mercoledì 7 marzo 2012

La Morte Privata vs La Morte Pubblica.

Capita che mentre scrivi un blog sulla morte, questa si affacci prepotentemente sulla tua vita privata. La falce del triste mietitore si è data parecchio da fare in queste settimane.
Mentre cammino con mia madre in una bella giornata di inizio marzo, passiamo davanti ad una chiesa le cui campane suonano a morto. Ora, serve che io spieghi brevemente a voi come mia madre si misura con la morte. Non c'è telegiornale o piazza televisiva dove non trovi, in mezzo a mille volti, un presentatore "troppo emaciato", un giornalista con "il volto della morte", un passante "dall'aria troppo mesta" per poi emettere lo stesso verdetto per tutti e tre: "quello lì muore presto". Inutile dire che mia madre non ci ha mai azzeccato, giornalisti del tg 5 dati per spacciati godono di ottima salute e la maledizione del presentatore "troppo emaciato" è scomparsa con l'arrivo di Gerry Scotti. Mia madre sguazza nelle disgrazie come un maiale nel guano, ama sentirsi utile e crogiolarsi nel dolore come una prefica.
Torniamo a quella bella mattina di inizio marzo. Le campane suonano un triste ritornello e il gruppo di persone che entrano nel sagrato della chiesa è eterogeneo: ragazzi di 30 anni, signori anziani, donne e ragazzine. Mia madre sentenzia subito che a morire è stato uno giovane. Per lei "uno giovane" è un termine che varia a seconda della sua età che avanza, ai suoi 50 anni un coetaneo era "uno giovane", a 60 un amico continua ad essere "uno giovane". Cominciamo allora a parlare dei lutti della settimana.
Il sabato era morto il coriaceo Franco che di anni ne aveva 80 ed era il suocero ( o lo come preferite, odio la parola "suocero") di mia sorella. Esequie tra familiari, mentre i ladri entravano in casa di mia sorella, svaligiandola.
Qualche giorno prima era morto il caro amico di mio padre che io conosco come "Degli Esposti". Solo la settimana prima, parlando di pubblicazioni storiche, mio padre sperava che ce la facesse a finire un pezzo per un libro. Purtroppo no.
A completare il quadro la dipartita della nostra vicina di casa, la signora Paola. L'avevo vista solo qualche giorno prima della sua morte e mi aveva detto "Federica, come sei bella! Ti vedo proprio bella e felice!", con quella sua voce roca che le aveva regalato il soprannome "L'Esorcista". Al suo funerale mia madre non faceva altro che istruirmi sulle sue future esequie, ponendo l'imperativo categorico della non celebrazione della comunione.
Così, sedute sulle panchine di un bel parco, guardiamo l'infinito. "Mamma"-prego sottovoce-"piantiamola di parlare di morti, ecco, per esempio, guarda l'eremo di Tizzano, lassù che meraviglia". Le indico l'eremo, in mezzo alla pace, scagliato contro un cielo azzurro pieno di speranze e carico di promesse. Lei mi guarda, guarda la chiesetta e dice "Sì, ma vedi la natura intorno che è tutta morta?".
Inutile.
In quei giorni se n'è andato pure Lucio Dalla. Non voglio parlarne. Ma voglio parlare delle millemila persone che si sono messe educatamente in fila per salutare un buon cantante ed il suo toupet. Gente con sciarpe del Bologna, con una rosa in mano, gente innamorata che cantava le sue canzoni, gente che ci era cresciuta o che semplicemente l'aveva salutato qualche volta. E' morto a Montreaux, in Svizzera, dove di solito svernava il buon vecchio Freddie Mercury o la cara Audrey Hepburn. Per Lucio, funerali in pompa magna con tanto di vescovi censori, omaggio del Bologna Footbal Club, omaggio dalla Virtus Bologna, omaggio da parte di tutti i bolognesi. Sarà, ma mentre sabato 3 marzo si preparavano tutti a dare l'ultimo saluto al caro Lucio, io pensavo che 5 anni prima era morto un anonimo vecchietto che mi aveva preso il cuore, il cui nome era Vittorio.
 Ma questa è un'altra storia.


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