La morte di Mango mi ha colto impreparata tra le mie lenzuola esattamente l'8 dicembre, quando la mia unica preoccupazione era non rimanere fulminata dalle lucine dell'albero di Natale comprate anni prima presso la stessa rivendita di reattori della NASA di cui mia madre era un'aficionada. Mentre stavo risorgendo da un sonno ristoratore, un sonno vacanziero, quello che si può vivere solo quando lunedì si ritrasforma in una domenica, il mio dolcissimo quanto energico compagno piomba sul letto e mi sveglia premuroso:

"Buongiorno amore, lo sai chi è morto?"

La stessa domanda me l'aveva posta la mattina dell'11 agosto quando, guarda caso, mi godevo i miei unici 5 giorni vacanzieri concessi dall'Alto Comando dell'Oncologia dell'Ufficio 21. Ero lì, in un letto del 1960 ad Abano Terme, dove il tempo si era fermato tra cuffie da bagno con fiorelloni azzurri e grattacieli stile Las Vegas.
"No amore non lo so, sono sveglia da un minuto. Chi è morto?" chiedo banalmente.
"Robhnmihlj Williams". 
No, non è un refuso. Non afferrai il nome. Il che mi catapultò in un'angoscia sconfinata. Robbie Williams? Scherza? No perchè se è morto Robbie Williams mi affogo nella piscina esterna, m'impicco con un biscione di gomma per fare acquagym, mi faccio saltare in aria davanti al tavolo brioches durante la colazione.
"L'attore dai, Robin Williams"
Ecchecazzo, che paura però.

"Buongiorno amore, lo sai chi è morto?"
No, non lo so. Chi sarà mai morto?
"Indovina"
A quanto pare il mio delizioso e sardonico compagno questa volta non vuole corre il rischio di sbagliare ed inventa il toto morto. Alle 9 del mattino dell'8 dicembre.
"Era un cantante italiano e già qui ti aiuto"
Ah beh, effettivamente, avessi detto cantante turkmeno qualche problema l'avrei avuto. Ok, comincio a sciorinare tutti i cantanti italiani che conosco.
"Al Bano"
"No"
"Ok. Meno male. Avrei pianto se fosse stato Al Bano. Toto Cutugno?"
"No"
".... Al Bano..?"
"Ancora! No!"
"Mmmm Umberto Tozzi?"
"No. Ti do un aiuto, aveva 60 anni"
"..."
"Dai! voce particolare"
"Pino Daniele?"
"No"
"Eh, e chi lo ammazza Pino Daniele? Ok mi arrendo"
"MANGO"



Segue un urlo belluino di dolore, mi rifugio sotto le coperte. Piango. Non tanto per Mango. Ma per le scampagnate estive con la sua cassetta in macchina, mia madre bella come il sole, i suoi occhi verdi che riflettono il colore del mare,  sciolta e felice che canticchia "Dove vai?", l'orchite di mio padre nel doversi sorbire 90 minuti di Mango, il caldo della nostra Golf verde, il chiudere gli occhi e sentire subito l'odore del mare, nel silenzio dei pomeriggi caldi colorati di giallo nella mia cameretta a Rivabella. Questo era Mango per me, per noi. Nessuno riuscì mai a sostituirlo, non ci riuscì Lucio Dalla con "Attenti al lupo", ci provò seriamente Antonello Venditti con "Alta Marea". 

Il ritorno al lavoro fu durissimo. L'unica cosa che mi avrebbe tirato su il morale era il pranzo tra colleghi, dove avremmo provato a superare il dolore per la perdita del nostro amato Mango. 
Ma poi, l'incredibile. 
Durante la veglia funebre, il fratello maggiore di Mango, Giovanni, ha un malore e muore. A ruota altri due fratelli si sentono male. Una vera emorragia di Manghi invade il nostro martedì mattina. 
Era questa la notizia. Che insieme a Mango era morto pure suo fratello. E, come se non bastasse, si erano sentiti male anche gli altri componenti della famiglia. 
Tutto quello che ci rimase, in quel mese, fu questo. La strage dei Manghi.

E a me, in quel freddo dicembre di abbandoni, Mango aveva lasciato molto di più. Mi aveva lasciato il sapore del mare e della libertà, mi aveva fatto tornare bambina, quando ero coraggiosa e cantilenavo di morti a chi non voleva sentire.

La lezione di oggi è: godetevi le vacanze, godetevi la famiglia, godetevi il bacio del buongiorno. Al lato mortifero ci penseremo dopo la sveglia.






mercoledì 11 marzo 2015

Chi non muore si rivede

Senza alcun fronzolo, penso che ci sia bisogno di questo blog.
Chiedo venia, ho ammazzato la mia creatura come una di quelle stupide madri con la sindrome di Munchhausen, convinte che l'atto finale le catapulterà nell'olimpo della commiserazione e dell'accettazione universale. Beh, no. Da quando questo piccolo spazio è stato chiuso ho sofferto tutti gli acciacchi che naturalmente s'intrappolavano nel mio cervello e che defluivano non appena appoggiavo le dita sulla tastiera e lasciavo che si componesse una storia, dando libero sfogo al mio dolore e alla mia frustrazione. Un processo creativo pari ai programmi di successo di Japino, per intenderci.

Da quell'ultimo articolo ne sono successe tante. Morti eccelse a destra e manca. Come se Dio mi stesse dicendo di darmi una mossa e ricominciare a scrivere. 
C'è anche chi non si è mai accorto della chiusura del blog e ad ogni decesso continuava a dirmi "Ehi! Scrivi un pezzo su Ars Moriendi!". Grazie ragazzi, anche il vostro Alzheimer incalzante mi ha ridato fiducia.
Tutti questi elementi più uno.
La disoccupazione. O, se preferite, tantissimo tempo per scrivere.



Lavorare per l'Oncologia mi aveva bloccato, avevo il cuore talmente intriso di quasi-morte che scrivere di trapassi aveva smesso di essere una cura. E di lezioni da insegnare non ne avevo più, l'unica che mi sentivo di dare era: qualsiasi cosa stiate facendo, piantatela lì e correte a fare quello che amate perché domani potreste avere un fottuto Glioblastoma e campare solo per pochi mesi. Ero diventata di un gradevole colorito verdognolo, confluivo i miei pensieri di morte sul mio collega di scrivania, il Marmellone, che più di ogni essere vivente presente sulla terra mi spronava a considerare accettabile un eventuale patteggiamento per omicidio preterintenzionale. Non poteva durare. Soprattutto quando il tuo capo applicava al tuo ufficio le stesse regole dell'Ufficio 21 dei Khmer Rossi.

Oggi sono più ottimista. Ho molte lezioni da insegnarvi, nuove di zecca. e tutte molto meno mortifere di quanto mai si possa pensare. Vorrei persino insegnarvi che è possibile lasciarsi il passato alle spalle e cominciare qualcosa di nuovo, che si può risorgere dalle proprie ceneri, si può smettere di essere morti. Tutti possiamo. Tutti tranne Sean Bean, ovviamente.

Quindi, qui e ora, annuncio la rinascita e aggiungo anche la promessa che questo blog morirà solo di morte naturale, senza più annunci strappalacrime o abbandoni di scena. Ogni giorno o quasi vi darò quello che di solito non accettate da vostra madre, ovvero consigli sulla vostra vita. Lo farò come ho sempre fatto, prenderò uno o più morti e vi farò capire che la nostra vita non fa più schifo di quella di Riccardo III  o Robin Williams che, in confronto a noi, sono morti e stramorti.

Di questo blog c'è bisogno. Io ne ho bisogno. Voi pure. 
Pensate che non vi veda lì consumati dall'essere attaccati alla vita e ai suoi stupidi riti? Pensate non sappia che avete cominciato a prendere steroidi guardando "The Lady" di Lori del Santo? Credete che non vi senta canticchiare Nek in autobus?

Avanti, c'è molto materiale su cui lavorare. Vi voglio tutti preparati per l'appuntamento di domani, quindi vi assegno compiti a casa: sostituite Nek e le sue nenie con un classico intramontabile come "Oro".

A domani, e che il triste mietitore sia con voi.

lunedì 14 aprile 2014

Tako Tsubo - Curarsi dalla morte.

Peaches Geldof.
Mickey Rooney.
Ultimate Warrior.

Per dirne tre.
Potrei raccontarvi la loro morte, di due di loro anche la vita. Potrei farvi notare che lo stilista di Ultimate Warrior probabilmente fosse lo stesso di Peaches Geldof. Potrei persino citarvi quel pezzo de "I Simpson" in cui c'è Rooney che scippa la parte di ragazzo ionico a Milhouse.

Potrei.
Ma potrei anche intasarvi il cuore di lacrime. 
Potrei annunciarvi la morte di un amico comune.
Potrei annunciarvi la fine di questo blog.

Lo so che in quanto a minacce d'abbandono sono ormai una diva consumata, una sorta di Callas in carne e tenia, ma potrei essere arrivata a vedere quella luce in fondo al tunnel che da tanto tempo aspettavo di scorgere. Questo caro amico mortifero ha risentito di tutti i miei umori, ha vissuto insieme a me le fasi dell'abbandono, della rinascita, del fallimento e quelle più leggere dell'innamoramento, della noia, della conoscenza. Ora sento arrivato il tempo di andare avanti, verso la luce, e di lasciare libero questo piccolo spazio che ormai richiede le attenzioni di una creatura in fasce.
Una creatura a cui io non posso nemmeno pulire il sederino. E lo dico proprio perché accarezzandolo, scrutandolo e spulciandolo come si fa con i bimbi in età scolare per controllare non ci siano pidocchi, mi sono accorta dopo mesi di aver ricevuto commenti brutalmente negativi sul mio post riguardante Herbalife. 
E non è per quei commenti sprezzanti, attenzione,  ma perché non ci ho mai fatto caso (tra parentesi, adepti dell' Herbalife che difendono il loro guru morto da anni non mi fanno né paura né incazzo; mi fanno pena, poveri cucciolotti smarriti nel sistema piramidale). Sono una mamma assente e abbandono la mia creatura, la uccido se volete, ma lo trovo brutale.
E piagnucolo, lo ammetto, mentre scrivo ascoltando "Hurt" cantata da Johnny Cash. Ve lo ricordate il post su Johnny e June? Io sì. E non solo perché l'ho scritto e ancora non soffro di alzheimer, ma perché in quel momento il mio amico blog mi aiutava a tenere alta la testa e a non vergognarmi del fatto di amare un cretino.
Mi ricordo del sentimental post su Adolf ed Eva, sulla follia familiare di Van Gogh e quello sulla morte di Jenny, l'amata di Forrest Gump. Mi commuovo a ripensare all'impegno e al significato che hanno avuto per me e per voi. E mi commuovo pensando di non aver mai dedicato un post a Mike Bongiorno: sulla storia della bara scomparsa avrei potuto farvi sbellicare per settimane. Ma sono fiera dei piccoli momenti di quotidiana morte che vi regalato. Sul fatto che fossero divertenti ed esecrabili son d'accordo, ma non era per nulla facile partorirli.

Tutti post curavano e allo stesso tempo acuivano il dolore al mio cuore rattoppato.
Come chi beve per non prendersi sul serio.
Come chi fa shopping compulsivo comprando cagnolini di ceramica per poi piangere sul pavimento in posizione fetale.
Come chi ha creato Google +.
Sollievo e dolore, appagamento e consapevolezza dell'errore.

Ecco, io voglio sollievo. Voglio la Vita. Sottile, possibilmente.
Voglio guarire il mio cuore infranto, voglio parlarvi di anziani con evidenti problemi di udito che urlano nei bus, di donne pakistane in costante collegamento telefonico con Islamabad che puliscono corridoi ridendo e cianciando o di tutte le puntate di "Law and Order" dove il furfante di turno riesce a farla franca rifugiandosi a Beirut o facendo lavori per la comunità.
Voglio scrivervi, ma voglio scrivervi lettere di gioia. Per quanto a "gioia" io sia tuttora messa male.
Ma forse più ti concentri sulla disgrazia, sulla fine di qualcuno o qualcosa, allora potrai più difficilmente riavere un inizio, o semplicemente essere capace di dare vita a qualcosa.

Voglio di nuovo provare la sensazione di leggerezza ed euforia che avevo quando aprì questo blog. Trovare il sorriso e scavare di nuovo in tutto quel mio mondo fatto di sarcasmo, novità, e stupore. Frugare nei meandri della mia vita scoprendo nuovi angoli nascosti dove brandelli di esperienza si erano accumulati solitari. 
Qui ormai tutto si riduce a Peaches Geldof e me. Alla sua morte e alla mia Sindrome da Cuore Infranto.
O si muore o si prendono dei beta bloccanti.

Ricorderò questo mio amico elettronico, ricorderò le lacrime e le risate, l'attesa trepidante di consenso, le critiche sedate con affabile diplomazia, l'amore riversato tra le righe. Ricorderò anche le pagine non scritte, quelle piene di aspettative. E soprattutto ricorderò i bestemmioni per il via vai della connessione. Bestemmioni che mi stanno accompagnando anche ora, Madonne che volano manco fossimo a Gatwick.

E per l'ultima, struggente, volta vi lascio il mio insegnamento: fate quello che volete.
Fatelo con umiltà, con attenzione, ma fatelo. Non abbiate rimpianti, non pulitevi i piedi sul cuore di qualcuno, non piantate le vostre mani nello stomaco di chi amate, abbiate cura della vostra mente e del vostro corpo (sì i ciccioni sono simpatici e rubicondi, ma tra John McEnroe e John Candy è meglio tentare di essere come il primo sedato da qualche pillola di Xanax) cercate di essere sinceri verso voi stessi ma non all'esasperazione. Siate chiari. Fate sesso. Ricordate sempre il passato.

A te, fratello telematico, va il mio sempiterno ringraziamento. E anche a tutti voi, delusi neofiti, vecchi appassionati, stanchi detrattori, lo spettacolo è finito, si spengono le luci.
La vita va avanti.
La morte anche.