mercoledì 7 novembre 2012

Buonanotte Tesor mio (dormire è un po' come morire)

Mi sono ricordata che da bambina mia madre mi aveva regalato un bellissimo libro di fiabe.
Anche mia nonna me ne regalava sempre e io li amavo, quei disegni, quelle principesse con tutti quei pizzi nei vestiti, i capelli biondi e lucenti o neri come la notte. Assoluto, intenso amore per tutte quelle fiabe.
Ma torniamo a mia madre. Il libro era, se non erro, un libro di fiabe piemontesi e valdostane. I disegni erano i più belli che io avessi mai visto. Colori che non sapevo esistessero. Luoghi immaginari più veri di qualsiasi documentario televisivo avessi mai guardato per più di un minuto.
Ecco, quelle fiabe eran sempre mortali. Una, se ben mi ricordo, parlava di una bellissima fanciulla a cui amputarono entrambe le mani buttandola poi in un pozzo senza che avesse la possibilità di arrampicarsi. Le avevano tolto in un sol colpo la speranza e la vita. Ah sì, e le mani.
Le fiabe di mia madre erano tutte così. Arriva il principe, salva la principessa, poi si sposano, ma litigano e lui la uccide gettandola tra serpenti o giù per una rupe. Tipo il telegiornale delle 20.
 
E poi state lì a chiedervi perché parlo di morte. Mah. Chissà.
 
Svicolando da tutti questi scenari di disperazione ed angoscia, la fiaba che adoravo di più da bambina era quella de La bella addormentata nel bosco. The original one, anche se la videocassetta della Disney fu consumata peggio che un video porno di un erotomane negli anni '80.
Nella versione originale la cara Bella Addormentata pungendosi col fuso si addormenta e insieme a lei, grazie ad un incantesimo di una fata madrina, tutto il regno per 100 anni. 100 fottuti anni. Ovviamente passa il solito principe che con un bacio la sveglia e con lei tutti si alzano a celebrare l'amore.
Ma poi c'è un seguito. E qui mia madre apprezzava. Le si illuminavano gli occhi.
La Bella Addormentata si sposa col suo principe e mette al mondo due figlioletti, un maschio e una femmina. Ma il principe tiene la sua mamma all'oscuro della nuova nuora e dei nipotini per un valido motivo.
Quando si dice che la suocera è un mostro non si sbaglia perché la madre del grazioso principe in realtà era un'orchessa. Appena viene a conoscenza del fatto di avere una famiglia, la suocera impazzisce. Ma non di gioia. In quanto orchessa chiede ai suoi servitori di poter mangiare a cena i due nipotini. In quanto suocera chiede di poter mangiare anche la nuora.
Ovviamente la famigliola scampa ai piani malefici della Sig.ra Orchessa che decide di braccarli per gettarli nella solita rupe piena di animali velenosi. Il principe però si ribella a mammà e le dice di farsi gli affari suoi e di smetterla di mangiare bambini che poi non li digerisce e la notte poi son dolori.
Così, la povera orchessa, rimasta sola, si suicida gettandosi nella solita rupe.
 
 
 
No, la morta del giorno non è l'orchessa ma la nuora, la Bella Addormentata.
Una che dorme per 100 anni, permettetemi, è più morta di un morto vero con i vermi e tutto il resto. Per 100 anni te ne stai lì, immobile, aspettando che un principe ti svegli con un bacio.
Va bene, non è colpa tua, la solita vecchia che augura sciagure e punge con un fuso le giovani ragazzine, chi non l'ha mai incontrata per strada? Ma una volta che il principe ti sveglia con un bacio hai tutto il mondo davanti cara! Hai 100 anni di mode imbarazzanti da recuperare, 100 anni di scherzi telefonici arretrati, 100 anni di limonate selvagge nei sedili zozzi di una Punto, 100 anni di aperitivi e sbronze senza un domani al baretto sotto casa da pagare, 100 anni di esami universitari con la media del 28 che tanto fai antropologia e chi vuoi che ti assuma.
La Disney e i Fratelli Grimm fanno finire qui la fiaba. La principessa farà tutte queste cose, magari insieme al suo bel principe o ad un fuoricorso di economia a cui piacciono il Che e le Birkenstock.
Ma nella versione che mi hanno sempre raccontato, la povera rincoglionita della Bella A. si rinchiude in un matrimonio reale, sforna due bambini e litiga con la suocera. Bella merda.
 
Allora sai che succede? Che la lezione di oggi è che a volte la nostra vita è una fiaba, sta a noi decidere dove mettere la parola fine.

lunedì 5 novembre 2012

Sì, lo voglio. Sposarsi è un po' come morire.

Ve lo dico con l'amore che ha un padre verso un figlio. Un padre marines verso un figlio che ascolta Boy George, del tipo. Piantatela di sposarvi.
Sono veramente esausta di vedere le vostre facciotte felici in tight e i vostri occhi luccicanti in vestiti catarifrangenti di Oliviero moda sposi mentre pensate al vostro viaggio di nozze in America. Sempre e solo in America. Non so quante lune di miele ho sovvenzionato quest'anno, a quanti soggiorni negli States posso aver contribuito. Francamente ho perso il conto. E i soldi.
So cosa state pensando nelle vostre testoline impregnate dalla marcia nuziale, starete malignando, "Sei solo invidiosa!".
Oh, ovviamente.
Ho sempre sognato l'abito bianco, la chiesa sconsacrata in stile gotico inglese, la cerimonia alle 18, l'alcool e le danze con gli amici fino a tarda notte. La prima notte di nozze. La luna di miele.
Anzi, a ben pensarci mi rivedo su una panchina, nel caldo maggio del 2010, con un catalogo di Francorosso, a decidere una meta per la mia luna di miele. Già. La MIA.
E ora mi accorgo che è il 2012. E non sono mai andata in Malesia con gli Orango o in Messico sulle tracce degli Aztechi. Al massimo in Puglia con una famiglia molesta a giocare a "Uno".
Sì, è lunedì e posso fare la tragica.
Mi pesa avere 30 anni e pensare che negli ultimi 8 la persona che mi viveva accanto non abbia mai pensato a me come una moglie, come la metà perfetta con cui trascorrere la vita. Inquietante come "Non aprite quella porta", ma sensato.
E ora? Mi sposerò a 45 anni in palese sovrappeso ovarico e le mie nozze finiranno su "Chi"?
La speranza è l'ultima a morire.
E lo sapeva bene la morta del giorno. Jade Goody.
 
Chi cazzo è Jade Goody?
Durante il mio primo viaggio a Londra, qualche annetto fa, feci incetta di giornaletti gossippari britannici per infarcirmi di quella cultura neanche tanto sotterranea che impermea la loro monotona vita da broker della City. Su tutte le riviste campeggiava la coraggiosa battaglia di Jade Goody, una 28 enne ex celebrità del Grande Fratello, malata terminale di tumore al collo uterino che combatteva la sua inutile battaglia contro il male a suon d'interviste e foto.
Il suo ultimo, grande desiderio fu quello di sposarsi con il suo fidanzato Jack Tweed. Il 22 febbraio 2009 coronò il suo sogno in grande stile, Mohamed Al-Fayed gli donò un sontuoso abito proveniente direttamente dall'alta sartoria di Harrods.
Un mese dopo, il 22 marzo, Jade morì. Contribuì ad innalzare il livello di prevenzione tumorale tra le giovani del Regno Unito e con tutti i soldi ricavati con interviste e altro assicurò un futuro dignitoso ai suoi due figli. E soprattutto morì sposata al suo grande amore. Che giusto un mese dopo la sua morte fu beccato in una bella orgia in un hotel inglese. Sarà stato affranto dal dolore per non accorgersi di essere nel bel mezzo di qualche amplesso.
 
 
 
La vita a quanto pare è brevissima, Jade Goody era nata nel 1981. Giusto un anno prima di me. E non era certo la classica ragazza da matrimonio. Due figli avuti da una relazione precedente, cicciona, sboccata, razzista al punto da causare un incidente diplomatico tra India e Gran Bretagna. Insomma, Giuliano Ferrara in gonnella.
 
E in tutto questo, esattamente un anno e qualche mese dopo la sua morte, io stavo lì, su quella panchina con quel catalogo di Francorosso.
Ed esattamente tre anni dopo la sua morte me ne sto qui, sola, a pensare che un giorno, qualcuno di voi pagherà il MIO viaggio di nozze. Fosse anche a Casalborsetti.
 
La lezione di oggi è che a sposarsi son tutti capaci. Si chiama circonvenzione d'incapace.
Ma non tutti son capaci di stare soli.
 

mercoledì 31 ottobre 2012

Il giorno del morto.

E son qui. Il 31 ottobre.
Non sto qui a disquisire su Halloween. Chi vuole lo festeggi come Samhain, come Ognissanti, come "C'è Juve-Bologna". Fate quello che vi pare.
 
Sta di fatto che questo è il periodo dell'anno che preferisco. Aria mortifera, nebbia, freddo, serate con gli amici, piumoni e plaid, cioccolata calda e il conto alla rovescia per il Natale che si avvicina. Sì, mi piace Natale. Flagellatemi.
 
Venerdì, sfidando la fila di anziani e prefiche che affoleranno i cimiteri del globo terracqueo, mi recherò alla Certosa di Bologna per ricordare quel santo in terra di mio nonno. Lasciando mia nonna in fila a fare a gare di sfighe, sport che tra le anziane spopola ed è alla pari, come popolarità, alle bocce o alla briscolaccia per i vecchi.
Andiamo tutti come zombie verso i cimiteri per poggiar due fiori a qualcuno che durante il resto dell'anno resta sepolto sotto terra e nei nostri ricordi. Una sorta di "Io e te 3 metri sotto terra".
 
Allora, oggi, voglio parlarvi di una ragazza di cui vorrei ricordarmi tutto l'anno.
 
Lei era una ragazza molto fragile e molto dura, tenera come un peluche e chiusa come una cassaforte. Nonostante l'apparenza spregiudicata e goliardica amava molto le rassicurazioni, gli abbracci, i complimenti. Nata sicura e coraggiosa negli anni ha visto il suo fisico e il suo carattere fiaccati dal poco affetto e dalla costante mancanza di fiducia nelle (scarse) capacità intellettive di chi la circondava. Lei cominciò lentamente a sfiorire nel 2006. Aveva perso un amico, un nonno che l'amava silenziosamente e la reputava la più capace tra quei 4 caproni di casa, aveva perso le amiche di cui non sentiva più il caldo abbraccio della comprensione.
Fu difficile per Lei riprendersi e vi assicuro che ogni giorno guardavo quelle guance rigarsi di lacrime inutili, di un inutile dolore, di un utile ma necessario catartico cambiamento.
Passarono 4 anni di lavoro e ricordi, di viaggi e chiacchierate tra me e Lei, il suo sorriso in costante crescita, la pelle più luminosa di qualsiasi modella della Oil of Olaz e quegl'occhi nuovi e chiari. Era rinata.
Nel 2010 Lei capì che ce l'aveva fatta, "il tarlo" era lontano, la vita era lì davanti: amici nuovi, una nuova percezione dell'affetto e dell'amore. La consapevolezza di essere tornata sicura e coraggiosa.
 
Solo nelle favole c'è il lieto fine. E nemmeno in tutte. Andersen fa fare una brutta fine a quasi tutti i suoi personaggi. Tipo quella poveraccia della Sirenetta che muore per troppo amore.
 
Un po' com'è successo a Lei.
Nel 2012 il castello di ghiaccio si scioglie come il suo povero e debole fisico. Perde tutto. Il lavoro, l'amore, la sensazione rassicurante di essere coraggiosa. E così, in un momento imprecisato dell'anno, Lei muore. 
E mi trovo spesso qui a piangerla, a ricordare le rispostacce che dava ai ragazzi che la deludevano, il suo naturale incedere come un Caterpillar silenzioso sulle offese della vita, il sorriso 36 denti che sfoggiava ogni qualvolta vedesse in tv un documentario sui nazisti, il rimpianto di non aver avuto una romantica storia d'amore con un menomato personaggio bazzanese di nome Aereo e il vero doloroso rimpianto di non aver dato abbastanza a chi davvero se lo meritava.
 
 
 
Ma come insegna Halloween o Samhain o la festa del Fuoco fianco a fianco (Fucacost) di Orsara, in Puglia, i morti tornano.
 
E io, Lei, come uno zombie tornerò ad affacciarmi alla vita.
Probabilmente ballando "Thriller" di Michael Jackson.
Buon Halloween. O quello che è.
 
 
 
 


lunedì 29 ottobre 2012

Gene Wilder non è morto.

V'insegno a non ingigantire gli avvenimenti ma, viceversa, a usare la curiosità positiva per capire la realtà e le emozioni che si nascondono dentro.
No, non è il titolo di un manuale di self-help, per esserlo dovrebbe avere qualche parola scurrile nel mezzo tipo "seghe mentali" o "meravigliosa stronza". No.
Giusto qualche giorno fa mia madre pensava fossi morta sbranata da un branco di pitbull solo perchè avevo il cellulare silenzioso. Giusto sabato mia nonna pensava che mia sorella fosse morta sbranata da un branco di pitbull solo perchè non rispondeva al telefono. Poco importa che io avessi dimenticato il cellulare silenzioso o che mia sorella avesse l'influenza e volesse solo innocentemente dormire.
Noi eravamo morte. Sepolte. Violentate da necrofili naziskin e tumulate in un cantiere della TAV. Morte.
 
La realtà era diversa ma a nessuno importava. Un po' come Gene Wilder, ve lo ricordate vero, Gene Wilder?
Che fosse Willy Wonka (il cui faccione sorridente ora imperversa su Facebook contornato da frasi sarcastiche come il mio metatarso) o il mitico Professor Frederick Frankenstein, l'insicuro Teddy Pierce de "La signora in rosso" o il sordissimo Dave di "Non guardarmi: non ti sento", Gene Wilder mi ha sempre fatto sganasciare.
Poi, ad un tratto, scomparve.
Dai, avanti, chapeau a chi ricorda un film di Wilder posteriore al 1991.
 
Così, una sera parlando con amico cinefilo salta fuori che Wilder è morto. Ma va là, figurati, questa è come la storia che James Stewart sarebbe il nonno di Kim Rossi Stuart (avere un nipote di nome Kim dev'essere devastante. Soprattutto trattandosi di un uomo. Che ha fatto "Fantaghirò").
No caro amico, Wilder è vivo. E non perchè mia nonna fosse preoccupata di non vederlo dal 1991, ma perchè l'ho visto in tv poco tempo fa, lo stavano intervistando. 
E' lì che ho scoperto dov'era finito.
 
Uno non fa nulla dal 1991 e pensano sia morto. Tsk.
Un lutto, Wilder, lo sopportò. E fu devastante.
Gilda Radner in Wilder, chiese al marito Gene di aiutarla, di farla uscire dall'ospedale dov'era ricoverata per un tumore in fase terminale alle ovaie, perchè lei lo sapeva, non sarebbe sopravvissuta alla Tac. Ad una banale Tac. Il buon Gene la rabbonì, "vedrai che andrà tutto bene, ci vediamo qui, dopo". Tornò dalla Tac in coma. Per 3 giorni rimase lì, incosciente. Per poi morire dopo lunghi, agonizzanti rantoli. E Gene era al suo fianco, con il cuore rotto dall'impossibilità di dirle addio, stroncato da quel destino beffardo che gli aveva impedito di salutarla per un'ultima volta.
E così, piano piano, Gene Wilder è scomparso. Il mondo, il cinema, noi andavamo avanti mentre lui diventava un puntino alle nostre spalle. Un puntino triste, solo, senza amore. Morto-non-morto.
 
 
 
Lo abbiamo lasciato solo e abbiam pensato fosse morto.
Abbiamo ingigantito la realtà come la mia tv ingigantisce le cosce di Christina Aguilera, lo abbiamo ucciso e rimosso per non doverci preoccupare di lui e dei suoi guai, per poi magari dire "Mica è colpa mia! E' lui che è morto!".
Già. Esattamente come fanno mia madre e mia nonna. Esattamente come facciamo noi con i problemi scomodi, gli amici scomodi, gli amori scomodi.
 
La lezione di oggi è che magari, prima di trarre conclusioni, di escludere un'opzione, di darci per morti durante un conflitto a fuoco a Scampia, fermiamoci.
Ascoltiamo le persone che amiamo. Loro sanno se son morte o meno.
 
 
 
 

venerdì 26 ottobre 2012

L'insanità mentale del signor Van Gogh.

La mattina è difficile per tutti. Svegliarsi, trascinarsi presentabili nella vita di tutti i giorni, cercare di non odiare la gente e soprattutto provare a non incenerire i primi personaggi che ci salutano prima del caffè o della tazza di agognato, caldo, te marca Twinings specialità Prince of Wales. Ecco, in quei terribili istanti mattutini la calma e la tranquillità dovrebbero abbracciarci.
In quella che è la mia vita, ciò, raramente accade. Prima del momento colazione, una volta o due al mese, un membro della mia famiglia, che chiamerò "Elemento X", irrompe nella mia vita urlando al telefono frasi d'incomprensibile follia.
"Elemento X", complice un esaurimento nervoso negli anni '70 e una vita, a suo dire, misera e terribile, imperversa come una catastrofe ambientale nella mia vita da 30, lunghi, anni. A rotazione sceglie una vittima, trova un pretesto (il ritardo ad un appuntamento, un errore di connessione internet, il governo tecnico, lo sterminio delle foche) e mette in scena la terribile sfuriata.
Di solito "Elemento X" colpisce la mattina presto, una telefonata, urla sconnesse che profetizzano future sciagure che si abbatteranno sul malcapitato senza possibilità di via d'uscita. Il poveretto dall'altro capo della cornetta può solo chiudere gli occhi, bestemmiare sottovoce e dire "Sì, Sì, va beeeeene". Questa insanità mentale ne produce altra. Io ad esempio sono ossessiva compulsiva. Ma almeno ragiono.
Il povero Vincent Van Gogh invece no, lui sragionava.
Era una brava persona Van Gogh, voleva sempre aiutare il prossimo fino a ridursi ad un cencio d'uomo. Ci metteva il cuore e l'anima nei colori, nelle pennellate solide di cielo.
E sì, inseguì Gauguin per Arles minacciandolo con una rasoio. Ma va anche detto che Gauguin doveva essere un tritapalle spocchioso, uno di quei personaggi alla "spritz e figa" che pretendono sempre di essere i migliori. Che poi Vincent tornando a casa si tagliasse un orecchio e lo regalasse ad una prostituta, beh, il titolo è "l'insanità mentale del signor Van Gogh" mica "Coloriamo roselline con Vincent!".
Come ho già detto Van Gogh era un puro, un uomo dall'emotività struggentemente delicata. Perse suo padre per un infarto. Avevano appena litigato. La gente di Arles dopo l'episodio del rasoio lo volle fuori dalla città. L'unico, grande, suo ammiratore e sostenitore era il fratello Theo al quale, nel corso della vita, scriverà almeno 600 lettere avendone in risposta solo 40.
Ora.
Per anni pensando alla morte di Vincent ho provato pena e una sincera stretta al cuore.
Dopo vari tentativi di suicidio, una mattina di luglio del 1890, Vincent torna alla pensione dove alloggia e si corica nel letto della sua camera. Il locandiere preoccupato di non averlo visto a pranzo lo trova steso sul letto sofferente. Un buco di proiettile nel petto e Vincent che confessa: mi sono sparato. Il fratello Theo corre da lui ed insieme passano le ultime ore dell'artista.
So che è difficile, ma immaginate un uomo solo, triste, che ha paura ma finalmente sta per morire dopo ore d'agonia, dopo anni di umiliazione e dolore. Un uomo che al dottore dice "volevo uccidermi ma ho fatto cilecca". Dopo quasi un giorno e mezzo di sofferenza, Vincent Van Gogh muore. In quanto suicida gli viene negata la sepoltura nel cimitero locale di Auvers.
La sua tomba è attaccata al muro del piccolo camposanto. Di fianco a lui il fratello, il cui cuore non resse e morì pochi mesi dopo Vincent.
 
 
 
La malattia di Van Gogh nuoceva a Van Gogh e al suo cuore più che alla sua mente (vallo a dire a Gauguin.... ma, oh, se te le cerchi). Van Gogh non aveva il cuore avvelenato di odio, pur avendone tutte le ragioni. Van Gogh non torturava le persone che amava con previsioni di sciagure, infieriva su stesso, su quei suoi occhi blu che lasciava marcire fissando il sole e le sue ombre.
"Elemento X" dovrebbe imparare dalla follia di Van Gogh. Che tra l'altro non possendendo un telefono sfogava la sua follia per lettera, e le lettere non squillano ad orari imprecisati della mattina.
 
La lezione di oggi è quella di arginare la follia ingiustificata che vi fa male, si può esser instabili ma con un cuore buono. Come Vincent.
 
"For they could not love you, but still your love was true and when no hope was left in sight on that starry starry night you took your life as lovers often do. But i could have told you, Vincent, this world was never meant for one as beautiful as you"
Don McLean - Starry, starry night.

lunedì 22 ottobre 2012

Adolf H. e Eva B.

Questa è la storia di Adolf e Eva.
Adolf era un'artista estroverso ed eclettico, un uomo dalla dialettica affascinante, con un buon impiego.
Eva era una ragazzotta tranquilla, con un lavoro in uno studio di un fotografo. Magari, sì, qualche turba la doveva avere visto che tentò di suicidarsi ben due volte, una delle due addirittura sparandosi in gola. Il suo angelo custode doveva lavorare parecchio. Un po' come quello di Adolf che lo salvò da una bomba che uccise tutti i suoi amici mentre cenavano. Almeno un paio di volte, tra l'altro. Piccolo fortunello.
 
Erano una bella coppia: lui non proprio un adone ma con quegli occhi azzurri e quei baffetti da sparviero che piacciono tanto alle ragazze e alle nonne, lei tracagnotta, con questo sorrisone da strappona. Amanti degli animali e in particolar modo dei cani. Sempre alla moda e ben curati.
Gretl, la sorella di Eva, si sposerà con un collega di Adolf. Le giornate passavano tra feste nella casa di montagna e impegni mondani.
 Adolf ed Eva si sposarono il 29 aprile, una domenica come tutte le altre. La sposa indossava un delizioso vestito di seta nera, il maritino invece vestiva da "ufficiale e gentiluomo". I testimoni Joseph e Martin erano tranquilli e sereni.
Il giorno dopo, verso le 15 e 30, Adolf si sparò un colpo di pistola in bocca ed Eva si avvelenò con del cianuro. Gli amici testimoni della loro felicità  cremarono i corpi dei due novelli sposi.
Fine.
 
 
 
E pensare a tutti quegli attimi di felicità, quei balli, quei sorrisi. L'amore di Adolf per la sua Blondi, il suo pastore tedesco. Quello di Eva per i suoi scottish terrier, Negus e Stasi.
Pensare all'infelicità di Eva nel consolare la sorella Gretl, incinta, il cui marito Hermann era stato fatto fuori dai colleghi di Adolf. Letteralmente fuori.
Pensare ai triboli sul lavoro che aveva Adolf, straordinari su straordinari in una ditta di cretini che non lo apprezzavano e lo deludevano in continuazione.
Eppure.
Eppure gli sguardi. Eppure la stanchezza. Eppure l'impotenza. Eppure il mito.
 
Adolf aveva un testicolo solo, colpa di un caprone che gliene tolse uno mentre Adolf ci si masturbava sopra (queste bestie! Le capre son proprio animali ignoranti..). Era ancora innamorato della sua ex, Geli (sua nipote. Morta suicida. O forse no. Cioè forse fu proprio Adolf ad ammazzarla. Forse si era stancata di urinare e defecare addosso al suo amato.). Forse Adolf era un gay represso.
Ma a Eva poco importava. Saranno stati i baffetti erotizzanti di lui, l'aria buona che si respirava a Berghof. Ma l'amore, da qualche parte, sarà pur stato.
 
Le ceneri dei due amanti saranno sparse nel fiume Elba da un uomo venuto da più lontano, un tale Jurij.
La nipote di Eva nascerà senza papà. Avrà il nome della sua adorata zia e si toglierà la vita trent'anni dopo a causa di un uomo. Come l'adorata zia.
 
A volte pensare che anche Adolf Hitler aveva un cuore mi rende tranquilla. Abbiamo bisogno di spauracchi senza cuore che ci facciano sentire dolci anime innocenti. E lui, devo dire la verità, calza a pennello.
Sterminò ebrei, omosessuali, zingari e oppositori politici, strumentalizzò il popolo tedesco, si mostrò incapace di gestire militarmente il potere e di governare i suoi sottoposti.
Ma amava il suo cane. E la montagna. E la mamma.
E probabilmente anche Eva Braun. O la nipote Geli.
 
In sostanza, la lezione di oggi è una sola. Diffidate dalle apparenze: i mammoni son sempre pericolosi come l'amianto e gli squali.
 
 
 
 

venerdì 19 ottobre 2012

Il Futuro non è scritto. Il Passato è inciso.

Penso furono i Gun's.
Pendevo letteralmente dalle labbra di mio padre musicalmente parlando. I Queen degli anni '70-'80, i Creedence Clearwater Revival, Neil Young, quel piccolo Saddam Hussein di mio padre mi viziava.
Ma di sicuro furono i Gun's.
Axl Rose rovinò la fiducia musicale che riponevo in mio padre. Svegliarsi la domenica mattina con "Paradise city" per me era come svegliarsi all'inferno, un inferno popolato da camicie a scacchi annodate in vita, bandane e jeans strappati.
Mi allontanai dall'influsso di mio padre e fui accolta dalle braccia comprensive dei miei amici punk/hardcore/troviamoun'altradefinizionecoolmanontroppo.
Navigavo tra Sex Pistols, Dead Kennedys, Buzzcocks. E mio padre scuoteva la testa. Era disappunto, ma pensavo fosse in trance da Axl Rose. Io intanto perseveravo, ascoltavo gruppi di cui ignoravo l'esistenza fino ad un mese prima, ridicoli gruppetti svedesi, improbabili gruppi italiani.
E sì, m'innamorai: dell'uomo sbagliato e del gruppo giusto.
I Clash. Il cui amore durò molto di più che quello per l'uomo sbagliato.
Cacchicacchiocacchio quanto consumai "London Calling", quanta amarezza vedendo Fabri Fibra scimmiottare il video di "Rock the Casbah", quanta tristezza alla morte di Joe Strummer.
 
John Graham Mellor nasce ad Ankara nel '52. Facendola breve diventa Joe Strummer dopo aver girato per il mondo con la famigliola e avendo sperimentato la merda del collegio e aver scoperto, come molti altri illuminati, che esiste un mondo al di fuori delle solite 4 mura. Joe sperimenta la morte del fratello David, attivista di estrema destra, nel 1970 e decide che forse è venuta ora di buttarsi. Nel 77 nascono i Clash, il resto, chi li ha sentiti almeno un paio di volte, sa che è leggenda.
Joe muore troppo presto nel 2002, a soli 50 anni. Bum! Infarto.
 
 
 
"Coi Clash è stato come scendere agli inferi e ritornare. Non puoi immaginare cosa abbiamo passato per fare i dischi che abbiamo fatto. Abbiamo dato il 110 per cento, ogni giorno. Ma quando incontri questa gente, persone che ti dicono che hai avuto qualche effetto sulla loro vita, allora senti che valeva assolutamente la pena"
 
Già. Grazie Joe. Quanto è profondamente ingiusto che tu te ne sia andato e che Axl Rose sia ancora lì, ogni domenica mattina, a cantare "Paradise city" e a farsi picchiare da Tommy Hilfiger.
 
I miei anni da finta punk finirono presto. Mi sono omologata, ascolto roba da 30enne cresciuta a Oxford. Sono diventata noiosa. Ma la magia è sempre dietro l'angolo. Parlare con amici di vecchi gruppi, lì, seduti a bere spritz e birra. Forse c'eri anche tu Joe mentre parlavamo di Jello Biafra.
 
La lezione di oggi è che certe persone, certi idoli, non muoiono mai, restano nei nostri ricordi distorti e non sono mai gli stessi. Immagino quante bandane rosse a mezz'asta quando creperà Axl Rose.