venerdì 23 novembre 2012

Papà Freddie e i cuori spezzati.

La mia vita, peggio di così, suppongo, non potrebbe andare.
E non tiratemi fuori i bambini del Biafra o altre sciagure mondiali che oggi non ho proprio voglia di mandarvi a spalare melma.
Dicevo, la mia vita raggiunge picchi alti d'insoddisfazione, frustrazione e ritenzione idrica che non vi dico.
Ci vorrebbe mio padre.
Mio padre è uno che non tollera lamentele. Uno di quegli uomini tutti d'un pezzo, sempre in giacca e cravatta, sportivo all'occorrenza, fasciato nei suoi maglioncini color pastello e calzini a losanghe Burlington, baffi spavaldi e criniera folta. Dilaniato nel suo intimo più profondo dal dilemma: ascoltare Handel con moderato trasporto o far finta di suonare la batteria su "Paradise city" dei Gun's?
Il bello è che mio padre è il re indiscusso della lamentela. Non lo batterebbe nemmeno uno di quei mille bambini del Biafra di cui tanto mi han parlato. Davanti agli occhioni di mio padre stile Gatto con gli stivali non si resiste. E se non gli dai corda, allora giù improperi e bestemmie come un bimbo capriccioso a S.O.S. Tata.
 
Ma, come ogni figlia femmina, il mio papà è il più belone del mondo. Concedetemi questi orrori grammaticali.
E da piccola era come vederlo in continuazione.
Sì, perchè la generazione Mtv siamo noi. Più o meno. E io son cresciuta saltando sul letto ascoltando "Kind of magic" dei Queen o ciondolandomi sulla cassapanca davanti a "Take on me" degli A-ha.
Ma se il cantante degli A-ha non mi diceva niente (avevo nemmeno 10 anni e i biondi scandinavi col sorriso perfetto mi fanno sincero orrore) il cantante dei Queen, porca vacca, ero sicura di averlo già visto. Poi giravo la testolina verso mio padre intento a dipingere vicino alla finestra e dicevo, porca vacca, a chi assomiglia quel baluba finto Rembrandt di mio padre?
Mia madre vestendomi alla mattina mi chiamava Freddie. "Dai Freddie Mercury infila la gamba nei pantaloni... brava!". Freddie Mercury. "Mamma chi è Freddie Mercury?" e lei con un bel sorriso "Un giocatore di baseball!". Ignoro il perchè di questa risposta, sulla pazzia di mia madre son stati scritti manuali stile Treccani e francamente penso non sappia nemmeno cosa sia il baseball, ma quella, giuro, fu la sua risposta.
 
 
 
Freddie Mercury era, e sarà sempre, il mio cantante preferito.
Ci sono amici che possono testimoniare di avermi visto piangere davanti ad un suo video non più tardi del 2008, con altri ho condiviso il dolore della sua perdita a suon di amari e grappe. E vomito conseguente. Era quel meraviglioso signore con i baffi che somigliava al mio papà.
Freddie Mercury era una splendida persona. Da quel che si dice in giro. Amava il giappone, spendeva follie in cristalli e mobili, adorava i gatti e i gatti lo adoravano, a parte quando gli cagavano dentro il tostapane. Era un perfezionista, puntiglioso, professionale ma anche dissoluto, divertente e divertito, solare, snob. Un uomo generoso e particolare. Fragile.
 
Leggere la sua biografia non mi ha fatto conoscere lati migliori o peggiori. No. Mi ha fatto ridere, sì, mi ha affascinato e mi ha fatto piangere. Quando si parla della sua morte, della lenta agonia che lo rese cieco e impossibilitato a camminare, io istintivamente vorrei smettere di leggere. O di parlarne.
Una persona nasce, se è fortunata cresce abbastanza da assaporare il bello e il brutto della vita, poi, muore. Lo sappiamo e siam qua a parlarne da febbraio, facendoci beffe un po' di tutti.
Muori e vieni sepolto. Ma nel mezzo c'è un passaggio. Quando muori qualcuno prende il tuo corpo e si prende cura di lui prima di calarlo nel buio. E il corpo di Freddie, quei 40 chili, quel fascio di  muscoli intorpiditi, un tempo temprato dalla boxe e dall'atletica, fu sollevato dal suo letto e riposto dentro un sacco nero su cui lentamente, come in un film, veniva chiusa una zip.
Zip. Chiuso.
 
La sua morte mi ha fatto male. Per motivi facilmente intuibili: è ingiusto che una fan dei Negramaro possa vederli in concerto ogni volta che vuole (farsi del male mi dicono sia gratuito, il concerto non so) e io non possa vedere Freddie. Non parlatemi dei Queen + Paul Rodgers che divento una bestia.
Così ogni tanto, quando sono incazzata come un facocero e triste come un lama che ha appena partorito (maledetti documentari di Focus, preferivo quelli sui nazisti), metto su un suo cd e mi deprimo un po'.
 
Così, oggi che son depressa e ho il solito cuore a pezzi, tenuto su dallo scotch da pacchi e sputo, mi ascolto "Made in Heaven". Andrà meglio, lo so. Ci vuole tempo. Me lo ha detto anche il mio papà al telefono. Per aggiustare il cuore o il corpo o la mente ci vuol tempo. E io ho bisogno di ere geologiche per curare tutti e tre.
 
La lezione di oggi è difficile. Sembra strano, ma quando vi sentite soli al mondo cercate la carezza o l'abbraccio di vostro padre o vostra madre.
Se siete soli al mondo... rubate manichini al centro commerciale e abbracciateli. Se li chiamate mamma o papà mica si offendono. Se lo fate con gli anziani in autobus vi beccate una denuncia.
 
 
 

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